Linea d'ombra - anno X - n. 70 - aprile 1992

IL CONTESTO un'enorme spesa in una fase di grandi difficoltà interne. Gli allori del vincitore sono appassiti.molto rapidamente e proprio perché, dopo la primavera del '91, la situazione interna è rapidamente peggiorata, probabilmente, nella sensazione di molti, anche a causa della guerra. · Ora, come è ben noto, molto raramente le campagne elettorali sono processi di verità. La mistificazione, l' ;;tmbiguità,l' opportunismo, il puro e semplice attacco distruttivo contro i concorrenti prevalgono di solito sulle sollecitazioni a fornire agli elettori dati di realtà o analisi fondate, programmi realistici. Questa corsa elettorale ·.nonfa eccezione, almeno per ora. Eppure, stavolta, i problemi sono così gravi i anche dietro il gran polverone sollevato dai concorrenti. Non per merito loro, bisogna dire. Anzi, è forse proprìo la scarsa statura degli aspiranti alla presidenza che lascia la mano più libera ai comrrientatori e alla stampa, che raccolgono e ripropongono i segni del disagio sociale. I giornali dunque, pur nella collocazione istituzionale entro cui si esplica, sta svolgendo una funzione sociale di una certa importanza. Il "New York Times" e il "Washington Post", "Newsweek" e "Time" stanno dicendo agli elettori che l'attuale è la peggiore crisi economica e sociale dagli anni Trenta in poi, che i destini degli individui sono determinati dalla classe sociale _cui appartengono, che· la crisi morale del paese è profonda. "Business Week" ha avuto cura di info.rmare i suoi lettori che la realtà e le prospetti ve dei giovani di meno di trent'anni sono mo)to oscure, perché i loro redditi sono più bassi ora di quanto lo erano quelli dei loro coetanei nel 1973 e perché godono e godranno nel futuro prossimo di minori coperture assistenziali. Gli stessi giornali "scoprono" ora che i dati ufficiali relativi alla disoccupazione e alla povertà sono inattendibili, e lo dicono. Mentre a Washington affermano che i disoccupati sono poco più del 7 per cento della forza lavoro, le valutazioni credibili più ottimistiche indicano che essi sono almeno il doppio, e che sono tre, quattro volte tanti in segmenti determinati di popolazione. Allo stesso modo per i poveri, che erano ufficialmente pari a una New York ìn uno foto di J Giordono/Sobo·Reo (Agenzia Controst) persona su sette nel 1990 e che saranno - almeno - una su sei nel 1991 (e sono molti di più tra le minoranze e le donne). Oggetto 'particolare di attenzione sono diventate infine le grandi città e tutta una serie di quartieri o aree al loro interno. Sono frequenti i confronti con gli "anni buoni" della crescita economica più che ventennale seguita alla seconda guerra mondiale. Spesso la realtà più lontana viene equivocata e tinta di rosa,· tuttavia non c'è dubbio che i grandi cuori pulsanti della macchina produttiva, economica e culturale statunitense sono sprofondati in crisi penose. Il degrado è generale, anche se le grandi metropoli come New York, Los Angeles, Chicago, Washington e i vecchi centri industriali come Detroit, Youngstown, Aki:on, Flint, Gary stanno peggio della media. La criminalità è la forma solita con cui la disgregazione sociale urbana arriva più spesso alla cronaca. Anche in questo caso si tratta di effetti. Le cause hanno a che fare con miseria, emarginazione, ignoranza, degrado ambientale e rivalità tra appartenenti a gruppi etnici e razziali diversi, cresciute negli ultimi anni proporzionalmente proprio con l'approfondirsi delle crisi economiche e fiscali delle metropoli. In particolare, i "piccoli nazionalismi" su cui si fondano le rivalità e i conflitti interetnici si propongono come tragico pendant al "grande nazionalismo" gonfiato dalle ultime amministrazioni Reagan e Bush. Nelle città lasciate a se stesse dall'autorità centrale, che ha tagliato i fondi con cui venivano pagati gli agenti, gli insegnanti, gli i!SSistenti sociali, i conducenti di autobus, gli spazzini, i manutentori degli impianti, e che sono state abbandonate fisicamente dagli abitanti di pelle bianca, sono in atto guerre più o meno sotterranee di tutti contro tutti in cui la mistificazione dell'appartenenza etnica va a giustificare la difesa di territori e di identità. I particolarismi etnici che regolano i rapporti interni alle diverse comunità e con le comunità contigue sono ideologie difensive: nel mosaico il cui disegno ha perduto di senso generale, le singole tesser.e "difendono" la loro supposta individualità .o integrità, anche se il terreno sul quale si dà questa difesa è degradato. Ma proprio questo è il punto, l'essere costretti a difendere quella realtà per pensare di difendere se stessi. Questo è un fallimento storico di enormi proporzioni. Non di sindacati o di movimenti minoritari che sono stati in modi diversi e con diversi livelli di brutalità repressi e soppressi o sconfitti tra i primi anni Settanta e i primi Ottanta, ma di chi è uscito vincitore da quello scontro. L'atomizzazione sociale e culturale perseguita come male minore rispetto agli antagonismi organizzati e la margina1 izzazione dei poveri perseguita da Reagan e Bush sta semplicemente facendo tremare l'intera società. Gli epicentri sono le città, e gli Stati Uniti sono un paese in cui oltre metà -della popolazione vive in città con un milione di abitanti e oltre.

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