Culture a confronto Giuseppe Cavallini a cura di Andrea Berrini A Verona, davantiall'ingressodellacasa madre dei Comboniani c'è un mosaico a grandi piastrelle colorate: un'Africa marrone scuro circondata da due palme, e a grandi lettere il motto di Daniele Comboni: Nigrizia o Morte. E dentro alla grande casa, nella stanza dove accanto a un tavolo ci sono i distributori del caffè e della Coca Cola, su una bacheca c'è un elenco: "Missionari Comboniani morti nel 1991 ", seguito da una cinquantina di nomi, molti dei quali non italiani. Quando l'ho indicato a Padre Cavallni, lui ha riso allegro: "Eh, siamo in tanti, i Comboniani sparsi per il mondo. " Cli ho chiesto il suo parere sui temi sollevati dal/' intervento di Aluisi Tosolini. Sì, sono sostanzialmente d'accordo con questa impostazione, soprattutto dopo questo anno di lavoro a "Nigrizia". Credo che sia il messaggio fondamentale che dovrebbero lanciare tutte le riviste di questo tipo, anche se di per sé è un modo di intendere la missione che non è nato ieri, benché pochi ne abbiano piena coscienza. È senz'altro più sensibile chi in qualche modo è stato a contatto con l'esperienza di missione sul campo. Ma sono anni e anni che si rielabora un concetto di missione diverso. lo credo che si possa riandare al Concilio Vaticano II stesso, che già offre una prima prospettiva di quanto sia necessaria una presenza a livello ecclesiale e missionario anche da noi, tanto quanto in Africa o in America Latina. Proprio ieri ho partecipato a un convegno di una quarantina di persone che si stanno preparando per andare in Africa.C'erano preti, giovani laici, un po' di tutto, ai quali ho voluto trasmettere quelli che, in base alla mia esperienza in Etiopia, penso essere dieci elementi culturali che si possono cogliere quando ci si mette in contatto con quelle culture diverse, anche per fare missione. Ho suggerito loro di confrontare questi dieci elementi con l'insegnamento evangelico e anche con la nostra società, per farli arrivare alla conclusione ultima che bisogna partire coscienti di come la mjssione vera è quella che si fa nel nord del mondo, dove proprio questi dieci principi stanno perdendo tutta la loro forza. Eccoli: I) Il senso stesso di Dio, cioè la religiosità che è presente mille volte prima dell'arrivo di qualunque missionario. Per i quali diventa importantissima la capacità di inculturare se stessi, e capire in quale modo è espresso il senso di Dio in queste culture. 2) Il senso di comunità, che è ancora fortissimo e che noi stiamo distruggendo soprattutto a causa degli interventi esterni, e di quel processo di urbanizzazione che porta a uno scompenso generazionale tra giovani e anziani. Di qui, il rifiuto della comunità da parte dei giovani, che si trovano davanti dei modelli occidentali quando arrivano nella grande città. 3) Un apprezzamento radicale della vita come dono. Vita che viene difesa in tutti i modi, molto più che da noi. I bambini rappresentano il senso della vita che continua, e questo noi lo abbiamo perso. 4) Un'incredibile capacità di attendere e di sopportare. In Etiopia ho visto generazioni intere di giovani coscienti di essere quasi schiavizzati dal regime, e di subire un vero processo di depauperamento culturale: di imposizione dall'esterno di un modello. Ma avevano sempre il coraggio di non morire dentro la tragedia, di saperla sopportare giorno per giorno, cosa di cui noi siamo profondamente incapaci. Qui, se ci pescasse una crisi improvvisa, pensa quanti fra noi sarebbero incapaci di reagire. 5) Il coraggio di sperare continuamente, data la miseria e povertà. E questo al di là delle apparenze, che ci fanno credere che siano rassegnati, che siano incapaci di progredire. Invece c'è sempre un'altissima aspirazione a migliorare la propria realtà. 6) Il senso di accoglienza, della condivisione per quanto poco sia quello che hanno. Condivisione non solo delle cose, ma di se stessi, di ciò che ciascuno sente essere la propria ricchezza che per quanto riguarda le persone più anziane è quella di aver già vissuto a lungo. 7) La convinzione di essere padroni del tempo. (E per la verità c'è anche chi dice: questo è il motivo per cui non decollano mai questi paesi). Invece, a differenza di ciò che accade nel nostro mondo, effettivamente la gente ha la capacità di restare lì tre o quattro ore ad aspettare perché sente che il tempo è dono, e quindi lo deve gestire liberamente, a differenza di noi che siamo dominati dal temLATERRA 13 < Padre Giuseppe Cavallini è missionario Comboniano. Dopo avere diretto per undici anni la missione di Awasa, in Etiopia, è entrato a far parte della redazione di "Nigrizia". po e dalle cose perché ogni minuto deve essere utilizzato in qualche modo proficuo. Loro sono rimasti liberi. 8) Un rispetto radicale per la natura: piante, animali, ambiente. 9) La considerazione delle persone per quello che sono e non e per quello che h'anno, o per quello a cui sono arrivate. Quindi: il bambino, che ha un suo ruolo preciso, come anche ha dei limiti che non deve superare, ma gli adulti sono coscienti della sua dignità come bambino. E i vecchi, che sono valutati ancora come persone, persone che hanno dato tutto e quindi hanno più diritto degli altri a essere tenute in considerazione, seguite, tenute in casa: come legame con quella parte del mondo che va al di là della materia, il mondo degli antenati, il non visibile. 10) E come ultima, l'enorme potenzialità di questa nazione di giovani: il 60% degli Africani ha una età inferiore ai 25 anni. lo ho cercato di mostrare tutte· queste cose dentro a una prospettiva evangelica perché ci si renda conto di come si vive più evangelica mente nel sud del mondo che non nella nostra realtà. Con questo, io non penso che la missione non vada più fatta o che vada fatta qui da noi. Io direi che la missione diventa un concetto non più geografico, ma sempre di più un concetto evangelico. Diventa la trasmjssione di messaggi, la proposta di vita, di adesione a una serie di valori in cui si crede che va vissuta nello stesso modo dovunque ci si trovi. in questo modo tu il senso delfare missione lo indichi come un senso più ideale che non pratico e concreto. Quando penso al missionario di stampo classico come l'ho visto in Africa, penso sempre a qualcuno chefa delle cose concrete: la scuola, la vigna, le coltivazioni, il piccolo ospedale. Cose che somigliano più alla cooperazione allo sviluppo. Tu, oltre a questo, punti molto l'attenzione sulla trasmissione di valori. Diciamo che la punto proprio sul senso teologico, e la definizione della missione come tale io la inquadro qui in un senso ecclesiale. Certo, non come una volta. Fino a ieri si pensava al missionario con un'identità specifica. A me dicevano: ma come, sei comboniano e non hai la barba lunga! La nostra realtà ecclesiale vorrebbe ancora il missionario e g . ~ . e z ,.
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