VISTO DALL'INTERNO Incontro con Gianni Amelio a cura di Piero Spi/a Gianni Amelio (Catanzaro 1945) è uno dei nostri migliori registi cinematogragfici, per alcuni il migliore. Ha lavorato per il cinema e per la Tv, e sta peruscire il suo ultimo film, molto atteso: Il ladro di bambini. Dopo aver lavorato come aiuto-regista, ha esordito nel lungometraggio girando per la Tv nel 1973 La ciuà Gianni Amelio (Fola Esmé). del sole, da/su Tommaso Campanella, seguito da La morte al lavoro (1978) e da Il piccolo Archimede (1979), poco visto, e uno dei film più belli della produzione italiana dell'epoca, scarsa in titoli di rilievo. Si è affermato presso il pubblico con Colpire al cuore (1982) e più di recente con Porte aperte ( 1990), da un romanzo di Sciascia. Per la Tv ha anche diretto l ragazzi di via Panisperna, sul gruppo di giovani fisici italiani degli anni Trenta di cui facevano parte Fermi e Majorana. Ha insegnato regia al Centro sperimentale di cinematografia di Roma. Iniziando le riprese de Il ladro di bambini dicevi che sarebbe stato un film diverso dai tuoi precedenti. Sei ancora d'accordo? Penso che Il ladro di bambini somigl1 molto al primo film che ho fatto per la televisione, La fine del gioco, nel 1970. · A parte ce1te coincidenze di racconto (il viaggio, il treno, i . bambini) penso di averli fatti tutti e due con lo stesso stato d'animo. La differenza è che allora venivo da una specie d'indigestione di cinema, cercavo di sbarazzarmi dei modelli, non sapevo quale sarebbe stata la mia prima inquadratura.Stavolta invece, non solo ho cercato di dimenticare i film che ho visto, ma anche quelli che ho fatto. Più o meno, il rapporto è stato lo stesso. Perché questa scelta di dimenticare? I ragazzi di via Panisperna e Porte aperte sono film più o meno fatti su commissione e rigorosamente "alti", legittimati sul piano dei contenuti, peri temi che propongono. Il problema era di ritrovare da una parte una specie di nuova verginità di linguaggio, dall'altra di non sviluppare un Tema con la T maiuscola. Anche la scelta del personaggio protagonista, che di professione fa il carabiniere, segue questa intenzione di semplificare, di annullare ogni traccia d'intellettualismo. Ho cercato di evitare ogni intenzione "d'autore-" e raccontare in modo diretto, lineare, senza toni dimostrativi, o metaforici. È un .film che ti soddisfa pienamente? È un film che mi emoziona, che ha dentro una forte moralità senza però alcuna consolazione. Io non ho mai fatto film consolatori ma questo, credo, si chiude anche alla speranza. Il racconto finito è più duro di quanto pensassi scrivendolo, progettandolo. Hai sottolineato il concetto di semplicità delfilm e allo stesso tempo rifiuti le intenzioni d'autore. Puoi spiegare meglio? Il "rigore" del linguaggio.ha finito per di ventareesibizionismo in molti casi. Oggi sento un certo disagio per quella che chiamo l'arroganza dell'autore, per una stilizzazione che avrà le sue radici nobili e legittime ma che oggi rischia di apparire reazionaria .quanto il vecchio cinema tanto combattuto. Come una diversa forma di mistificazione. Rossellini diceva: "Non calcolo. So quello che voglio dire e trovo il mezzo più diretto per dirlo. Tutto qui, non mi rompo la testa. Se viene dètto, poco importa il modo in cui è detto." Forse tanti di noi, rosselliniani d'osservanza,. ci siamo scordati questo insegnamento sacrosanto. Cosa cambia sul lavoro del set? Ad esempio come è andata la realizzazi.one de Il ladro di bambini? · Trattandosi di un film a costo medio basso, senza atto1i conosciuti, ho potuto permettermi un rapporto molto libero con la sceneggiatura, un grande margine di improvvisazione. Cosa che ritengo indispensabile in ogni caso. Io ho sempre paura di "rivedere" la sceneggiatura sullo schermo, anche se sono io ad averla scritta, anche se ho avuto una collaborazione proficua importante con sceneggiatori "forti" come Rulli e Petraglia o come Vincenzo Cerami. Sul set de Il ladro di bambini mi è capitato dì scrivere le battute tra una ripresa e l'altra, di modificare l'ambientazione strada facendo, d'introdurre nuovi personaggi e tagliare quelli scritti. È unmòdo d lavorare a rischio, che presuppone una grossa libertà. fohn Huston diceva che i suoi film peggiori li hafatti quando ha potuto disporre della sua piena libertà. Penso che Huston si riferisse a un altro tipo di libertà, a tutte le volte che ha preso le distanze dal "genere" o dal sistema produttivo che era a seconda dei casi la gloria o la debolezza di Hollywood. Io non penso alla libertà legata alla cosiddetta purezza dell'autore, di chi è ossessivamente legato alle sue idee e indisponibile a metterle in discussione. Invece ho sempre voglia di trovare qualche compagno di strada nel percorso di un film. Il fatto che ci sia uno sceneggiatore o un produttore o qualcun altro con cui confrontarmi mi rende molto sereno. E paradossalmente più libero. · Dal punto di vista del linguaggio cos'è cambiato nel tuo modo di girare? Prima guardavo troppo in macchina, adesso molto meno. A parte gli scherzi, io e tutti quelli della mia generazione siamo vissuti nel mito della macchina da presa e delle sue possibilità taumaturgiche. Le preoccupazioni di linguaggio sono state preponderanti, forse eccessive, un filtro un po' pesante. Non dico che bisogna abbandonarle. queste preoccupazioni, anzi. Oggi siamo bombardati dalle immagini molto più di quanto non lo fossimo dieci, vent'anni fa; allora l'immagine andava cercata, costruita, oggi va espulsa, allontanata. Il lavoro principale è far sì che il frammento d'immagine che riesci a recuperare e proporre, sia diverso, si stacchi in un modo o in un altro da tutto ciò che la gente ormai vede, ventiquattr'ore su ventiquattro, attraverso la 65
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