L'ombra e le stelle Suun librodi Francolorenzoni Giuseppe Pontremoli Racconta Isaac B.Singer in un suo libro autobiografico (Un giorno di felicità, Bompiani 1978) che una delle domande che più lo assillavano e affascinavano da bambino era quella che scaturiva dalla visione della luna e delle stelle. Sapendo che alcune di queste sono più grandi della terra, si domandava: " se è vero che sono così grandi, come fanno a stare tutte dentro quella stretta striscia di cielo che sovrasta i tetti della nostra strada"? Una domanda, questa, inevitabilmente carica di inquietudine e di incredulità, accresciute - altrettanto inevitabilmente - dalle elusive risposte dei genitori che rinviavano lo svelamento del mistero al suo futuro tempo adulto. Un tempo, però, inutile in quanto ancora di là da venire, e soprattutto inaffidabile. perché caratterizzato da risposte appunto elusive o da affermazioni evidentemente inattendibili. Come fanno, se sono tanto grandi, a stare tutte in quella stretta striscia di cielo? Generalmente a domande di questo tipo non si presta troppo ascolto; sono domande primitive, e quindi rozze e imbarazzanti. Equando vi si forniscono risposte, queste sono perlopiù prive di rispetto e di tenerezza. Sono risposte dure, assertive, insensibili alle esigenze emotive e sensoriali di chi le formula. E chi le ha formulate si trova così inevitabilmente non certo penetrato da un sapere intenso e pervasivo, bensì piuttosto come schiacciato da una "verità" cui non si può far altro che soccombere - magari con intimidita reverenza - e che rimane in ogni caso estranea. Si perpetua così una scissione tra diversi LATERRA piani di sé: gli occhi, le mani, gli anfratti più svariati del proprio concretissimo corpo, dicono una ben evidente verità, ma questa è sùbito come tale smentita alla mente da un sapere che il proprio sentire definirebbe a sua volta menzogna, se non fosse che quel sapere, provenendo da chi al sapere è preposto, si configura più che altro come un potere cui soccombere. Le alternative che si pongono non sono poi molte: soccombere, appunto, o diffidare. Ma quanta forza c'è, in un bambino, un ragazzo, per potere contrapporre il proprio sentire anche soltanto sul piano del dubbio? È più probabile, quindi, che si soccomba, assegnando alla dimensione della non-verità il proprio corpo e il proprio sentire e attribuendo ad essi estraneità o perlomeno separatezza rispetto alla propria mente, solo strumento in grado di accedere alle stanze eteree del sapere. In quel luogo istituzionalmente preposto al sapere che è la scuola questa scissione viene elevata a potenza, accompagnandosi anche a quell'ulteriore identica scissione che nasce dal fatto che anche a scuola si porta il proprio corpo ma non se ne può fare praticamente alcun uso. Questo fatto, oltre ad essere di per sé una lesione al rispetto e quindi un inaccettabile sopruso, è anche un elemento di mistificazione nei confronti del sapere stesso, contrabbandato così come entità sublime al cui altare sacrificare la propria interezza. Il Movimento di Cooperazione Educativa ha sempre avversato questo stato di cose e le filosofie che lo ispirano, e Franco Lorenzoni. che dell'MCE è membro piuttosto .. e z ...
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