Linea d'ombra - anno X - n. 70 - aprile 1992

I MISSIONARI continuato ad appoggiare il regimedicendo no, noi sappiamo come fare, all'africana, voi siete troppo duri, eccetera. Premevano solo imissionari, poi piano piano anche i vescovi hanno cominciato: il vescovo di Songea ha scritto un libro contro la corruzione molto importante, e si sono sentite voci contrarie. I missionari riuniti nella loro associazione si sono fatti sentire. Si è pensato a come far fronte ai maltrattamenti più evidenti della gente, si è sviluppato molto l'aspetto di iniziativa nel villaggio più che nella città. Nella città poi c'era da far fronte a questa grande massa in arrivodalla campagna, una massa di giovani. Bisognava fare iniziativeperla gioventù nellecittà.Mentre noi eravamo nelle periferie cercavamo di insistere nel creare delle aree di sviluppo e di cultura per i giovani nelle campagne: solo i giovani, perché il vecchio non scappa, sono i giovani che vanno verso la città. Visitando la missione di Ndanda - la più grande missione di tutta la Tanzania, fondata dai benedettini tedeschi - ho avuto l'ùnpressione che i missionari fossero il vero CCM( il Partito della Rivoluzione - partito unico): agivano come il Partito, noleggiavano i trattori ai villaggi con un sistema per cui il costo del noleggio veniva esattamente a coprire il necessario ammortamento del trattore stesso: l'abate benedeuino calcolava i possibili rendimenti delle coltivazioni e noleggiava il trattore solo a chi dimostrava di poter ottenere un risultato economico. Sì, è sempre importante questo lavoro di tipo cooperativo che parte dalla missione. Anche noi concedevamo l'uso del trattore ai nostri villaggi nello stesso modo. E i mulini: il mulino deve creare un altro mulino a catena. Un villaggio che si è dato da fare su iniziative sociali, può essere aiutato con un·mulino in modo da permettere alle donne di non fare dieci quindici chilometri a piedi. E il mulino di macinazione non doveva servire all'arricchimento del villaggio: a parte qualche mulino andato perso, ogni mulino ne creava altri. Loro tenevano la contabilità e noi tenevamo i soldi. Una volta guadagnato abbastanza, si andava a costruirne uno nuovo in un altro villaggio, sempre con questa nostra amministrazione controllata, se no era uno sfacelo, i soldi se li portavano via. Il primo mulino che abbiamo messo, dopo un anno e mezzo ne ha creato un secondo: è stata veramente un'esplosione di interesse-ecco che cos'è l'Ujamaa: lavorare con coscienza, con umiltà per creare insieme delle strutture di produzione. E allora sapendo la gente che c'era il mulino, coltivava molto, perché, dopo, la farina la vendi. Abbiamo fatto anche un grande progetto di un impianto di lavorazionegrazieall'aiuto delCea di Bologna, che ora sta producendo mangime per tutta la Tanzania. Però poi c'è stato un intoppo burocratico, perché il governo ha proibito a questo organismo di comprare il mais e i prodotti locali perché da questo villaggio bisognava portarlo in città al silos. Dal silos una cooperativa doveva ricomprarlo e portarlo indietro: cose assurde. Eper i permessi: anni di battag!ia. Sono i soliti problemi dell'economia di stato. Nonostante l'estrema povertà la Tanzania aveva fatto qualche passo in avanti: se c'è una politica amministrativa accorta, la gente poi lavora.Ma deve vedere un risultato. Quando ti lavorano mesi e mesi nel tè e nel caffè e per sei mesi nonvengonopagati, icontadiniti bruciano il caffè. Quando per esempio li hai incoraggiati a coltivare-e invece di averne cinque, averne quindici; perché cinque li mangi durante l'anno, e dieci ti ci compri delle cose - ma poi il governo ti porta via il prodotto e dopo tre mesi non ti paga e poi ti paga solo a metà: lì si crea una brutta situazione. Le difficoltà dell'economia di stato: adesso c'è una mentalità nuova, una vogliadi creare. Se ci fosse una giustiziadi tipo economico, loro potrebbero andare avanti bene. lo parlodei villaggi, soprattutto,dove c'è un nuovo entusiasmo. Ci racconti ancora della sua missione. Io ero nel distretto di Njombe, nella missione di Iguachanwa. C'erano due scuole professionali: carpenteria e cucito. Corsi di tre anni per circa unadecina di ragazzi.Corsi di tre anni, con una disciplina fortissima e mezzi anche adeguati. Un gruppo di Como ci ha donato le macchine, abbiamo costruito un grande capannone. Il primo anno il lavoro era tutto a mano, dal secondo si lavora sulle macchine. Alla fine del corso si consegnano al ragazzo gli strumenti manuali e alla ragazza la macchina da cucire a pedale per andare al suo villaggioe iniziare la sua attività. La formazione era molto dura e severa - ma non severa con bastoni né niente di simile. Esigente, ma in qualsiasi campo: nella pulizia, nello studio, nel gioco, nella cura della persona. Se si permettevano solo di rubare una penna, la prima volta ammonimento, la seconda volta espulsione dalla scuola. Dovevano vivere lì per imparare, senza discussioni. E più eravamo severi, più eravamoape1ti:davamomu ica,spo1t,facevano le loro danze, e si facevano passeggiate con il nostro camioncino di seconda mano. Erano ragazzi dei villaggi di tutta la zona: pe1finoda lringa, avevano chiesto di partecipare. Perfino da Dar es Salaam, perché veniva ritenuta una scuola molto formativa. E qual era lo sbocco professionale? ormalmente andavano in centri grossi dove avevano già possibilità di lavorarea tempo pieno, mentre le ragazze rientravano invece al villaggio alternando le attività di cucito a quelle dell'agricoltura e della cura della casa o dei figli. Diverse ragazze sono scappate in città, dove trovavano sempre lavoro. Questo a noi non faceva molto piacere, però al villaggio a un certomomento arriva il parentedallacittà, e le spinge ad andare con lui. Invece i ragazzi erano a volte restii ad andare in città: nei villaggi della nostra zona c'era un grande sviluppocostruttivo,e loroerano favoriti.Un'altra cosa molto importante erano i trasporti, le comunicazioni. Allora con ungruppo di villaggi della zona abbiamo sistemato le strade, abbiamo fatto tre ponti, ogni villaggio doveva fare tre chilometri di strada. Ho comprato un autobus che faceva la spola tra la missione e l'ospedale più vicino, che era a cinquanta chilometri. La gente ha cominciato a sentir meno il bisognodi andare verso lacittà, ha cominciaLATERRA 21 to ad amare il villaggio, dove si viveva ormai senza problemi. Perché andare in città a lavorare quando qui abbiamo la scuola, il nostro campo, la casa? In tre anni la mentalità della gente è cambiata parecchio. I maestri di scuola stavanomoltobeneal viI!aggioperchésapevano che quando dovevano andare in città avevano l'autobus, e allora venivano volentieri, restavano in zona a lavorare volentieri. Addirittura volevamo fare un mercato di villaggio, dove la gente cominciasse a lavorare nelle case a fare dei prodottidiartigianato, che nellazonamanca· totalmente. Sarebbe stato molto interessante: avevano lamateria prima, potevano lavorarlae poi portarla incittà, e fare scambi con qualsiasi tipo di merce. Volevamo fare un centro così, piano piano, ma non abbiamo fatto in tempo. A me sembra che in Tanzania l'attività missionaria abbia delle caratteristiche particolari, rispetto ad altri paesi africani. Il missionario in Tanzania mi parla sempre di problemi pratici, di attività economica.Mentre poi, parlando con missionari che sono stati in altri paesi, mi sembrano più attenti ali' attività di evangelizzazione. Forse nella Tanzania socialista e cal/olica di Nyerere il missionario riceveva stimoli diversi? Ne abbiamodiscusso anche noi, in istituto. Qui c'è genteche viene dal Kenya, dalloZaire, dall'Etiopia. Cosa distingue la Tanzania? Che non ha avuto mai squilibri politici, e questo ha permesso alla Chiesa di mettersi al servizio dello sviluppoanche sociale. Poi e' è il fattoche i gruppi operativi in Zaire non possono andare perché è pericoloso, inUganda anche. Il Kenya ha avuto una chiusura molto grande di mezzi e di situazioniperché il Kenyavolevasvilupparsi in modo autonomo, e rifiutava questi aiuti dall'esterno da parte della Chiesa. LaTanzania nella sua povertà ha avuto bisogno. L'Etiopia, la Somalia, il Mozambico sono invece paesi distrutti dallaguerra. E diventa difficile perché non si sa mai a chi vanno a finire gli aiuti. Quindi la Tanzania è stata favorita da questa situazione di pace e stabilità del paese. Dal punto di vista dell'evangelizzazione per me è stata questa la prima preoccupazione, e quelli di cui abbiamo parlato prima ne _sonosolo i risultati concreti. Questo lavoro l'ho potuto fare attraverso le piccole comunità di base, che ho creato nella prima parte del lavoro: 72 nella prima missione,66 nella seconda. Tuttoquesto lavoro di tipo sociale era fatto con popolazioni nelle quali i cattolici erano un'estrema minoranza: in maggioranza erano musulmani e luterani, venuti con la colonizzazione tedesca. Solo nel '52 ci hanno lasciato entrare. L'evangelizzazione avveniva attraverso i piccoli gruppi: andavi in un villaggio, ricevevi quelli che volevano i sacramenti e volevano diventare cristiani, andavi a visitare i malati, poi radunavi questa piccola comunità nella formazione dei giovani uomini e donne. Tutta la comunità familiare, io ho sempre fatto così. E cominciavano ledifficoltà. Uno dei punti che arrivava sempre: dopo aver toccato il problemadella famiglia, il problema della salute, il problema dell'educazione, dovevi toccare il problema del villaggio. Allora veniva invitato dalla comunità il capo villaggio con qualcuno dei vecchi, e venivano trattati i problemi comuni. Da e ! = r ' r e :z Il

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