Linea d'ombra - anno X - n. 70 - aprile 1992

Ancora una volta l'Italia è stata contagiata dalla febbre del voto. Chissà perché, tutti o quasi tornano periodicamente ad ammalarsene, i più da elettori, qualcuno da aspirante eletto. RitengQno, i primi e i secondi, che nonostante tutto sia da dentro il palazzo, da dentro camera e senato che si possano prendere le grandi decisioni, influire·su di esse. Che si possa e debba far politica solo in quel modo, che appare oggi più che mai compromesso, e dai cui compromessi mi pare che quasi nessuno di coloro che ci si sono infilati sia uscito, possa uscire indenne. Né dipendenti né indipendenti, né radicals né liberals, né rossi né verdi, né gialli né turchini. Anch'io naturalmente, turandomi il naso, finirò per votare (scrivo queste ·note primà del giorno nonfatidico), e forse per quel Pds che davvero non si merita molto, che nulla ha fatto davvero per dare adito a speranze e che continua ad avere come massima e vera preoccupazione la perpetuazione della mediocre o pessima casta burocratica che lo regge. Tutto cambia, e sentiamo tutti, non troppo sotterranei o lontani, i venti delle crisi a venire - internazionali e nazionali, politiche ed economiche e anche militari.:_ ma si direbbe che la politica debba stame al riparo, dentro la sua crosta di com!zioni e di beghe, salvo i soprassalti dei ricatti reciproci, anche sanguinosi. Assenza di -progetto? e passi, ché il progetto, dopo i crolli degli ultimi anni, è difficile averlo chiaro-e dovrebbe nascere anche dalla pratica, dal confronto - e l'ideologia non sorregge che i nostalgici, i più ipocriti. Ma l'assenza di criteri, di morale, di fiuto, di tensione, di disgusto, di aspirazione a una diversità pulita di fondo .e di pratica, quella non è perdonabile, e coinvolge un po' tutti coloro che fanno politica oggi, anche chi viene dai brandelli dei movimenti o che, per far politica, si è inventato movimenti che lo giustificassero e sostenessero: cioè, ancora una volta, delle "amicizie", delle clientele e dei voti. C'è davvero qualcuno che si distingua, nell'agone politico ufficiale, per una ripulsa del cattoguicciardinismo che da sempre guida le sorti del paese e corrompe popolo e governanti? Nelle organizzazioni che si contendono la nostra delega non mi par di vederlo, neanche tra le più piccole. Non è certo facile ricostruire oggi una definizione plausibile di "sinistra" e di "morale pubblica" diversa da quella, di comune accetZero-uno Goffredo Fofi Vignetta di Altan (da "Cuore"). tazione, che ha trovato solo in questi anni il suo massimo consenso grazie alla miscela"di tradizione e ricchezza, di assenza di conflittualità per classi e di crisi delle ideologie, di sovrapposizione tra corruzione privata e corruzione pubblica, tra disonestà di chi sta in alto e disonestà di chi sta in basso, tra demagogia dei politici e dei giornalisti (lo schifo delle nostre reti nazionali dette private, e di quelle altrettanto nazionali, dette pubbliche! e dei loro giornalisti e presentat_ori e imbonitori e invitati ed esperti!) e-gli interessati furori del singolo cittadino. Ma pure, da qualche parte, bisognerà mettervi mano, e val forse la pena di proporre un piccolo terreno di riflessione, provvisorie conclusioni dettate da quel tanto di maggior conoscenza del paese che ci distingue, io credo, dai politici e dai giornalisti. Non si ambisce certo a "ridefinire la poli-. tica", ma a suggerire alcune strade che paiono praticabili, dalle quali qualcosa po.trebbe forse ancora nascere se, e io voglio crederlo, non tutto è ancora perduto. Il grande ceto medio alfabetizzato e ricco al quale appartiene la grande parte del paese, nell'area privilegiata del mondo che è l'Europa occidentale, è unificato nei consumi e nei valori, e presenta al suo interno differenze socialmente e moralmente poco rilevanti. "Culturalmente", non c'è più molta differenza tra·i "criminali di pace" che fabbricano armi proprie e improprie e i loro dipendenti, tra un avvocato e un usciere, tra un banchi e-· re e un bancario. E tuttavia alJ' interno di questo magma che finge di avere diversità inconciliabili mentre nella sostanza (consumi, gusti, aspirazioni) è del tutto conforme, uguale, omologato, si nascondono oggi differenze d'altro genere, morali prima che culturali. Mi spiego: in ogni scuola, ospedale, tribunale, istituzione, fabbrica, perfino in ogni banca, c'è una maggioranza di persone che ragionano con criteri di opportunismo e secondo la logìca e gli interessi del "particulare", ma c'è quasi sempre una minoranza, magari di pochissime unità, che si comporta in modo diverso, o parzialmente diverso.· Non mi pare conti moltissimo la sua appartenenza a questo o quel partito, il fatto che sia credente o non-credente, conta il fatto si tratti di persone che credono nell' esercizio nei doveri che vengono loro dalla carica che coprono, dal lavoro che fanno in rapporto agli altri, a "utenti" o "clienti"; e che, in un paese dove dai massimi filosofi ai minimi politici tutti ce la menano con i loro diritti, sentono di avere IL CONTESTO anche dei doveri. Che tanto si parli di diritti, a tutti i livelli, dall'alto in basso di tutti gli strati e i rami della società, anche i più mascalzoni e parassitari, è un dato abituale, da molti anni; che così poco si parli di doveri è una constatazione che pochi amano fare e sulla quale filosofi e politici amano sorvolare. È da questa minoranza che pratica anche i doveri che si può partire, è questa minoranza che dovrebbe oggi dare un contributo di conoscenza e di azione, consoli-- dare uno spazio di intervento più solido e generale. li suo limite - comprensibile negli anni Ottanta, meno giustificabileoggi-èquellodi soddisfarsi della propria onestà, dell'esercizio pulito di una propria capacità-serietà professionale. Penso in particolare a quelle professioni più legate al sociale, a un sociale, e cioè a una responsabilità diretta nei confronti di un utente immediatamente visibile. E penso anche alle cosiddette forze del volontariato (ma anche lì, mi pare, c'è una maggioranza con motivazioni discutibili, con interessi e ideologie anche molto ambigui, e una minoranza di gruppi e persone frequentabili, di motivazioni accettabili, non pietiste né bigotte). E ci sono naturalmente organizzazioni e piccole istituzioni nuove, sulla cui chiarezza di analisi e possibilità di incidenza (sulla cui estraneità al modo comune di intendere la politica e i movimenti) io conservo dei dubbi, ma al cui interno accade pur qualcosa, un confronto con la società così come essa davvero è, e non come politici, giornalisti e filosofi se la figurano. È molto importante che queste forze esistano, agiscano - e forse è dovuto anche alla presenza, e forse solo a essa, di questa sorta di funzionariato sociale che crede in ciò che fa e cerca di farlo meglio che sia possibile nei limiti concessi da questa società, dalla sua corruzione e dalle sue istituzioni, se il paese non è del tutto allo sbando e alla lotta di tutti contro tutti e continua tuttavia a funzionare - ma questa esistenza, questa azione sono una condizione nessaria ma non sufficiente per cambiare qualcosa. Nel grande "ceto medio" alfabetizzato del benessere di cui fa parte la gran parte della popolazione atti va, è su questa parte che si può e deve far leva, oltre le sue opzioni immediate di tipo poli~co, le sue ideologie di riferimento. Ma non basta essere bravi nel proprio piccolo perché qualcosa cambi davvero, per agire in alternativa . 11

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