22 VISTA DALLA LUNA <C o:: ~ ::i attivo, ha ora pubblicato un bel libro (Con il cielo negli occhi. Imparare a guardare lo spazio e il tempo, Marcon Gruppo Editoriale, 1991, pp. 191, L. 19.800, con prefazione di Emma Castelnuovo) in cui l'andare a scuola tutti interi è non soltanto la formula di una rivendicazione ma anche una esemplare e suggestiva dimostrazione della possibilità di dare a quella rivendicazione consistenza effettiva. Lorenzoni è insegnante elementare a Giove, un piccolo paese umbro, e racconta in questo libro una esperienza di tre anni di lavoro con i bambini allo studio del cielo. Il lavoro è nato e si è sviluppato nella convinzione che esista un legame stretto e profondo ·tra ognuno di noi e tutto il resto del vasto mondo e del cosmo e che anche qualcosa di almeno apparentemente tanto lontano come il cielo sia in realtà molto vicino e per nulla estraneo. Scrive Lorenzoni: "Ogni elemento, ogni molecola, ogni atomo di cui è composto il nostro corpo si formò un tempo nel fuoco delle continue esplosioni di una stella. Tutti noi siamo fatti di stelle." (p. 121). Altra convinzione forte su cui si è sviluppato il lavoro è che si debba, anche per misurarsi con il cielo, partire dal proprio corpo, "primo strumento di ogni nostra relazione con il cosmo. Davanti a noi c'è l'orizzonte, linea a noi familiare. Se vogliamo calcolare la distanza angolare che separa, dal nostro punto di vista, i lati di due case che sono di fronte a noi, possiamo usare mani, pollici e pugni. ( ...) Quando cominciamo a prendere familiarità con l'uso di palmi, pollici e pugni, per misurare gli angoli che separano gli oggetti, dal nostro punto di vista, possiamo finalmente cominciare a mettere le in libreriala nostra collana HA·P·E·R·T·U· R·EH I dilemmi del nostro tempo e del nostro futuro MarcoLombardRoadice UNACONCRETISSIMA UTOPIA Lavorposichiatriecopolitica lraprortiragenerazioni e i disagiogiovanile, negliscritti diunneuropsichiaitnrfa ntile. distribuzioGnieuntFi,irenze Lineda'ombreadizionsirl ViaGaffur4io, 20124Milano nostre mani in cielo", provando a vedere per esempio, "al tramonto, quanto è 'lontano' il Sole dalla Luna crescente che lo segue questa sera". E così, sera dopo sera, si arriva a scoprire che "in due settimane la Luna, da nera e invisibile (perché nella stessa direzione del Sole) è passata ad essere a lui opposta, sorgendo quando il Sole tramontava. E' passata dunque da Oa 180 gradi di distanza angolare dal Sole in 14 giorni e qualche ora. Possiamo dunque calcolare e prevedere di quanti gradi si sposta ogni giorno, adesso che cominciamo ad avere familiarità con le misure angolari". (pp. 100-101). Certo, utilizzando pollici e pugni, qualche imprecisione di calcolo potrà anche esserci, ma "usiamo le mani, prima d'ogni altro strumento, perché non è la precisione del calcolo l'elemento da cui vogliamo partire, ma un rapporto immediato, diretto, corporeo con ciò che ci appare più lontano, immateriale e intoccabile: il cosmo e le sue dimensioni". (p. 102). E poi comunque succede che i bambini stessi avvertono l'esigenza di arrivare a misurazioni più precise, allora si costruiscono, ancora una volta con le proprie mani, le balestre astronomiche e, misurando misurando, si arriva anche a volere sapere di più su grandezze e distanze nel sistema solare, e quindi a ricostruirlo in scala, rappresentando poi un'eclissi in miniatura nelle strade del paese. Racconta Lorenzoni: " Il lavoro preparatorio ci ha impegnato molto. Abbiamo poggiato l'enorme Sole di legno ad un angolo sporgente della scuola e abbiamo posto la Terra in fondo a via Roma. Tra il Sole e la Terra abbiamo appeso Mercurio e Venere, legandoli a striscioni che attraversavano la strada, e che spiegavano cosa fossero quelle piccole sfere appese in cielo tra le case. Più lontano abbiamo poggiato Marte. Giove distava un chilometro e mezzo dalla scuola e per collocare Saturno, a circa tre chilometri, siamo dovuti arrivare quasi al paese vicino". (p. 109). "Sembrava impossibile che un tondino di ferro di 6,9 millimetri - la nostra Luna - potesse coprire un Sole di quasi tre metri. Ma quando dal nostro occhio-Terra abbiamo guardato in direzione del Sole e con il braccio abbiamo spostato la Luna, distante dal nostro occhio solo 76 centimetri, tutto l'enorme Sole, lontano 298 metri, si è coperto". (pp. 108-109). Tutto il libro è fitto di racconti di esperienze, accompagnati dagli illuminanti ecoloratissimi disegni dei bambini; da alcuni miti riraccontati a chiusura di ogni capitolo, perché senza storie non si vive; dai preziosi "possibili intrecci", paragrafi di riflessioni a lato e suggerimenti di letture e di percorsi ulteriori. Eppure il pregio maggiore del libro non è neppure questo. Il pregio maggiore del libro è a mio parere nell'idea di educazione e di educatore che ne emerge. Lorenzoni afferma che l'infanzia è un pianeta senza ascolto, e accusa la "mancanza di ascolto verso i bambini e il loro mondo, verso i pensieri dei ragazzi, verso i linguaggi e la cultura infantile. Quasi che l'unica cosa che possano fare i bambini sia crescere e diventare grandi, e la cosa degna di maggiore attenzione sia il loro sviluppo e la loro trasformazione, più che il DENTRO LA SCUOLA loro presente e il loro sentire". Parole sante, direi, come direi che contro questa mancanza di ascolto è necessario agire; e agire, in questo contesto e in questa direzione, significa anche accettare il tolemaicismo dei bambini, senza fare violenza al loro sentire con affermazioni che, pretendendo di fornire il sapere, negano la conoscenza come risultato di un percorso di esperienze. Agire in questa direzione significa anche tenere conto del fatto che "nella mente dei bambini, come del resto, in molti casi, anche nelle nostre menti, persiste per un tempo molto lungo una fluttuazione di rappresentazioni e, in molti casi, la compresenza di opposte spiegazioni"; e significa tenere conto della necessità di valorizzare "la potenzialità educativa di questa zona d'ombra, del non sapere bene come stanno le cose". (p. 22). Agire in questa direzione significa anche, per gli insegnanti, porsi nei confronti dei bambini come coJ!aboratori complici, individui appassionati e vivi che prima di dare nomi alle costellazioni ritengono importante e necessario "sdraiarsi a terra a pancia all'aria, coprirsi se è freddo, e lasciare che lo sguardo si apra" (p. 121), preoccupandosi di non commettere "il terribile errore di presentarsi come coloro che sanno, più che come coloro che non sanno e che sono in ricerca", privando così "il rapporto educativo dell'elemento più vitale: l'incertezza, il dubbio che deriva dall'amore per il conoscere e che, come ogni amore, non può presumere di avere certezze sul futuro". (p. 64). Il libro di Lorenzoni è un documento importante, perché dimostra come sia possibile non morire di scuola; così come dimostra che il "bambino cognitivo" è soltanto una stupidaggine fradicia di ideologia, mentre esistono invece i bambini, e sono in grado di conseguire il sapere proprio a partire dal proprio sentire. Certo, è un libro che contiene forse anche qualche rischio di misticismo, ma si tratta di un rischio che non riguarda la dimensione educativa, e comunque si tratta di un rischio che - oltre a essere meno dannoso - è infinitamente preferibile alla mistica del "programmare per obiettivi" e del "bambino della ragione". E soprattutto è un libro che sottolinea la necessità di impostare le questioni educative sulla base di una presenza responsabile rispetto al costruire la propria vita, al continuare sempre a costruirla, e al considerarla elemento costitutivo del vasto mondo. Che poi si possa arrivare a questo - anche in quel luogo di turpi coazioni che è solitamente la scuola - attraverso una pratica quotidiana che consenta ai bambini di "afferrare con lo sguardo ogni sillabadell 'orizzonte" (Guimaraes Rosa, Le sponde dell'allegria, SEI 1988), è forse soltanto qualcosa che dovrebbe fare riflettere sulla necessità di non dimenticare che ascoltare necessita prima di tutto l'ascoltarsi. Dice un alunno di Lorenzoni: "È la luce delle stelle che arriva al nostro sguardo o è il nostro sguardo che arriva alle stelle?" Rispondere non è facile; quello che si può fare è forse cercare di afferrare con lo sguardo ogni sillaba dell'orizzonte.
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