Linea d'ombra - anno X - n. 70 - aprile 1992

SAGGI /LAURENCE Alla fine giunsi alla conclusione che anche persone che -nelle relazioni con gli altri sono più o meno incapac) di esprimersi, nei rapporti con se stesse sono perfettainente in grado di percepire il mondo in termini più poetici (anche se non do molta fiducia a questa espressione) di quanto la loro voce esterna possa mostrare. Probabilmente questa è stata una semplice razionalizzazione, ma non ne sono del tutto sicura. Se avessi eliminato delle descrizioni che, al momento della scrittura mi erano sembrate così naturalmente in tono con Hagar, mi sarebbe sembrato quasi di farle un insulto. E non volevo certo rischiare di offenderla - anzi, non osavo. Così l'ho lasciata fare alla sua maniera e forse questa è l'unica cosa che possiamo fare con i nostri personaggi - cercare di lasciarli il più liberi possibile, o piuttosto, accettare il semplice dato di fatto della loro libertà. Se, come in parte tutti dobbiamo fare, scriviamo direttamente dal nostro subconscio, allora dobbiamo fidarci della voce del personaggio. Ciò non significa che non si debbano tentare delle riscritture - questo no_nfa parte del contratto. Neanche i nostri personaggi hanno il diritto di chiedere che lo scrittore non riveda minuziosamente un romanzo dopo che la prima stesura è stata completata, per estirpare le ripetizioni o potare senza pietà tutta la prosa ornata che può essere inavvertitamente spuntata come una specie di fungo velenoso. Bancroft nell'Ontario (Archivio Centro Culturale Canadese, Roma). 46 Quando venne pubblicato il mio terzo romanzo A ]est of God (Una burla di Dio), alcuni recensori lo criticarono perché, ancora una volta, si trattava di un romanzo scritto in prima persona e prevalentemente al presente indicativo, ma questa volta senza quell'equilibrio con gli eventi del passato che i flashback avevano dato a The Stone Angel. Ebbene, sono riuscita· a capire il punto di vista di quei critici - davvero mi sarebbe piaciuto poter dir loro che comprendevo benissimo le critiche e che ero parzialmente d'accordo e che se avessi potuto scrivere il romanzo in un qualsiasi altro modo, lo avrei senz'altro fatto. Non volevo scrivere un altro romanzo in prima persona, o almeno, ero convinta di non volerlo. Ho cercato più e più volte di cominciare il libro in terza persona ma, molto semplicemente, non voleva andare avanti. In quelle prime stesure le pagine iniziali erano tutte sbagliate. Erano troppo artificiose; il personaggio di Rachel non si rivelava. Così, alla fine mi arresi e smisi di fare opposizione. Cominciai a scrivere il romanzo come in realtà dovevo aver intensamente desiderato di scriverlo - in prima persona, attraverso lo sguardo cliRachel. Sapevo che ciò significava che la prospettiva del romanzo sarebbe stata limitata - ma dopotutto così era anche la vita di Rachel. Sapevo che avrei dovuto stare molto attenta, perché Rachel è un'isterica potenziale che, per un certo periodo, non si rende conto di questo suo stato, ma la prosa non avrebbe dovuto essere isterica, altrimenti avrebbe perso la capacità di comunicare la sua personalità. Sapevo che gli altri

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