Ml' MMA'.' LETTERA DALL'INDIA Roberto Rossellini a cura di Adriano Aprà Ho trovato questa lettera autografa- o meglio questa minuta di una lettera non so se spedita e a chi - fra le ca11edi Rossellini conservate dalla prima moglie Marcella De Marchis. Il suo straordinario interesse non sta tanto e solo nel fatto che in essa vengono abbozzate teorie che solo successivamente saranno sistematizzate in altri scritti e praticate nel suo cinema televisivo; quanto nel fatto che vi si rivela l'origine profonda, intima, e direi addirittura inconscia, psicoanalitica di quelle teorie e di quelle pratiche. Ho tuttavia esitato a lungo prima di renderla pubblica perché non riuscivo né sono riuscito a decifrare con sicurezza (oltre a qualche punto secondario) le due parole-che ricorrono ben cinque volte, e ogni volta con lievi differènze grafiche - da cui nasce la lunga "fantasia" di Rossellini sulle origini di Roma, sul ruolo centrale della donna "schiava", sulle civiltà prappeggiate e cucite, e sulla "vicinanza" dell'India. Le ho fatte leggere anche ad altri occhi, familiari e non, senza risultato. Credo, senza esserne certo, di poter leggere: mi 'mma, cioè la contrazione di "mia mamma" o "mia madre" in un dialetto romanesco non so quanto filologicamente esatto; ma che si voglia dire madre è comunque indubbio perché lo chiarisce Rossellini stesso. Mi colpisce questo riferimento di Rossellini alla madre anche perché raramente parla della propria rispetto a ciò che invece ha avuto occasione di dire o di scrivere sul padre. Rivelatore mi sembra a questo proposito un passo di Fragments d'une autobiographie in cui si abbandona al ricordo della madre: "( ...) Per dare un'idea di che genere di rapporti avessi col mondo, e con mia madre in particolare, racconterò una storia che risale alla mia iHfanzia. All'epoca abitavamo nella villa in cui sono nato, a piazza Sallustio, e andavo all'asilo più vicino che, tanto per cambiare, era un istituto cattolico. Un beLgiorno le direttrici dell'Istituto, da quelle brave monache che erano, pensarono di organizzare una processione in occasione di non so quale festa solenne. Noi bambini dovevai;no vestirci da angeli, tutti in bianco, con le ali sul dorso e un cero in mano. lo mi vergognavo talmente che feci giurare a mia madre che non sarebbe venuta assolutamente a vedermi iri quell'abbigliamento e, solo a questa condizione, accettai di fare l'angelo. Sfilavo con mio fratello che, a quell'epoca, mi stava sempre alle costole e, piccino com'era, si faceva ancora la pipì addosso, così che andavamo a scuola io portando il sillabario e lui un paio di pantaloncini -di ricambio. Avanzavo titubante e timoroso, gettando intorno a me sguardi circospetti per assicurarmi che nessuna persona conosciuta potesse scorgermi vestìto da angelo. All'improvviso, chi vedo in prima fila nel porticato che correva tutt'intorno al chiostro, convinta di essere ben nascosta dietro una colonna? Mia madre che, miope com'era, tendeva il collo per guardarmi. Non aveva potuto resistere al desiderio di contemplare i suoi angioletti. Venni preso da un furore così violento che la processione, almeno per me, '\enne immediatamente interrotta. Mi strappai le ali. Sferrai calci a destra e a manca. Urlavo a perdifiato. Fu necessario portarmi via con la forza. Non fui punito. Era mia madre che aveva mancato alla promessa, non io." Questo aneddoto assume ai miei occhi il valore di una confessioqe analitica: svela il desiderio del figlio di affermare la propria mascolinità e indipendenza di fronte allo sguardo troppo protettivo e oppressivo della madre. La necessità di staccarsi dal grembo materno è ribadita nella citazione di Alfred Adler che apre l'episodio lllibatez.za (1962) di RoGoPag: "L'uomo di oggi frequentemente è opprésso da una indefinibile angoscia, e nel travaglio quotidiano l'inconscio gli suggerisce un rifugio che lo protesse e lo nutrì: il grembo materno. Per quest'uomo privo ormai di se stesso anche l'amore diventa la piagnucolosa ricerca del grembo protettore." Ripercorrendo velocemente i personaggi femminili nei film di Ros60 sellini non posso fare a meno di rilevare la profonda compassione che li accompagna ma anc.he la loro irrimediabile condanna nel ruolo di vittime, anche se "sante". D'altra parte - ma qui la mia speculazione rischia di avventurarsi su terreni paludosi - mi chiedo quanto abbia giocato nelle sue storie d'amore il ruolo di maschio protettore di donne vittime delle angheri~ di altri maschi ... L'incertezza grafica di quelle due parole- mia madre- ripetute ma ostinatamente illeggibili, quasi un lapsus di scrittura, quasi indicibili in fondo, mi fa pensare che la madre, la donna, la vittima su cui si edifica la civiltà che Rossellini sente propria - Roma, e poi l'India, e i drappeggiati che costellano il suo cinema: frati francescani, apostoli, socratici, ea contrasto i turisti inglesi cuciti di}ourney to ltaly, Louis XIV... -sia il punto attorno a cui ruota l'opera di questo autore-filosofo, ma un punto quanto mai travagliato e sofferto: voce femminile seducente e avvolgente ma denegata da un uomo che non vuole esserne attanagliato e inghiottito. In questo senso il suo cinema televisivo, preannunciato a vario titolo da Paisà, da Francesco giullare di Dio, da Vi val' Italia, oltre che da India, è anche il rifiuto del femminile- e del cinema inteso come fascinazione "femminile" - delle protagoniste di Il miracolo e Una voce umana, di Stromboli, Europe 51, Journey to ltaly e Angst, e di Vanina Vanini: donne patetiche, commoventi e sconfitte (con l'unica eccezione di Giovanna d'Arco al rogo). A quel cinema e a quelle protagoniste si contrappone ora la televisione "fredda" e "maschile", e gli eroi esemplari anche se addomestica.ti che affermano senza apparenti ambiguità il trionfo del razionale. A questo punto, sarebbe interessante analizzare quanto di femminile emerga nel.suo cinema televisivo: il ritorno del rimosso. (A. A.) Cara amica, la lettera che le avevo indirizzato e che Lei ha pubblicato 1 mi ha procurato tra l'altro due inviti a pranzo e debbo confessare arrossendo che questi due inviti, coraggiosamente polemici, mi hanno procurato il pìacere di scoprire che anche qui si mostrano evidenti i segni di una cucina raffinata. Un invito l'ho ricevuto da una famiglia Bengali ed il cibo era eccellente, assolutamente senza spezie: zuppa pesce carne verdura dolci, tutto ottimo. L'altro invito l'ho avuto da una famiglia proveniente dal Kashmir. • Anzi da questi ultimi amici ho ricevuto tre inviti successivi. Due volte mi hanno gentilmente servito spaghetti. Non ali' italiana ma fatti su indicazione della padrona di casa, ottimi, e tanto buoni che mi sono fatto dare la_ricetta. Li farò cucinare a casa mia in Italia. C'è sempre da imparare. Questi due esempi confondono un poco le mie idee ma debbo insistere nel dire (pur modificando in parte il mio precedente punto di vista) che in generale quello che si mangia in India è ancora troppo spieed e quindi debboribattere il mio punto di vista. Anche se esiste una cucina raffinata, questa non è, come potrei dire, la cucina comunemente conosciuta. Vorrei far notare ad esempio una lacuna alquanto grave nella preparazione dei cibi. In un paese dove si produce tanto latte per esempio non si produce alcun formaggio. Perché? Cosa rappresenta? Perché questa assenza, di una ricerca sistematica di conforti di vita?
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