SAGGI/FRYE mo che sia al di sotto del nostro standard di raffinatezza. Ma questo è un atteggiamento minore e di secondaria importanza: ciò che realmente ci attrae in ciò che erroneamente chiamiamo arte "primitiva" è piuttosto il riconoscimento di una potente convenzione operante in essa. Una tale convenzione è nell'arte visiva qualcosa di parallelo a ciò che in letteratura è l'abilità di riprodurre: indica, se addirittura non garantisce, la costante vitalità della ·tradizione che renderà possibile una regolare produzione di alta qualità. Convenzioni simili operano, o dovrebbero operare, nel1'area generalmente chiamata artigianato, ma la concorrenza unilaterale con i beni prodotti in massa ha largamente ridotto l' artigianato ad una boutique culturale, quella che io definisco come la "sindrome del portacenere". In passato ogni cosa, dagli edifici al vestiario agli oggetti domestici, subiva un certo ciclo di gusto: prima erano di moda, poi andavano fuori moda e diventavano ridicoli; in seguito si sistemavano nella più soffice atmosfera dell'antiquariato, e persone colte cominciavano ad interessarsi di nuovo ad essi, e alla fine quegli oggetti iniziavano ad assumere qualche tratto dell'arcaica dignità del primitivo. Oggigiorno, l'espansione del mercato antiquario e Ilcrescente senso del possibile valore commerciale di qualsiasi oggetto che non sia più prodotto, ha considerevolmente ridotto questo processo. La permanenza in un periodo di limbo fuori moda sarà molto breve se un pezzo di antiquariato può essere un oggetto di vent'anni prima.Ugualmente, gli immigrati dall'Europa o dall'Asia spesso rifiutano il loro patrimonio culturale nello sforzo di adattamento al nuovo paese, cosicché occorre un'altra generazione prima che si torni di nuovo alle origini. Anche quel ciclo, però, si sta abbreviando. Questo livellamento degli interessi culturali è in se stesso salutare: le sfrenate oscillazioni di mode e gusti nel passato non fanno altro che danno, e qualsiasi filosofia della conservazione deve evitare i giudizi di valore che in realtà non sono null'altro che razionalizzazioni di un impulso distruttivo. Penso al sovrintendente italiano delle antichità ne La Cabala di Thornton Wilder, la cui reputazione si basava sul suo ardore nel distruggere una chiesa barocca allo scopo di esporre un portale del XIII secolo. Il nostro atteggiamento verso il passato necessita di molta più imparzialità di quella dell'archeologo che scava tutti gli strati e i periodi culturali del luogo con egual cura. Si dovrebbe essere molto scarsi di immaginazione e curiosità per non provare qualche interesse nelle reliquie della cultura Hopewell o nelle vestigia norvegesi, se questo è il passato, a L' Anse aux Meadows in Terranova. Ma l'archeologia industriale che scopre le fabbriche di ceramica, le fabbriche di vetro e le fabbriche di mattoni dell'Ontario del XIX secolo ha anch'essa la sua importanza, dato èhe ci occorrono più tangibili ricordi del nostro immediato passato che non il mero fatto che molti di quei luoghi contengono nel loro nome la parola "fabbrica". Malgrado i migliori sforzi di riproduzione, rimane vero che qualsiasi manufatto fisico è soggetto alla rovina, specialmente se· è un oggetto situato all'aperto in un clima che ricorda il nostro. Il restauro è spesso una soluzione disastrosa: i turisti nelle cattedrali inglesi vengono a sapere parecchio sul vandalismo dei soldati di Cromwell, ma la devastazione operata dai restauratori vittoriani è stata spesso ben peggiore, anche se migliore era la motivazione. Il tipo di conservazione che abbiamo a Williamsburg e in simili 42 musei su grande scala è in un certo senso quasi anti-storico: ci mostra non la vita nel tempo come un continuo processo, ma la vita ferma ad un certo punto, in una sorta di dramma semi-permanente. Non c'è niente di sbagliato in questo, ma ci dà una •~sezione" trasversale della storia, un mondo che si confronta con noi piuttosto che precederci. Qualcosa di simile è vero negli edifici che sono un'allusione o una citazione storica, come le collegiate gotiche, le repliche delle chiese europee, o i quartieri residenziali georgiani. La tendenza a rendere il passato contemporaneo al presente è parte di ciò che Shakespeare intendeva quando diceva, rivolgendosi ~l tempo: È breve l'arco della vita, perciò guardiamo stupiti il vecchio che ci imponi come fosse nuovo, e che vogliamo credere fatto a nostro gusto piuttosto di pensare che già ne udimmo dire. In un certo senso ogni manufatto fisico è una protesta contro il tempo, un'espressione del desiderio per la permanenza in un mondo di cambiàmento. Questo è vero soprattutto per gli enormi monumenti innalzati dai re, sacerdoti e dittatori, sia per la loro gloria personale che per quella degli dèi o delle nazioni. Notiamo una persistente associazione tra tali monumenti e la morte, e dalle piramidi ai nostri sacrari è intercorsa la costante consapevolezza che la morte è più vicina della vita nel conquistare la permanenza-. Uno dei migliori capitoli di La legge di Parkinson fa alcune riflessioni sulla tendenza delle istituzioni ad innalzare gli edifici più grandi e più imponenti nel momento in cui esse stanno scomparendo, cosicché l'edificio diverita istantaneamente una sorta di cenotafio. In una capitale come Ottawa, si potrebbe forse pensare a più di un esempio degno di essere citato. In generaie, il tipo di manufatto di cui la posterità più spesso scopre di non sapere cosa farsene è anche il più difficile da rimuovere fisicamente. In ogni epoca grandi artisti si sono legati al potere e ne hanno tratto di che vivere o almeno sono vissuti senza discutere o entrare in conflitto con esso. Molti di quegli artisti che oggi veneriamo profondamente, Bach, Shakespeare, Michelangelo, erano professionisti impegnati con lavori da portare a termine e scadenze da rispettare. Tuttavia, con il passar del tempo, la visione della cultura in cui gli artisti dipendono dal mecenatismo delle loro società comincia a mutare. Nei quasi quarant'anni di insegnamento di letteratura a livello universitario, ho scoperto che William Morris è uno scrittore e un artista che non mi ha mai stancato e la cui influenza sul mio atteggiamento sociale è rimasto centrale. In Morris c'è un'apparente incoerenza/ contraddizione tra il fascino che aveva per lui la cultura medievale e la sua visione politica di sinistra. L'incoerenza/contraddizione scompare quando ci rendiamo conto che per Morris i creatori di una cultura, e coloro che le danno uno stile, non sono guerrieri, re o sacerdoti, né le idee politiche e religiose che essi sostengono, ma sono gli architetti, gli scultori e ipoeti. Il mondo ideale che egli rappresenta in News from Nowhere4 è un mondo dove ognuno è in parte un artista, anche se era particolarmente interessato alla qualità del design nelle cosiddette arti minori e funzionali che egli considera come un indizio importante per la vitalità di una cultura. Il mondo futuro di Morris non è molto interessato alla storia o a preservare il suo passato: è troppo felice di disegnare e fare cose nel presente, sebbene vi sia nel finale un 'indicazione che la prospeniva storica di quel mondo
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