Linea d'ombra - anno X - n. 70 - aprile 1992

I CONFRONTI I III C'è nella "zona grigia" un personaggio a cui Primo Levi dedica un'attenzione particolare in Se questo è un uomo, quando analizza tre tipi umani in grado di raggiungere la salvazione. Si chiama Henri. La sua strategia consiste,"oltre che nell'organizzazione e nel furto, nello sfruttamento della pietà. Si organizza per penetrare soprattutto fra i prigionieri inglesi, relativamente privilegiati, che diventano per lui galline dalle uova d'oro: e una volta lo si è visto mangiare da solo un intero uovo sodo. Lo strumento che usa per penetrare frà loro, oltre che fra i bruti che lo comandano, è la pietà. "Ha scoperto che la pietà, essendo un sentimento primario e irriflesso, alligna assai bene, se abilmente istillato, proprio negli animi primitivi, di quelli stessi che non hanno ritegno ad abbatterci con un pugno". La pietà, che sa abilmente suscitare, è accompagnata da uno charme simile a quello del "San Sebastiano del Sodoma". È scaltro e incomprensibile come "il Serpente della Genesi". Dalla descrizione di Primo Levi si intuisce che egli riesce a sedurre anche eroticamente i soldati inglesi, gli operai civili, i francesi, gli ucraini, i polacchi, i cosiddetti politici tedeschi, i Blockalteste, i cuochi, perfino un SS; soprattutto i medici dell'ospedale del lager prima delle "selezioni". Così conclude Primo Levi: "Oggi so che Henri è vivo. Darei molto per conoscere la sua vita di uomo libero, ma non desidero riveclerlo". Finalmente mi è parso di trovare nel posto occupato da Henri quello che avrebbe potuto occupare Georges Duroy. L'ascesa di Georges Duroy nella Parigi degli anni Ottanta è dovuta in gran parte all'abile uso che sa fare del fascino esercitato sulle donne. L'unico codice personale che egli deve violare nella sua ascesa senza scrupoli è il ~uo codice maschilista più che cavalleresco: impara infatti ad accettare danaro dalle donne, a lasciarsene dominare, a controllare la propria gelosia possessiva, ad andarci a letto per interesse e non per piacere. Possiamo quindi facilmente immaginare che ad Auschwitz avrebbe sormontato senza troppa difficoltà la sua eventuale repulsione omoerotica esercitando verso coloro di cui aveva bisogno le stesse doti di charmeur con cui a Parigi sapeva sedurre donne mature e giovani, fanciulle e bambine. In questo lo avrebbe aiutato l'esperienza forse diretta, certamente indiretta, acquisita nella sua infanzia contadina in Norman• dia e nella sua giovinezza militare nelle caserme francesi e in Algeria. Un altro ostacolo alla sua salvazione avrebbe potuto essere rappresentato dal suo orrore per la morte e dalla sua viltà panica di fronte ad essa. Ma come a Parigi era riuscito a vincere l'uno e l'altra perché non poteva farne a meno se voleva raggiungere i suoi scopi di successo socìale, salvo a rimuoverne il ricordo appena finita l'esperienza, tanto più ci sarebbe riuscito nel lager, dove si trattava di salvare non la propria reputazione, ma la pelle. Ci si sarebbe abituato, senza soccombere all'orrore, e dopo, una volta libero, sarebbe riuscito a dimenticare. Se ci sembra suo il posto di Henri, non possiamo escludere che le molte sue doti gli avrebbero potuto valere una diversa collocazione. Ogni individuo infatti è unico, anche nel lager, e la fortuna e il caso hanno anch'essi la loro parte da recitare. Le doti di Georges Duroy, erano queste: 1) Era giovane, sano, forte, bello e gran seduttore. 2) Era crudele senza essere sadico. In Algeria aveva fucilato alcuni arabi solo per impadronirsi di qualche pollo, due montoni, un po' d'oro. 3) Sapeva piegarsi alla violenza quando era più debole, esercitarla quando era più forte. 5) Invidiava e disprezzava i potenti finché non raggiungeva il loro grado. Una volta raggiuntolo, il gioco dell'invidia e d.el disprezzo continuava. 22 6) Gli uomini erano solo pedine da manovrare per vincere al gioco. 7}Per sentire di essere nel suo buon diritto, doveva degradare e disprezzare le sue vittime. Anche constatare l'infamia altrui lo rallegrava. 8) Al piacere, che pure amava tanto, anteponeva il potere. In questo, se Maupassant, come scrive misteriosamente Alberto Savinio, "era un romano", Georges Duroy era un "siciliano". 9) Sapeva risparmiare le sue forze, rinviare i suoi piaceri, calcolare il rischio rispetto al profitto, per balzare più avanti. 10) Nella sua totale inconsapevolezza del bene e del male, · poteva avvalersi di una naturale capacità di piegare i desideri dell'inconscio (che Maupassant, privo ancora di moderni strumenti freudiani, chiamava arrière-pensées), invece di rimuoverli o di distorcerli, ai suoi fini consci di arrivare ad ogni costo. IV Georges Duroy, dopo avere lasciato l'esercito e l'Algeria, a Parigi ha dovuto cambiare codice di comportamento: "E guardava tutti quegli uomini seduti a tavola e che bevevano, che potevano dissetru-si a volontà. Camminava, passando davanti ai caffè con aria spavalda e sfrontata, valutando con un colpo d'occhio, dalla faccia, dal vestito, quanto danaro aveva in tasca ogni consumatore. E una collera lo invadeva contro quella gente seduta e tranquilla. Frugando nelle loro tasche si sarebbe trovato dell'oro, monete d'argento e di rame ... Mormorava: 'Porci!' continuando a pavoneggiarsi con grazia. Se avesse potuto acciuffarne uno all'angoio della strada, nell'ombra più buia, gli avrebbe torto il collo, perdio!, senza scrupoli, come faceva con i polli dei contadini nei giorni di grandi manovre. "E ricordò i suoi due anni di Africa, i1modo in cui ricattava gli arabi nelle piccole postazioni del sud ... A Parigi era diverso. Non si poteva razziare con disinvoltura, la sciabola al fianco, il revolver in pugno, lontano dalla giustizia civile, in libertà." Ho immaginato quindi clie, trovandosi ad Auschwitz, di nuovo dovesse cambiare codice di comportamento. Mi si obietterà che non è legittimo paragonare le strategie del parvenir di Georges Duroy nella Parigi di fine secolo con le strategie di sopravvivenza dei prigionieri del lager. Allo stesso inodo mi si potrebbe obiettare che non è legittimo paragonare i lager nazisti con i lager staliniani. Invece è legittimo, se non altro dal punto di vista retorico. Paragonare infatti significa sottoporre a riflessione due oggetti diversi, non eguali, per trovare affinità o divergenze. · Non ho ritenuto necessario sottolineare le divergenze tra l'universo concentrazionario e la Parigi degli anni Ottanta di fine Ottocento, come la descrive Maupassant - così affine, a mio avviso, ali' Italia di quest'altra fine secolo. Mentre infatti ledifferenze saltano agli occhi di tutti, non altrettanto accade per le affinità. L'orrore che ci pervade dinanzi alla nudità umana ad Auschwitz, alla mancanza di solidarietà, così acutamente e imparzialmente descritta da Primo Levi, si trasforma in divertita o complice tolleranza, in chiacchiera malevola, in indignazione parolaia, quando questa stessa mancanza di solidarietà - le cui strategie sono opposte a quelle del parvenir - si ammanta di tutti gli orpelli, per quanto volgari, profusi, mai come oggi da noi, dalla società civile. Se d'altra parte si esaminano rispettivamente le vite di Primo Levi e di Georges Duroy prima, durante e dopo Auschwitz, si n·otanodue diverse e opposte coerenze. La vita di Georges Duroy dopo Auschwitz? Adesso a voi l'esercizio di immaginarla, qui e ora, nell'Italia di questa fine secolo.

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