Linea d'ombra - anno X - n. 70 - aprile 1992

CONFRONTI li campo di concentramento di Bergen-Belsen (Archivio Roger Viollet dal "Magazine Littéroire"). un compagno: chi lo ha fatto (i Kapos, ma non solo loro) ne rimuove il ricordo; per contro, quasi tutti si sentono colpevoli di omissione di soccorso. La presenza al tuo fianco di un compagno più debole, o più sprovveduto, o più vecchio, o troppo giovane, che ti ossessiona con le sue richieste d'aiuto, o col suo semplice 'esserci' che già di per sé è una preghiera, è una costante della vita in Lager. La richiesta di solidarietà, di una parola umana, di un consiglio, anche solo di un ascolto, era permanente ed universale, ma veniva soddisfatta di rado. Mancava il tempo, lo spazio, la privatezza, la pazienza, la forza; per lo più, colui a cui la richiesta veniva rivolta si trovava a sua volta in stato di bisogno, di credito. "Ricordo con un certo sollievo di avere una volta cercato di ridare coraggio (in un momento in cui sentivo di averne) ad un diciottenne italiano appena arrivato, che si dibatteva nella disperazione senza fondo dei primi giorni di campo: ho scordato che cosa gli ho detto, certo parole di speranza, forse qualche bugia buona per un 'nuovo', detta con l'autorità dei miei venticinque anni e dei miei tre mesi di anzianità; comunque, gli ho fatto dono di un'attenzione momentanea. Ma ricordo anche, con disagio, di avere molto più spesso scosso le spalle con impazienza davanti alle altre richieste, e questo proprio quando ero in campo da quasi un anno, e quindi avevo accumulato una buona dose di esperienza: ma avevo anche assimilato a fondo la regola principale del luogo, che prescriveva di badare prima di tutto a se stessi." 5) Sfumature della zana grigia. "Se dipendesse da me, se fossi costretto a giudicare, assolverei a cuor leggero tutti coloro per cui il concorso nella colpa è stato minimo, e su cui la costrizione è stata massima. Intorno a noi, prigionieri senza gradi, brulicavano i funzionari di basso rango. Costituivano una fauna pittoresca: scopini, lava-marmitte, guardie notturne, stiratori dei letti (che sfruttavano a loro minuscolo vantaggio la fisima tedesca delle cuccette rifatte piane e squadrate), controllori di pidocchi e di scabbia, portaordini, interpreti, aiutanti degli aiutanti. In generale, erano poveri diavoli come noi, che lavoravano a pieno orario come tutti gli altri, ma che per mezzo litro di zuppa in più si adattavano a svolgere queste e altre funzioni 'terziarie': innocue, talvolta utili, spesso inventate dal nulla. Raramente erano violenti, ma tendevano a sviluppare una mentalità tipicamente corporativa, ed a difendere con energia il loro 'posto di lavoro' contro chi, dal basso o dall'alto, glie lo insidiava. Il loro privilegio, che del resto comportava disagi e fatiche supplementari, fruttava loro poco, e non li sottraeva alla disciplina ed alle sofferenze degli altri; la loro speranza di vita era sostanzialmente uguale a quella dei non privilegiati. "Il ·giudizio si fa più delicato e più vario per coloro che occupavano posizioni di comando: i capi (Kapos: il termine tedesco deriva direttamente da quello italiano, e la pronuncia tronca, introdotta dai prigionieri francesi, si diffuse solo molti anni dopo, divulgato dall'omonimo film di Pontecorvo, e favorita in Italia proprio per il suo valore differenziale) deUe squadre di lavoro, i capibaracca, gli scritturali, fino al mondo (a quel tempo da me neppure sospettato) dei prigionieri che svolgevano attività diverse, talvolta delicatissime, presso gli uffici amministrativi del campo, la Sezione Politica (di fatto, una sezione della Gestapo), il Servizio del Lavoro, le celle di punjzione. (...) "Ma il potere di cui disponevano i funzionari di cui si parla, anche di basso grado, come i Kapos delle squadre di lavoro, era sostanzialmente illimitato; o per meglio dire, alla loro violenza era imposto un limite inferiore, nel senso che essi venivano puniti o destituiti se non si mostravano abbastanza duri, ma nessun limite superiore. In altri termini, erano liberi di commettere sui loro sottoposti le peggiori atrocità, a titolo di punizione per qualsiasi loro trasgressione, o anche senza motivo alcuno: fino a tutto il 1943, non era raro che un prigioniero fosse ucciso a botte da un Kapo, senza che questo avesse da temere alcuna sanzione. Solo più tardi, quando il bisogno di mano d'opera si era fatto più acuto, vennero introdotte alcune limitazioni: i maltrattamenti che i Kapos potevano infliggere ai prigionieri non dovevano ridurne permanentemente la capacità lavorati va; ma ormai i I mal uso era invalso, e non sempre la norma venne rispettata." 6) I sopravvissuti. "I prigionieri privilegiati erano in minoranza entro la popolazione dei Lager, ma rappresentano invece una forte maggioranza fra i sopravvissuti; infatti, anche se non si tenga conto della fatica, delle percosse, del freddo, delle malattie, va ricordato che la razione alimentare era decisamente insufficiente anche per il prigioniero più sobrio: consumate in due o tre mesi le riserve fisiologiche dell'organismo, la morte per fame, o per malattie indotte dalla fame, era il destino normale del prigioniero. Poteva essere evitato solo con un sovrappiù alimentare, e per ottenere questo occorreva un privilegio, grande o piccolo; in altre parole, un modo; octroyé o conquistato, astuto o violento, lecito o illecito, di sollevarsi al di sopra della norma. (...) "I 'salvati' del Lager non erano i migliori, i predestinati al bene, i latori di un messaggio: quanto io avevo visto e vissuto dimostrava l'esatto contrario. Sopravvivevano di preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della 'zona grigia',. le spie. Non era una regola certa (non c'erano, né ci sono nelle cose umane, regole certe), ma era pure una regola. Mi sentivo sì innocentè, ma intruppato fra i saivati,e perciò alla ricerca permanente di una giustificazione, davanti agli occhi miei e degli altri. Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti." 7) A che serviva la violenza inutile. "Visto che li avete uccisi tutti, che senso avevano le umiliazioni, le crudeltà?", chiese la scrittrice Gitta Sereny a Franz Stangl, ex comandante di Treblinka. Questi rispose: "Per condizionare quelli che dovevano eseguire materialmente le operazioni. Per rendergli possibile fare ciò che facevano". Prima di morire la vittima doveva essere degradata, affinché l'uccisore sentisse meno il peso della sua colpa. 21

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