ebrei-, oltrepassa la geografia delle nazioni, e si pone come fatto di cultura; prima ancora che di generazione. L'arco della responsabilità morale nella Shoà si allarga, giorno dopo giorno, inano a mano che gli storici aprono gli archivi e che rispuntano diari, memorie, polemiche. Comprende Pio XII e la Chiesa cattolica, gli Stati che pur sapevano e che hanno atteso l'evo! versi degli eventi senza decidersi a intervenire5, le Comunità ebraiche dei paesi non occupati, in specifico quella americana 6 ; la maggioranza della popolazione che risiedeva in prossimità dei lager, delle cliniche dove si praticava l'eutanasia, dei ghetti, e di cui spesso si rileva l'indifferenza e la prontezza a profittare della situazione (case e proprietà libere, posti di lavoro da occupare, ecc.)7; tutti coloro che non essendo "schiavi" o bambini, suggerisce ancora Hannah Arendt, avevano la possibilità e il dovere morale di non ubbidire; dove l'ubbidienza significa appoggio materiale alla legge e ali' autorità che la richiedono. Resistere era mai possibile? E la domanda si allarga, lo sappiamo, a quel capitolo oscuro che vede il fratello contro il fratello. Resta pur vero il monito di Primo Levi: "nessuno può sapere quanto a lungo, e a quali prove, la sua anima sappìa resistere prima di piegarsi o infrangere"8.Mazor, come Ringelblum, nella sua analisi del ghetto di Varsavia, sostiene che chi, tra gli ebrei, avesse voluto non far paite degli Judenrat (il Consiglio della comunità ebraica) poteva ritrarsi: "Mi è capitato di sentire alcuni membri. dello Judenrat affermare che erano stati designati dai tedeschi senza il loro consenso e contro la loro stessa volontà. È possibile che, in certi casi, poco numerosi, il titolare del posto di Presidente dello Judenrat fosse stato obbligato ad accettare, ma nella stragrande maggioranza dei casi non c'è stata costrizione.( ...) In linea generale possiamo affermare che i membri dello Judenrat furono eletti anche per loro desiderio, e a questo proposito i candidati non mancavano mai"9 • Queste parole riaprono una ferita, e insieme un conflitto non mai risolto. I dirigenti delle Comunità ebraiche, i poliziotti ebrei, i collaborazionisti sono essi stessi colpevoli allo stesso modo dei loro aguzzini? Una risposta a questa domanda diventa possibile quando si parli di colpa morale. Lo dice bene Manzoni: "I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro .che, in qualche modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano l'animo degli offesi." Così la responsabilità giuridica diretta rimane appannaggio degli aguzzini nazisti. Ma c'è un altro tipo di colpa. Essa ha a che fare con la ragion di stato e con la legge. Il pericolo in cui si trova una nazione val bene la condanna di un individuo odi unaminoranza?Fu questa la motivazione "laica" che sostenne la condanna di Dreyfus. Ancora, la giustificazione legale di un comp01tamento, autorizza quel comportamento, che si può considerare così legittimato, anche se si pone contro le norme più comuni della Morale? Nel caso del regime di Hitler, fu questo aspetto della legalizzazione della illegalità assoluta a rendere, in seguito, unico nella storia, il massacro del popolo ebraico. E tutto quanto accadeva nell'ambito di un ordinamento legale che tuttavia, come ricorda Luise 24 I CONFRONTI I Rinser10 , non aveva perso completamente il senso della giustizia e dell'ingiustizia, perché, oltre agli oppositori e ai disfattisti, condannava certe forme di lassismo e di illegalità, come i furti, la corruzione amministrativa, ecc. Questa colpa grava su tutti coloro che non hanno voluto o saputo far prevalere l'idea di giustizia implicita nel senso comune, che riconosce sempre un grave torto quando si manifesti. Essa non implicava necessariamente una forma di resistenza attiva o clandestina che mettesse in pencolo la vita dell'oppositore o quella dei suoi familiari. Infine, c'è pur sempre una colpa politica: "Ogni governo si assume la responsabilità politica dei fatti e dei misfatti che lo hanno preceduto, e ogni nazione si assume la responsabilità dei fatti e dei misfatti del suo passato" 11 • "E per quanto riguarda la nazione" nello specifico "è evidente che ogni generazione, per il fatto stesso di essere nata in un continuum storico, paga le colpe dei padri esattamente come gode dei benefici dei loro meri ti". Questa articolazione della colpa morale non concede distinzioni geografiche e oltrepassa le diverse identità nazionali, valica i confini delle città e della storia, si fissa come colpa collettiva nella nostra cultura: e fa capolino ogni qual volta un individuo o una minoranza subiscono un'ingiustizia in nome di una ragione superiore. Questa colpa di tipo nuovo, che ci affratella tutti, fonda l'origine recente del nostro mondo: i cui confini sono segnati oltre che dal sorgere del sistema concentrazionario nazista, anche dalla prima esplosione nucleare su Hiroshima e Nagasaki. La seconda grande questione cui rimanda Il libro della memoria apre al tema dell'altro. Nel momento stesso in cui dico io, affermo la presenza dell'altro, la differenza. Ma di questa differenza l'uomo fa uso non per arricchire di nuovo la propria identità in un circuito infinito che dall'altro giunge all'io e poi ritorna ali' altro. In conseguenza della differenza, a volte di razza, ma spesso anche solo religiosa o culturale, l'uomo alza ban-iere, inventa persecuzioni, scopre la crudeltà. "Quando qualcuno vuole studiare gli uomini, bisogna che guardi vicino a sé; ma per studiare l'uomo bisogna imparare a condun-e lontano il proprio sguardo; per scoprirne le caratteristiche, dapprima è necessario osservare le differenze" 12 • La comprensione di una cultura diversa non è che un caso particolare di un problema ermeneutico più generale cui oggi siamo chiamati urgentemente a dare una risposta: com'è possibile comprendere l'altro? È facile affermare come su questo punto la nostra indagine sia pur sempre ancorata a pregiudizi, analisi distorte, false questioni di diritto. Il nodo, ancora intoccabile, sembra essere quello sottolineato all'inizio di questo scritto: il problema dei "tre corpi" (razza [etnia], religione, nazionalità). Steiner si interroga al proposito: "Chiediamoci se non possano esserci nella nostra costituzione biologica e comunitaria delle costanti che ci rendono molto difficile vivere con gli altri", e prosegue: "Sarebbe una straordinai·ia presunzione supporre di esserci evoluti in una sorta di creatura che ama vivere con quelli che hanno un odore diverso, un aspetto diverso, un modo di parlare diverso". 13 A fronte del sorgere di nuovi e infuocati nazionalismi e razzismi, è possibile augurarsi come fanno alcuni realisti che si possa costruire una società capace di poco razzismo, o come fanno altri, più idealisti, che l'uomo diventi un ospite, non più radicato a nessuna terra. Resta comunque il problema che trovarsi faccia a faccia con l'altro-da-sé equi vale a interrogarsi radicalmente. E mentre la società contemporanea, nella sua cultura dominante, propone un nuovo narcisismo sociale, cosicché l'io possa sempre e solo scorgere se stesso nell'altro, occorre forse superare l'indagine storica, o etnografica escavare dentro quella domanda radicale che per ora resta ancora incomprensibile, alla ricerca di un fondamento della soggèttività che oltrepassi quella nata con il sogno razionalistico del primo e del secondo Novecento. Un nuovo orizzonte di riferimento è necessario e, forse, basterebbe ripensare o ripercorrere il tunnel scavato nelle terre del capitale dalla vecchia talpa; questa volta, senza più certezze o formule precostituite, convinti che la condizione dell'uomo moderno si incarni in uno stato di precarietà che attraversa l'esistenza, le ideologie ma anche il pianeta e la specie. "Noi", scrive Giinther Anders, "che siamo gli avanzi delle due generazioni mandate a morte, noi che probabilmente siamo morti previsti t:lellaprossima guerra - come potremmo noi, che oggi siamo qui riuniti per ricordare i morti, rivolgerci l'uno all'altro c_hiamandoci Signore e Signori? No, noi qui oggi non siamo Signore e Signori, ma i superstiti. I superstiti dei milioni che sono stati annientati pernulla-e poi ancora pernulla. Che non sono caduti per la propria patria, ma per il suo disonore" 14• Note I) in "7", settimanale del "Corriere della Sera" n. 20 del luglio 1991, p. 58. 2) G. Steiner, Totem e tabù, in "Micromega", n. 4, 1991. 3) H. Arendt, K. Jaspers, Carteggio, Feltrinelli 1989. 4) H. Arendt, La banalità del male, Feltrinelli 1964. 5) Cfr. W. Laqueur, Il terribile segreto, Giuntina 1983, e anche G. Sereny, In quelle tenebre, Adelphi 1975. 6) Cfr. A.O. Morse, Mentre sei milioni morivano, Mondadori 1968. 7) Cfr. L. Poliakov, Il razzismo e lo sterminio degli ebrei, Einaudi 1955; G. Reitlinger, La soluzionefinale, Il Saggiatore 1962; Lifton, Medici nazisti, Rizzali 1988. 8) P. Levi, / sommersj e i salvati, Einaudi 1986. 9) M. Mazor, La città scomparsa, in corso di pubblicazione a cura 0 di Frediano Sessi presso Marsilio. IO) L. Rinser, Diario del carcere, Piemme 1991. 11) H. Arendt, La responsabilità personale sotto la dittatura, in "Micromega" n. 4, 1991. 12) T. Todorov, Les mora/es de l'histoire, Grasset 1991. 13) G. Steiner, cit. 14) G. Anders, Discorso sulle tre guerre mondiali, Linea d'Ombra 1990.
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