Il problema della valutazione Alessandro Mattioli 1. La valutazione: un argomento noioso, un problema ansiogeno. Da più parti è stato rilevato come la vita, nelle scuole, segua un tipico andamento ciclico-ripetitivo, come quello di un tempo che in continuazione ritorna su se stesso, per gli studenti come per gli insegnanti (soli elementi "finalistici" sono le "uscite": per un diploma, per la pensione). Il collegio di inizio anno con il rito della programmazione, il programma da ripetere invariato per le nuove classi, la fine dei quadrimestri, gli scrutinii, ecc. Così, se si vuol sentire discutere di valutazione, magari per proporre un corso di aggiornamento o di discussione, non vi è di meglio che attendere il mese di gennaio o di giugno: qui, smaltito l'autunno e la primavera un po' indolente per entrambe le parti, vediamo ad un tempo insegnanti e studenti concentrati sulle verifiche, sui voti, sulle medie, sui criteri di giudizio. La valutazione permane pervicacemente, nelle menti di (quasi) tutti, come sinonimo di · giudizio finale: la sentenza che assolve o condanna. Per altri versi non è difficile notare come tutto ciò che ha a che fare con la valutazione finisca, tanto nel vissuto degli studenti quanto in quello degli insegnanti, per evocare sensazioni di ansia, pericolo, disagio, insicurezza, paura. I "ricordi di scuola" degli adolescenti di oggi appaiono legati a due esperienze fondamentali: a) in positivo: i rapporti umani gratificanti vissuti con gli amici e talvolta con qualche insegnante; b) in negativo: esperienze di discriminazione ed emarginazione subiìte, con un particolare riferimento a tutto ciò che è legato alla valutazione (come classificazione, etichettatura, ingiustizia subìta). Per gli stessi docooti il problema della valutazione sembra essere emotivamente delicato, imbarazzante, poco attraente; è raro trovare insegnanti "patiti della valutazione", che ne studiano a fondo modalità e tecniche, ma fra quei pochi sembrano prevalere i sadici (quelli che si realizzano da matti a giudicare, che se non hanno almeno un 40% di insufficienti si sentono in difetto) e i "frigidi" (quelli a cui crea disagio il rapporto umano diretto con gli studenti, che cercano un filtro asettico e tecnico fra sé e queste altre persone). È possibile ragionare sulla valutazione nella scuola in modi diversi da quelli sopra sommariamente illustrati, così pervicacemente resistenti nei decenni? Possiamo tentare di farlo con l'ausilio di un paio di domande. La valutazione nella scuola in che cosa differisce dai procedimenti di valutazione che costantemente avvengono negli altri contesti di vita quotidiana, diciamo, "normale" o comunque non-scolastica? Valutando gli studenti, gli insegnanti "chi credono di essere"? Ossia: quale parte stanno facendo, a quale ruolo sociale si stanno conformando?. 2. La valutazione nella normale vita quotidiana e nella scuola. Proviamo ad immaginare qualche circostanza della vita "normale" in cui qualcuno insegna qualcosa a qualcun altro. Ad esempio: un giovane amico, senza i soldi per pagarsi la scuola guida, mi chiede di prepararlo all'esame per la patente; desidero imparare a sciare bene e chiedo alla mia amica Gisella, provetta sciatrice, di insegnarmelo; sono un provetto alpinista e decido di insegnare ad arrampicare e ad andare in montagna al mio figlio adolescente; sono giornalista di professione, ma ho un figlio che a scuola è un disastro nei temi, decido di aiutarlo. Esperienze analoghe aqueste capitano senza dubbio presto o tardi a chiunque. Ora, cosa avviene di solito in circostanze di questo genere per quanto riguarda il ruolo che al loro interno gioca la valutazione (usiamo per il momento il termine in senso intuitivo) delle prestazioni di chi deve imparare? A prima vista almeno sei cose importanti. Una grande attenzione verrebbe posta alla valutazione dei punti di partenza dell'allievo: un conto è insegnare a chi non ha mai sciato, un altro è farlo a chi sa già fare un discreto spazzaneve. Di queste informazioni si terrebbe gran conto: si eviterebbe infatti di insegnare cose già padroneggiate dall'allievo, ma si eviterebbe anche di partire da un punto troppo "in alto" rispetto a quello in cui si trova. Molto importante sarebbe pure il chiarimento dell'obiettivo (cos'è "sciare bene"? cos'è "scrivere bene"?). Tutto ciò richiede senza dubbio discorsi, parole; ma prima di LATERRA 23 s Alessandro Mattioli insegna in una scuola Sperimentale di Milano. È autore del saggio Guida alla valutazione (Faenza Editrice 1990). tutto verrebbe "mostrato": in questo modo il maestro mostra ali' allievo non tanto che sa fare bene una certa cosa quanto come fa a farla bene. Lungi dal seguire la canonica terna di fasi tipicamente scolastica (spiegazione frontale/ esercizi/verifica finale) l'insegnamento si svolgerebbe per prove continue, inframmezzate da momenti discorsivi di spiegazione teorica e di valutazione delle prove via via fomite. Da un lato le diverse prove pratiche da eseguire si succederebbero con una precisa gradualità (non porto in centro a guidare uno che non ha mai guidato prima); d'altro canto i momenti di spiegazione teorica verrebbero inseriti con precisione in quelle fasi in cui si rendessero necessari in relazione alle prove pratiche da eseguire subito dopo. Quanto alla valutazione vera e propria non vi è dubbio che essa avrebbe un notevole spazio: sia durante le prove pratiche sia fra l'una e l'altra di esse, chi insegna spenderà molte parole per valutare la qualità delle prestazioni via via fomite; in continuazione mettendo in evidenza le prestazioni positive e i progressi, gli errori fatti, ciò che deve essere fatto per superare tali errori. Queste continue correzioni verrebbero fatte sia con parole che con esempi pratici (mostrando come si fa); le continue valutazioni sarebbero soprattutto discorsive-descrittive, senza la minima necessità di assegnare qualcosa come dei voti: basterebbe la dicotomia "adeguato/inadeguato". La durata del periodo d'insegnamento non potrebbe essere rigidamente fissata a priori: in pratica il concetto è che si smette quando l'allievo ha "imparato quanto basta", non certo la perfezione (il periodo di tempo sarà più lungo o più breve in rapporto alle peculiarità di ogni allievo). Ma come fissare il livello del "quanto basta"? I criteri in base a cui fissare il livello di accettabilità sarebbero abbastanza evidenti, sulla base dei riscontri dati dalla realtà esterna e dal giudizio concorde delle persone esperte in un certo campo. Da un neo-patentato ci si aspetta che sia informato su alcune (non tutte) questioni essenziali di normati va stradale e funzionamento dell'auto e che sappia guidare in modo soprattutto sicuro (non certo veloce e brillante): l'essenziale è che non faccia incidenti e non danneggi l'auto. "' ;: = i; .. e z ►
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