Linea d'ombra - anno X - n. 71 - maggio 1992

buto della fattibilità. Il lignaggio del marxismo dopo tutto è Spinoza, Hegel, Marx: il panteismo di Spinoza e un certo contenuto storico e sociologico di Hegel, che viene poi trasformato ed elaborato in un senso più materialista da Marx. Esso, però, mantiene l'ispirazione panteistica, la visione secondo cui tutto ciò che esiste al mondo è sacro e niente appartiene al profano. In pratica, nell'organizzazione sociale del mondo marxista, questo ha significato che tutto era unito. Non esisteva più soltanto la vecchia tradizione russo-bizantina del cesaro-papismo. Era nata una nuova situazione, che definirei, cesaro-papismomammonismo, l'unificazione delle tre sfere della vita umana: politica, economica, ideologica.Una sola nomenklatura, una sola organizzazione, che gestiva la fede, l'ordine politico e la produzione. Non rimaneva nient'altro, nessun tipo di sfera profana. Naturalmente, questa è stata la grande evasione da altre dittature, in particolare di destra: esisteva una zona profana in cui ci si poteva rifugiare, durante la routinizzazione, per usare un'espressione di Max Weber. Nei periodi in cui la fede e l'entusiasmo perdevano vigore, la gente poteva rivolgersi a qualcosa che non era direttamente collegato al la loro fede e dove il fallimento, la mediocrità e lo squallore potevano essere sopportati senza incrinare la fede. Questo non era possibile nell'Unione Sovietica, dove tutto doveva essere sacro. La soddisfazione doveva permeare tutta la vita e in particolare l'economia, che era una specie di sacramento di quella fede: la salvezza del genere umano attraverso la giusta organizzazione economica, che avrebbe portato automaticamente alla liberazione, all'autonomia, all'assenza di coercizione, all'assenza di dogmatismo nelle altre sfere. Invece, l'economia, durante la stagnazione, nel periodo di Breznev, risultò un disastro, non in se stessa, in quanto godeva di una certa floridezza rispetto al passato, ma in confronto al successo del consumismo occidentale. Tutto era profondamente squallido. L'idea che esistesse qualche genere di soddisfazione umana era semplicemente assurda. Ora, perché il marxismo ha perso terreno, tanto che quando venne meno la coercizione, quando Gorbaciov ha sollevato il coperchio, non c'erano più credenti, o almeno molto pochi? (Ce n'è ancora qualcuno, c'è qualcuno che ha nostalgia dell'ordine, della grandeur russa e così via, ci sono persino uno o due marxisti, ma sono pochissimi, difficili da trovare.) Se volete dare una risposta alla domanda "Perché non è sopravvissuta quella fede?", è perchè il panteismo non funziona. Durkheim aveva ragione: la vita della società richiede non solo il sacro ma anche il profano. Non fu tanto il fatto del secolarismo né quello del dogmatismo, quanto quello del panteismo, che aveva diffuso il sacro in tutta la società, che uccise il marxismo quando proprio l'area, che più di ogni altra doveva essere sacra, si era ridotta nelle condizioni squallide e poco ispiranti del periodo di stagnazione. Questa è la spiegazione migliore che sono in grado di addurre , la mia ipotesi per questo impressionante e unico fenomeno di fallimento della fede. Per contro, perché l'Islam ha sconfitto con questo successo la secolarizzazione? Il mondo musulmano, come tutte le aree non occidentali, si è trovato nella condizione di sottosviluppo. Quasi tutte le parti del mondo hanno attraversato l'esperienza di trovarsi improvvisamente economicamente, tecnologicamente e quindi anche militarmente inferiori a un'Europa nord-occidentale più sviluppata. La Francia era sottosviluppata nel Diciottesimo secolo e reagì con l'Illuminismo. Il Terzo Mondo incominciò sul Reno all'inizio del Diciannovesimo secolo, poi si spostò a oriente. E il tipico dilemma morale della società sottosviluppata che oscilla tra occidentalismo e populismo trova l'espressione suprema soprattutto nella letteratura russa del Diciannovesimo secolo. La via d'uscita sta nell'emulare coloro che sono più potenti e sputare sui propri antenati, cosa spiacevole da fare, ma che rappresenta un · prezzo che forse vale la pena di pagare, oppure idealizzare la ILCONTESTO propria cultura popolare e sostenere che sebbene sia tecnologicamente inferiore, è moralmente superiore. È il tipo di opzione a cui diede già voce Tolstoj. Benché alcuni paesi lo abbiano evitato - la Prussia e il Giappone, grazie a un'élite efficiente e modernizzatoria - questo è il dilemma caratteristico del sottosviluppo. L'Islam lo elude per la seguente ragione: non so collocare con esattezza questo fenomeno, ma a partire dalla prima cristallizzazione della civiltà musulmana, l' Islan1 era diviso in una cultura alta, unitaria, puritana, letterata, moralista, di ambiente urbano e dotata di tutti gli attributi essenziali a una società moderna e industriale, se diamo retta a Max Weber, normativa, ma minoritaria, rispettata, ma non ubbidita, e una variante popolare, gerarchica, ritualista, estatica, con una moralità fatta di fedeltà al capo piuttosto che di regole rispettose. Questi due aspetti coesistevano compenetrandosi, spesso in armonia, ma anche in conflitto. Periodicamente, l'Alto Islam lanciava una specie di riforma interna, un movimento di rinnovamento interno, come è spesso avvenuto in tempi relativamente moderni, con i vari movimenti dell'Arabia, dell'Africa Occidentale, della Cirenaica ecc. Essi non hanno mai avuto successo perché i limiti sociali non permettevano che prevalesse lo scritturalismo puritano, l'unitarismo, se non per brevi periodi. Ma poiché lo spirito è forte, mentre la carne sociale è debole, la società ricade nell'uso della mediazione. Tuttavia, nelle condizioni moderne, la base sociale della religione è cambiata completamente. La centralizzazione politica ed economica di cui è capace lo stato coloniale e post-coloniale, erose quei gruppi rurali che costituivano la base sociale del culto dei santi, di tutte le forme gerarchiche, ritualiste, imbevute di mediazione dell'Islam. Sicché improvvisamente per la prima volta nella storia, era possibile non solo rispettare l'alto ideale, ma anche praticarlo. Questa è la grande rivoluzione che ha avuto luogo nell'Islam nell'ultimo secolo, che ha permesso alla società di riformarsi senza idealizzare la legge e l'ordine. L'idealizzazione populista dei membri più modesti della società è affidata agli outsider, ai populisti vicari esterni, ai Lawrence e agli altri. Non lo fanno invece i musulmani, che si riformano nel nome di un ideale veramente indigeno, genuinamente locale, cioè la versione altamente "protestante", individualista, scritturalista, ugualitaria, puritana, che essi credono, secondo me erroneamente, sia stata esemplificata dalla prima generazione di musulmani, dal profeta e dai suoi compagni, e che credono giustamente abbia profonde radici loçali che risalgono al secondo o terzo secolo dell'Islam. La collocazione temporale non è importante: ciò che conta è che si tratta di qualcosa di veramente locale, che può essere usato per l'autoriforma, che non richiede né l'idealizzazione dell'outsider, né l'idealizzazione della cultura popolare, ma che consente di attuare l'ideale locale. , Questo ha permesso all'Islam di modernizzarsi e riformarsi senza il tipo di dilemma esemplificato dalla cultura russa, che in Russia ha portato alla disastrosa adesione al marxismo, che combinava il materialismo occidentale al messianismo russo, in un terribile cocktail che ha intossicato profondamente i russi. E quando si comprende a fondo la situazione, si capisce anche perché questo sia avvenuto. Nell'Islam era a disposizione un rimedio locale, che soddisfaceva il bisogno di definizione nazionale; che ratifica l'esenzione dalla rostiks, dagli ignoranti primitivi, tribali, rurali fino alla vita con dominante urbana; che forniva una legge costituzionale che consente di giudicare chi è al governo e a volte niolto selvaggiamente, come è avvenuto in Iran. Questa è ia spiegazione che io do a questa curiosa combinazione di moralismo religioso e accettazione cinica del clientelismo in politica, una combinazione che gli occidentali considerano ipocrita, ma che in questi paesi sembra funzionare. 13

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