Linea d'ombra - anno X - n. 70 - aprile 1992

IL CONTESTO reggere il conflitto), si deve coniugare e combinare il massimo di mobilitazione etico-simbolica e il massimo di produttività strumentale-utilitaristica. i suoi fondamenti di fede)~ Occasioni recenti di mobilitazione ético-simbolica sono state le polemiche intorno al manifesto della Benetton e alle convivenze omosessuali. Polemiche importanti perché hanno rappresentato altrettante occasioni di scontro ideologico - appunto tra maggioranza e minoranza - intorno all'assegnazione di valori. Dunque, quel conflitto sui valori va accettato e giocato fino in fondo e vanno rispettati e apprezzati gli av.versariche investono sui valori e si definiscono attraverso i valori: la chiesa cattolica, per esempio. Altro terreno di scontro è quello della produttività utilitaristicostrumentale. Qui le chances degli attori si misurano in termini di risorse e opportunità e, dunque, di programmi e di obiettivi finalizzati ad acquisire spazi, sedi, istituzioni; programmi e obiettivi capaci di interferire con fa spesa pubblica - amministrazione centrale e governo locale - pèr ottenere mezzi e strumenti. Due elementari avvertenze. Primo. I valori non sono astrazioni o proiezioni ideali: bensì contenuti delle norme che orientano i criteri di assegnazione di risorse, beni, opportunità, servizi; strut-· ture. Dunque, i conflitti di valori coinvolgono la distribuzione del potere e la definizione dei rapporti di forza. Secondo. La sfida tra maggioranza e minoranza va accettata proprio come conflitto di valori e va esaltata in quanto tale. Sulle convivenze omosessuali e sulle politiche per la prevenzione del1' Aids si scontrano due morali, non semplicemente due stili di vita o due opzioni di costume o due strategie di consumi. Mobilitazione economica e mobilitazione per il riconoscimento si intrecciano e tendono a coincidere. Le risorse possono venir conquistate solo dai titolari di identità legittimate e organizzate. Se questo è un possibile terreno di iniziativa per il movimento omosessuale, anche i rischi che comporta sono evidenti. Innanzi-• tutto; il rischio del narcisismo delle minoranze e quello, correlato, del corporativismo della sofferenza. · Due morali, dicevo: quella autoritario-sessuofobica e un'altra morale con le sue opzioni di valore (e magari, in qualche caso, con Sono tentazioni in qualcl\e misura non eludibili. Si tratta di esserne consapevoli. MicheleSerrae il circoBarnum Filippo La Porta Forse bisognerebbe dire aMichele Serra che · sta esagerando. Ma d'altra parte, questo non avviene principalmente per colpa sua. Quando in un paese l'intero orizzonte dell'opposizione politico-sociale, del malcontento, del dissenso intellettuale e perfino del disagio e delle idiosincrasie individuali, è pubblicamente rappresentato dalla satira, si finisce con il chiedere troppe cose alla satira. Serra ci aveva mostrato un notevole talento clownesco, una geniale vocazione mimetica, una rarissima capacità di combinare comicità e risentimento morale. Ma, quasi vittima del suo successo e della sua immagine, si è messo a straparlare e sentenziare su tutto (almeno nella sua veste di -editorialista dell'"Unità"): sulla guerra, sull'etica, sullo sfascio del-paese, su identità e radici, Maradona e Fidelcastro, su consociativismo e impeachment. Se appare legittimo chiedere al linguaggio della satira, in particolari momenti storici, di esprim~re i nostri umori politici, bisogna dire che Serra era molto più incisivo e scomodo (e politico) quando scriveva i suoi insuperati apocrifi. Non intendo predicare lo specialismo e la rigorosa distinzione degli ambiti disciplinari. I nostri attuali punti di riferimento politici possono essere benissimo persone che non hanno alcun rapporto con la politica professionale. Dunque non Occhetto o La Malfa, ma Vonnegut (letteratura), Trudeau (fumetto), Byrne (musica), Landis (cinema), e . così via. Nel senso che dalla loro immaginazione ci aspettiamo previsioni credibili sul futuro, indicazioni di strategie di "sopravvivenza", critica sociale e attenzione al nuovo. Ma nessuno, spero, pretenderà da Vonnegut un retorico e vibrante editoriale sulle colpe della classe dirigente! · · Un articolo che Serra ha pubblicato recentemente sull'"Unità" (in.torno al vistoso successo editoriale del comico) mi sembra per molti aspetti paradigmatico. Alla satira si riconosce (e si assegna) una "valenza costruttiva più che distruttiva": dunque non tanto prendere di mira i ricchi e i potenti(nonse ne può più), ma scoprire luoghi in cui poter evadere, sfuggire, sottrarsi. La satira non più solo come resistenza umana e autodifesa: ma come utopia e possibile salvezza. Ora, va bene che la satira deve riempire da sola uno spazio vuoto immane e desolato (non solo quello della politica, se sentiamo dire sempre più spesso che Altan è il riostro miglior narratore e Be.nni il nostro più acuto "microstorico" ...). Ma questa esclusività può anche portarla ad una pigra posizione di rendita, a ripetitività e mancanza di immaginazione, e ad una sopravvalutazione del proprio ruolo sociale, per quanto insostituibile. · Ma a-proposito di Serra, che com1mque resta uno dei pochissimi esenti da qualsiasi forma di volgarità, vorrei limitarmi a tre osservazioni. I) Senza avvedersene tende a ridurre a battuta e slogan (fatale contiguità satira-pubblicità) proprio le verità ei discorsi cqe più ci stanno a cuorè, banalizzandoli e appiattendoli. E, cosa grave per chi come lui ha un "orecchio" sensibile per gli orrori del lessico, fa uso di una prosa sempre più manieristica e artificiosa. Se "lo stile è l'uomo" (Buffon) e se "chi parla male pensa anche male" (Nanni Moretti), la questione non è soltanto di eleganza formale. Quando Serra esorta a "scappare alla strage di senso e di decenza che questo ·regimedi parole pompose e vuote perpetra", siamo quasi alla pannelliana" strage di verità". · 2) Dal tono- e dà tutto quello che scrive traspare una sovrana mancanza di dubbi su ciò che è giusto e su ciò che non lo è, che certo appartiene strutturalmente al genere satirico (come rilevò Adorno per Kraus), ma che appare giustificata soltanto in casi straordinari (diciamo dell'ordine di Kraus). Quando Piergiorgio Bellocchio, citando Brecht, scrive di mettersi "dalla parte del torto", la sua non è solo una azzeccata trovata retorica o una frase molto amara o una dichiarazione di orgoglioso anticonformismo; esprime anche un disagio e un dubbio reale. Se ci si mette ostinatamente contro il "mondo", forse· un po' in torto ci si sta davvero. Serra invece appare sempre enfaticamente "dalla parte della ragione", e proprio per questo ha successo (al contrario di Bellocchio). Ai suoi lettori insomma sa dare proprio ciò di cui hanno disperatamente bisogno: l'inebriante sensazione di essere "contro" o "fuori", ma senza eccessivi traumi; un repertorio inesauribile di furori e indignazioni e la confortevole certezza di avere comunque ragioIJ,e. 3) Nei suoi articoli risulta sempre un po' troppo ampia (e rassicurante) la distanza tra il potere e i cittadini, tra il "circo Barnuin;' che ci sgoverna e le cosiddette "avanguardie della società civile", tra la gente comune e "lor signori" (elemento di continuità questo con Fortebraccio), tra noi (ex comunisti, problematici e incorrotti) e gli altri, l'universo dei media(concuisi marca una "radicale frattura di sensibilità, di linguaggio e di cultura"). Per "opposizione" Serra intende "quel vasto insieme (non sistematico) di idee, sentimenti, aspirazioni e comportamenti che non si riconoscono nel paesaggio politico e culturale che ci circ9nda". Ma il dramma dei nostri tempi è che anche il più fiero e irriducibile Gran Rifiuto intrattiene inevitabili relazioni e complicità con quel paesaggio circostante. In più di un'occasione Serra ha fatto giustamente riferimento all'importanza del cuore, della sensibilità: ma tra i sentimenti che sono alla base della sua scrittura sembra proprio mancare quello stupore che è così fondamentale in Bellocchio. Eppure dovrebbe sapere che quando il proprio stile diventa troppo prevedibile e facilmente esplicabile in infinite copie apocrife, allora qualcosa non va. Forse per sottrarsi- all"'immenso luogo comune che ci sovrasta" occorre innanzitutto riconoscerlo dentro di noi e perfino dentro la ~atira più corrosiva e le dichiarazioni nobilmente oppositive. ...

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