Linea d'ombra - anno X - n. 71 - maggio 1992

30 VISTA DALLA LUNA ~ ~ <C ...J rienza, vogliono imparare vere arti e veri mestieri, hanno bisogno di animali da cacciare, dell'ignoto da esplorare, desiderano avere risposte a domande dirette. Ma le case in cui viviamo, l'economia, il nostro stile di vita, le frontiere e le scienze, non sono sensibili a queste richieste infantili. La nostra organizzazione sociale è diventata così oggettiva che pochi adulti e nessun bambino hanno più un mondo oggettivo valido. Così un genitore sensibile si sente giustamente in colpa; cerca ansiosamente e in condizioni impossibili di non privare i figli dei loro giusti diritti di essere gli eredi della natura e dell'uomo. Molti di noi non soffrono forse di quello che potremmo chiamare "il complesso di re Lear"? Siamo turbati dal libero e puro potere dei giovanissimi, non abbiamo il diritto di opporci, ma ci ritiriamo e rinunciamo ai nostri diritti. L'autorità del maestro Per rendere più chiara l'idea utilizzerò il rapporto tra il maestro - un artista, un artigiano o uno studioso - e i suoi discepoli. Il maestro usa i ragazzi per i suoi fini, dice loro in buona fede quel che devono o non devono fare, perché ha in mente l'opera; egli insegna loro per compassione, per evitare loro errori e per farli progredire. Da parte loro, gli allievi non si sentono umiliati, né intimoriti o sfruttati. Al contrario, maturano lavorando, e attraverso il loro maestro, perché è lui l'esperto di quella attività. La prova convincente di tutto questo non dipende dall'esercizio dell'autorità, ma dal1'opera stessa. Ora, se si considera la famiglia come una scuola di crescita nell'arte della vita, della ricerca e dell'ispirazione verso una carriera, quali genitori esperti possono mai sentirsi come maestri della 'materia' vita, e possono, quindi, dare ordini, proibire con convinzione, eccetto in casi molto semplici e fondamentali di salute e sicurezza e - forse - quando ci sono di mezzo la grammatica e le buone maniere? Del resto, Yeats ha detto: "I migliori mancano di convinzione, i peggiori sono pieni di intensità appassionata". Il punto è che non conosciamo il metodo per ottenere un fine che ci è ignoto. Questo concetto è spesso espresso con l'affermazione: "Non mi importa ciò che i miei figli saranno o diventeranno, l'importante è che siano felici". Si tratta di un'affermazione onesta, umile e ragionevole, ma pone i genitori in una posizione impossibile, che li riempie d'ansia: quella di adempiere a una responsabilità indefinita. Così, invece di improvvisare con ingegnosità e amore sulla base dell'esperienza e dell'indiscusso successo personale, i genitori si affidano necessariamente alla Psicologia e Igiene mentale. Un altro motivo di preoccupazione verso i figli, è che sono diventati l'unica scusa plausibile per l'esistenza della famiglia monogama. Da un punto di vista economico, le donne oggi guadagnano denaro e ne posseggono la maggior parte. Oggi, con la caduta delle antiche convenzioni sessuali e con l'indebolimento delle vecchie inibizioni, il matrimonio monogamo è considerato come una trappola ed è vissuto come frustrazione; le persone sono esposte alla tentazione ma non sono in grado di ottenere soddisfazione, di conseguenza c'è molto risentimento - un risentimento proiettato sugli altri - e un senso di colpa. Onestamente, devo affermare che se molti maEDUCATORI E DISEDUCATORI trimoni - anzi la maggior parte - si potessero sciogliere dopo pochi anni, i due partner diventerebbero improvvisamente più giovani, più allegri e pieni di speranza. E, di nuovo, chiederei con insistenza di rivoluzionare l'intera istituzione del matrimonio. La situazione è però difficile: siamo ancora vittime della gelosia, che deriva dal complesso di Edipo, e nell'attuale disgregazione sociale, il matrimonio, così come è concepito, rappresenta una difesa contro la solitudine e l'abbandono (la famiglia è stata il baluardo dell'economia privata: ora rappresenta un rifugio contro l'economia collettiva). Ma, se consideriamo lo scotto da pagare, le ragioni a favore dell'esistenza del matrimonio non reggono un'analisi etica. Sono i figli che rendono indiscutibilmente valido il sacrificio del matrimonio; e con la percentuale di oggi - due o tre figli per famiglia - il pesante fardello, che giustifica l'istituzione, deve essere sopportato da ciascuno dei "piccoli cari". Dalla famiglia alla scuola Come difesa da tutto questo, lo scopo principale nella vita di un'intera generazione di giovani è quello di avere un matrimonio felice, regolare, e di allevare figli sani (psicologicamente sani). Ciò che era sempre stato considerato un principio comune e vantaggioso nel mondo del lavoro e in quello religioso, ora è considerato un fine eroico per il quale è necessario battersi. Tutto ciò è assurdo. E tuttavia, vorrei ripeterlo, questo sentimento è fermamente giustificato dal fatto che per lo meno si può lottare personalmente per il raggiungimento di tale fine; una finalità legata a soddisfazioni e responsabilità reali, e non puramente simboliche. La stessa cosa non si può dire per altri obiettivi che la maggior parte della gente si pone, siano fantasie private o collettive di prestigio e potere. Come prova, consideriamo i casi in cui il fine non può essere perseguito o quando il matrimonio si sgretola; esiste un caso eccezionale: il lavoro dell'individuo o il suo ruolo sociale è abbastanza importante da occuparlo e da permettergli di andare avanti con grande forza d'animo. Da questo punto di vista, le migliaia di manuali che si occupano di tecnica sessuale e di una vita matrimoniale felice, posseggono la stessa commovente dignità dei trattati evangelici, poiché il tono è lo stesso; entrambi insegnano come si ottiene la salvezza, e che non esiste altro modo per ottenerla. I genitori affettuosi, pieni di buone intenzioni, ma anche di risentimento, fanno del ruolo verso i figli una vocazione fino a che non li possono spedire, in età sempre più precoce, all'asilo o a scuola. Forse la scuola potrà fornire "la ricerca e l'ispirazione verso una carriera". Ma la situazione degli insegnanti non è certo molto diversa. La domanda è sempre la stessa: che cosa bisogna insegnare? Che cosa vale veramente la pena di insegnare? Il programma di studi diventa sempre più misero, perché l'educatore onesto non può credere veramente che le scienze e gli studi umanistici siano attinenti al tipo di interessi degli allievi, o, per lo meno, della loro stragrande maggioranza. La risposta non è neppure !'"istruzione professionale": il termine tende a essere applicato proprio quando la vocazione è assente. Il periodo di pratica impegna sì il tempo, ma non dà nulla che arricchi-

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