Linea d'ombra - anno X - n. 70 - aprile 1992

CONFRONTI SalmanRushdiee·noi, tre anni dopo la "fatwa" di Khomeini Paolo Bertinetti Tre anni fa, nel febbraio del 1989, Khomeini decretava l'infame fatwa, la condanna a morte di Salman Rushdie per il suo Versi satanici. Da tre anni Rushdie vive in "clandestinità" facendoci giungere dal suo angosciante rifugio la sua splendida voce di narratore (Haroun e il mare delle storie) e la sua lucida voce di perseguitato. Ultimamente dalla clandestinità sono uscite non soltanto le sue parole: con un gesto pìù di testimonianza dell' inaccettabilità della sua condizione che di sfida, Rushdie è comparso in carne ed ossa a New York pochi mesi fa per una conferenza alla Columbia· University e il 14 febbraio scorso a Londra, nel corso di una manifestazione di solidarietà organizzata da un folto gruppo di scrittori in occasione del terzo anniversario dellafatwa. L'accusa contro Rushdie si ammantava delle parole della religione. Ma la ragione vera era politica: Khomeini alzava il tiro rispetto ai rivali sauditi che già avevano condannato i Versi satanici e rivendicava la leadership del mondo islamico attraverso una condanna a morte che pronunciava come vero e massimo · difensore della fede. E squisitamente politica è stata la successi va gestione della vicenda. In un articolo apparso su "Liberatiorr'' del 13 febbraio Rushdie fa il bilancio di questi suoi tre pesantissimi anni. E ricorda che quando la Gran Bretagna nel 1990 ha riallacciato le relazioni con l'Iran, le autorità iraniane avevano dichiarato la loro disponibilità a "dimenticare" la fatwa. Questo non è avvenuto; eppure le trattative tra i due Paesi per migliorare i loro rapporti proseguono a gonfie vele. "Ascoltatemi bene" dice Rushdie. "Innanzi tutto lafatwa aveva delle motivazioni politiche e resta una violazione del diritto internazionale: non si potrà trovare nessuna soluzione se non sul piano politico. Perottenere la liberazione degli ostaggi occidentali in Libano sono state messe in gioco forze grandissime, per Richter sono stati scongelati 70 milioni di sterline di proprietà irakene. Ma quanto vale la vita di un romanziere minacciato da dei terroristi?". La via "religiosa" tentata da Rushdie attraverso la sua "riconciliazione" con gli esponenti islamici si· è rivelata illusoria. "Non ho mai rinnegato la mia opera e sono stato sincero nel mio avvicinamento all'Islam", spiega Ru- . shdie. "Ma l'Islam che avevo in mente era quello che avevo conosciuto nella mia famiglia, una cultura e una civiltà aperta al dibattito, alla discussione, alle ragioni della ragione. Era un'idea 'fantastica' quella di poter contribuire alla modernizzazione del pensiero musulmano, di sottrarlo al fanatismo. Ma era un'idea nata morta". 26 I suoi interlocutori, i sei dotti islamici che avevano considerato la condanna un enorme errore e gli avevano promesso la riconciliazione, subito ritornarono sui loro passi. Quello che si dimostrava vincente era l'Islamismo Reale, altrettanto lontano dall'islamismo quanto il socialismo reale lo era dalle idee socialiste: "l'Islamismo Reale non è riuscito a creare nessuna società libera sulla faccia della tt;rra. E non poteva certo permettere che io ne difendessi l'idea". Si ritorna dunque al punto di partenza, alla natura politica e non re'ligiosa della condanna. · Gli scrittori riuniti a Londra, gli altri ancora che in occasione del 14 febbraio gli hanno scritto lettere aperte di solidarietà, hanno voluto non soltanto dirgli la loro àmicizia e il loro rispetto, ma hanno anche voluto essere strumento di pressione politica, di impegno nel senso più alto del termine. Il più chiaro, a questo proposito, è stato Mario Vargas Uosa. ·"Non dobbiamo permettere ~he un sih,nzio complice cada sulla persecuzione di cui sei vittima; né che l'opinione pubblica si abitui a ciò che ti sta accadendo. In quanto scrittori, è per una ragione morale oltre che pratica (perché in un mondo in cui trionfasse il ricatto del crimine silenzioso contro chi scrive la letteratura non potrebbe esistere) che noi abbiamo• l'obbligo di mantenere vive l'indignazione e la protesta. È nostro dovere ricordare che si tratta di un'ingiustizia intollerabile ed esigere dai governi e dall'opinione pubblica che si mobilitino fino al giorno in cui essa scompaia". Diversi sono gli accenti, diversi sono gli argomenti degli autori che hanno voluto prendere posizione a fianco di Rushdie, dalla sudafricana Nadine Gordimer ali' australiano Peter Carey, dalla canadese Margaret Atwood al portoghese Saramago, dall'americano William Styron ali' israeliano Yehoshua, da Harold Pinter a Doris Lessing, da Paul Theroux a Ishiguro. Molti di loro, in particolare Tom Stoppard che ha preso la parola all'incontro londinese, hanno messo l'accento soprattutto sul contrasto tra la civiltà occidentale moderna figlia dell'Illuminismo e vivificatadall' idea di tolleranza e il mondo islamico medioevale del fondamentalismo e del!' intolleranza. Ma acutamente Gtinter Grass, in un articolo comparso anche su "Corriere Cultura" del 23 febbraio, ha fatto notare i "sottotoni repressivi" che spesso hanno accompagnato la nostra invocazione della tolleranza e la "lealtà divisa" di molti tra gli scrittori dell'occidente, diventati complici dell'intolleranza del potere. Al di là delle differenze, però, tutti hanno sentito il dovere di schierarsi. Come ha.scritto Grass, quello di Rushdie "è anche il nostro caso, Noi abbiamo affermato che chiunque minacci lui minaccia a_nche noi. Chiunque voglia far tacere la sua voce prèndendogli la vita sta prendendo la nostra voce e, infine, le nostre vite. Salman Rushdie è tutti noi". Nell'Italia andreottiana le reazioni alla fatwa khomeinista erano state assai tiepide e spesso vili. Solo Natalia Ginzburg e pochi altri avevano saputo prendere posizione. Né le cose sono mutate di molto in questi tre anni. Di recente c'è stato Furio Colombo, subito dopo l'apparizione di Rushdie a New York; ma per il resto c'è stato il silenzio. Forse è il caso di ricordare agli autori di casa nostra che il caso di Rushdie è anche il loro caso, che chi minaccia lui minaccia anche loro. È tempo che anche i nostri scrittori scendano in campo, che anche loro contribuiscano, per usare le parole di Vatgas Uosa, a mantenere vive l'indignazione e la protesta, a esigere che l'opi_nione pubblica e i nostri pilateschi uomini politici si mobilitino per porre fine a un'ingiustizia intollerabile. PS. Subito dopo la proclamazione della fatwa è stato fondato un Comitato Internazionale per la difesa di Salman Rushdie che ha promosso e coordinato le iniziative a suo favore, tra cui quella delle lettere a Rushdie di cui si è detto. Il çomitato è ospitato dall'associazione internazionale "Artide 19", così chiamata con riferimento all'articolo 19 della Dichiarazione internazionale dei diritti dell'uomo dell'ONU. Chi vuole mettersi in contatto con il Comitato deve rivolgersi ali' associazione "Artide 19" il cui indirizzo è: 90 Borough High Street, London SEI lLL, London, England.

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