Linea d'ombra - anno X - n. 70 - aprile 1992

CONFRONTI sarebbe arrivato dal portico della Madeleine al portico del PalaisBourbon". In un primo tempo, pensando alla mia giovinezza,' mi ero chiesta: quale giovane, leggendo il libro, si identificherebbe in Georges Duroy? Oggi non oso chiedermelo. Mi sento infatti circondata da innumeri sosia di Georges Duroy. Non a caso, in quest'altra fine secolo, gli unici valori sembrano essere il danaro, il potere, il piacere; a qualsiasi costo, con qualsiasi mezzo. Dopo avere riconosciuto nel mio fantasma Georges Duroy, l'uomo ignobile celato sotto le sembianze accattivanti di Bel-Ami, ho capito perché si aggirava intorno ai miei pensieri su Auschwitz, e non vi si aggirava invece il fantasma di Mengele o quello di qualche anziano bravò cittadino tedesco, che come la maggior parte "non aveva saputo, non aveva visto, non aveva immaginato" o si era limitato a "eseguire gli ordini". Perché, se da un lato era un paradosso quasi comico aggirarsi nel campo di Auschwitz per varie ore al giorno e per alcune altre incontrare tanti Georges Duroy, accendendo il comando della TV, leggendo il giornale o entrando in un bar, dall'altro avvertivo un'affinità tra la privata piccola ignominia di Georges Duroy e la grande pubblica ignominia di Auschwitz. Allora mi sono imposta questo doppio esercizio mentale: 1) Immaginare come il Georges Duroy del 1885 avrebbe potuto trasformarsi in un capo delle SS addetto al campo. La conclusione è stata che non si sarebbe trasformato in un capo delle SS. Duroy infatti non era un fanatico, nessuna ideologia avrebbe fatto presa su di lui, sarebbe stato insofferente alla disciplina militare ereditata dai· prussiani, non avrebbe perciò dato affidamento. Inoltre non era sadico, era crudele all'occorrenza per ottenere un vantaggio, disposto a uccidere un povero èontadino algerino per qualche pollo, ma non per il gusto dell'uccidere. 'Ma all'in~erno del campo c'erano molte possibilità intermedie tra SS e vittime. Se a Duroy non fosse riuscito di emergere con bassi servizi di spionaggio o come procacciatore di affari e di piaceri nella cerchia di Goring o del governo di Vichy; e fosse stato destinato proprio ad Auschwitz, c'era una zona intermedia tra i potenti dov~ avrebbe potuto collocarsi; tra gli ufficiali di collegamento tra il campo e l'esterno, tra il personale dirigente delle industrie in cui lavoravano molti prigionieri o in quelle che rifornivano il campo. Anche in questa zona intermedia c'era posto per i brasseurs d' affaires, gli spioni, i procacciatori di favori e di donne, i seduttori di mogli di potenti da usare per i propri fini o ancora meglio di giovanette figlie di potenti. Non è detto che fosse necessaria un'intelligenza superiore a quella mediocre di Duroy. Basta leggere il libro di Felix Hartlaub In der Sperrzane, in particolare l'ultima parte, per rendersene conto. 2) Il secondo esercizio mentale era immaginare Georges Duroy fra i deportati del campo. Certo non vi sarebbe finito né come ebreo, né come omosessuale, né come zingaro. Ma fra i detenuti, oltre a tanti soldati polacchi, russi, greci, ai prigionieri inglesi o francesi, ai~issidenti politici veri, c'erano detenuti detti "politici" che in realtà erano detenuti comuni tedeschi, puniti anche per imbrogli e altri affari sporchi, delitti commessi non per la gloria del Reich, ma per interesse personale. Oppure possiamo immaginare che Duroy, come questi ultimi detenuti detti politici, fosse stato mandato ad Auschwitz da Vichy o da un campo di militari prigionieri francesi al confine tra i due paesi, come quello da cui Sartre era riuscito a fuggire. Georges Duroy, anche nella sua Parigi di fine secolo, ha rischiato e gli è andata bene, ma in una situazione di grande incertezza, di confusione dei codici di decifrazione della realtà, come accade in tempo di guerra, avrebbe avuto più occasioni di sbagliare nei suoi calcoli e nelle sue imprese, con margini di rischio molto maggiori. Eccolo quindi fra i detenuti di Auschwitz. Ma prima di immaginare in quale posizione di privilegio si sarebbe trovato, studieremo il campo di Auschwitz con l'aiuto di Primo Levi. II Primo Levi, deportato ad Auschwitz nel febbraio del 1944, fu liberato il 27 gennaio del 1945dalle truppe russe. Nel°l986 dichiara in un'intervista: "Ricordo di aver vissuto il mio anno di Auschwitz inuna condizione di spirito eccezionalmente viva. Non so se questo dipenda dalla mia formazione professionàle, o da una mia insospettata vitalità, o da un istinto salutare: di fatto, non ho mai smesso di registrare il mondo e gli affàri intorno a me, tanto da serbarne ancora oggi un'immagine incredibilmente dettagliata. Avevo un desiderio intenso di capire, ero costantemente invaso da una curiosità che ad alcuni è apparsa addirittura cinica, quella del naturalista che si trova trasportato in un ambiente mostruoso ma nuovo, mostruosamente nuovo ... Devo dire che l'esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto ... C'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo". All'e1,perienza concentrazionaria e alla riflessione su di essasono dedicati in particolare Se questo è un uomo (Da Silva 1947), I sommersi e i salvati (Einaudi 1986), molte delle poesie raccolte sotto il titolo Ad ora incerta (Garzanti 1984) - capovolgendo l'affermazione di Adorno "Dopo Auschwitz non si può più fare poesia" in "Dopo Auschwitz non si può più fare poesia se non su Auschwitz"-, ... oltre molti articoli, introduzioni, testi di conferenze. · Ai fini di delimitare nell'universo concentrazionario gli aspetti che servono a illustrare il tema prescelto, ho proceduto alla seguente suddivisione degli argomenti: l)Muselmann e Prominenten. "Se un qualunque Null Achtzehn vacilla, non troveràchi gli porga una mano; bensì qualcuno che lo abbatterà a lato, perché . nessuno ha interesse a che un 'mussulmano' di più si trascini ogni giorno al lavoro; e se qualcuno, con un miracolo di selvaggia pazienza e astuzia, troverà una nuova combinazione per defilarsi dal lavoro più duro, una nuova arte che gli frutti qualche grammo di pane, Disegno di J. Bernord Portridge. 19

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