l'India di Naipaul Paolo Bertinetti L'India di Naipaul è innanzitutto la folla, la miriade di persone che percorrono la strada che dall'aeroporto conduce aBombay, che si accalcano tra il traffico caotico delle città, che si stipano nelle minuscole abitazioni. Chi viaggia nei paesi del Terzo Mondo non può non restare colpito dalle fiumane di gente che incessantemente camminano lungo le strade, dal formicolare ininterrotto di uomini e donne di ogni età diretti verso chissà quale meta. Mal' India non vuole essere Terzo Mondo: è utPaese proteso verso l'occidente, verso quel la ci viltà industriale di cui, almeno per il momento, ha soprattutto subito gli aspetti più disumani. I rumori, gli odori, l'inquinamento micidiale di Bombay, si ritrovano in tutte le grandi città, in quegli impressionanti agglomerati urbani le cui enormi periferie si propagano come metastasi che stravolgono il volto degli antichi centri della civiltà indiana. Eppure, agli occhi di Naipaul, sembra quasi che emerga un qualche felice equilibrio da questa caotica commistione di nuove macchine e di vecchie moltitudini. Anche l'inverosimile affollamento negli spazi piccolissimi delle abitazioni viene trasformato in qualche cosa di positivo. La moglie di Mr. Gathe soffriva talmente nell'appartamento "grande" in cui prima viveva da indurre il marito a traslocare in un angusto alloggetto di due stanze; dove comunque non riesce a leggere se è sola, perché anche per un'attività così individuale ha bisogno di sentire la gente intorno asé. L'assenza di intimità e di riservatezza viene trasformata in un vantaggio, nel piacere e nel conforto di vivere una vita comunitaria, dove si sa tutto di tutti e dove quindi si può contare su tutti. Sono molte le rivelazioni, le piccole scoperte come questa che ci offre l'ultimo libro di Naipaul, India (Mondadori, pp. 515, traduzione di Katia Bagnoli). Il suo "sistema di indagine" è un esempio di grande giornalismo. Spesso guidato da conoscenti locali, Naipaul riesce a parlare con le persone che meglio rappresentano il volto vero dei luoghi che visita, o con coloro che meglio sanno descriverglielo. Ne viene fuori una galleria stupefacente di personaggi. E moltissimi altri ancora, di cui Naipaul ci racconta sistematicamente le origini, risalendo almeno ai noi111ip, er meglio farci capire come , essi siano arrivati a essere ciò -che sono in parallelo alle trasformazioni che l'India ha attraversato nel corso delle ultime tre o quattro generazioni. Il pregio di Naipaul è quello di saper far loro le domande giuste e poi di lasciarCONFRONTI sono le tessere di un mosaico dai in il le colori e dalle mille sfumat11re che sarebbe velleitario voler ricondurre a unità. La verità dell'India di Naipaul sta nelle sue diversità, nelle sue estraneità reciproché, nei suoi contrasti radicali e per ora insanabili . Un dato comune tuttavia c'è, ed è la fede religiosa, che "investe tutte le sfere d'attività", che guida, o almeno consola, un popolo di credenti. Fortissimo è il sentimento religioso, degli induisti, dei musulmani, dei sikh, dei seguaci del giainismo, della fede brahmo, delle sette più diverse e degli insegnamenti di qualche guru. Il problema è che spesso il senti mento religioso, in un paese in cui "la gente è sempre pronta ad affidare alla religione il fardello delle proprie sofferenze", finisce con lo sfociare nella "tirannia dei vari fondamentalismi", con l'inevitabile lascito delle più sanguinose guerre sante. Anche questo aspetto, tuttavia, sembra a Naipaul far parte del processo inevitabile attraverso cui l'India può superare il suo passato .. Naipaul si era recato in India per un lungo soggiorno nel 1962 (e il giudizio fortemente negativo sull'incontro con il paese dei suoi antenati - Naipaul è nato a Trinidad, nei Caraibi, da genitori indiani - fu affidato a un libro pubblicato due anni dopo, An Area of Darkness). Allora non aveva capito fino a che punto l 'lndia "fosse stata restituita a se stessa dopo il suo buio Medioevo", dopo le invasioni musulmane e dopo" le guerre e l'anarchia del li parlare. Ogni volta viene fuori un pezzo di mondo diverso, un pezzo di verità diversa: ' Settecento". La pace britannica dell'Impero prima, l'indipendenza poi, avevano messo in 34 moto un processo complesso, in cui il riconoscimento della propria storia e della propria civiltà (paradossalmente grazie anche agli inglesi) era stato seguito dalla circolazione del1 'idea di libertà che aveva percorso l'India intera. Ora, dopo questo nuovo viaggio, Naipaul nòn ha dubbi sulla natura di tale processo. Ma neppure ha dubbi sul fatto che "la liberazione dello spirito che era giunta in India non poteva arrivare soltanto come libertà: in India, con tutti i suoi strati di sofferenza e crudeltà, aveva portato disordine, rabbia e ribellione, e per questo adesso l'India era un Paese attraversato da un milione di piccole rivolte. Un milione di rivolte sostenute da almeno venti forme diverse di intoUeranze di gruppo, di setta, di religione, di intolleranze regionali: gli ii1izi, così pareva, della coscienza di una vita intellettuale già negata dalla -vecchia anarchia e dal vecchio disordine". A differenza dcli' India del Settecento, però, l'India di oggi ha un'idea centrale, un'idea nazionale, quell'Unione Indiana che molti di quei movimenti d'intolleranza rafforzano definendola indirettamente come fonte della legge, della civiltà e deila ragione. Ora, almeno, l'intolleranza è sentita come tale: in fondo non bisognava sperare che le rivolte scomparissero. Quelle rivolte hanno fatto parte "dell'inizio di una nuova vita per milioni di persone, della crescita e della restituzione dell'India a se stessa". Ecco perché il sottotitolo del libro è Un milione di rivolte.Nell'agitarsi spesso confuso e sanguinoso delle genti dell'India Naipaul riesce a scorgere i I segno della rinascita. Ma c'è un episodio assolutamente privo di violenza, emblematicamente posto all'inizio del libro, che meglio di tutti ci comunica il senso dell'anomalia dei percorsi attraverso cui l'India cerca il suo riscatto. Sulla strada che dall'aeroporto lo portava a Bombay Naipaul aveva scorto una folla che avanzava lentamente, formando una fila lunga più di due chilometri. Erano donne e uomini di pelle scura, gli intoccabili, i membri della più misera delle caste in cui per secoli la popolazione indiana è rimasta sciaguratamente divisa. Si recavano alla celebrazione della ricorrenza della nascita del dottor Ambedakar, ministro della Giustizia nei primo governo dell'India indipendente, che per anni era stato la guida spirituale degli intoccabili, i dalit, come si autodefiniscono, e che li aveva convinti ad abbandonare l'induismo, fonte religiosa della loro schiavitù, e a rivolgersi al buddismo. Altri capi e altri movimenti avevano poi cercato, con alterno successo, di promuovere la causa dei dalit. Ma Ambedakar restava il punto di riferimento a cui i poveri dell'India, i paria in cui sopravviveva la crudeltà dell'ideologia religiosa che li aveva costretti alla miseria, potevano ancora guardare: "capaci soltanto di rifiutare il rifiuto", privi di una linea politica, quelle migliaia di uomini e donne serene e pazienti sapevano però testimoniare una volontà di riscatto che riguardava non solo loro, ma un intero popolo.
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