Linea d'ombra - anno X - n. 70 - aprile 1992

APRILE1992 - NUMERO70 LIRE9.000 ' mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo \ SPECIACLEANADA:TWOODC/ALLAGHAFNR/YE/LAURENCLEA/ YTONL/OWRY POLITICAAL,LAFINEDIUNSECOLCOA: RTOSIOEN/ QUISTK/APUSCINSKI INCONTCROI NLANDERMOO, NTERROPSEON, NA( CINEMAG:IANNAIMELIOR,OBERTRO SSELLINI .... .. ..... '

1948. Nasce Totip. 900 miliardi di vincite. 60.000 milionari. Anno dopo anno. TOTIP. Dal 1948 al lavoroper l'ippicaitaliana.

• Rivista bimestrale di cultura e di politica Bodei Memoria storica, oblio e identità collettiva / Nacci Come nasce l'antiamericanismo cattolico / Romano Usi impropri della storia / Berselli Tutti i poteri del presidente / Toniatti Il capo dello Stato e l'interesse nazionale / Rusconi E se scegliessimo un _cancelliere? I Pasquino Agenda per il neo-eletto Parlamento / Capano Verso l'ennesima riforma del pubblico impiego? I Simone Come si fa un ·professore univ_ersitario / Guarnieri L'incompiuta autonomia dell'università / Vesentini L'università dello spreco I Bianchi Il capitalismo italiano senza concentrazione I Vertone Bandiere russe: cronache del dopo Urss / Tonini L'incerta via polacca alla democrazia I Dastoli L'enigma di Maastricht In vendita nelle migliori librerie

NOVITA' PRIMAVERA 1992 Christa Woif Trama d'infanzia Il capolavoro di Christa Wolf. Una saga appassionante: la storia di una bambina, Nelly, ché cresce respirando i "quotidiani" veleni del regime nazionalsocialista; e insieme la storia dei tanti personaggi - parenti, amici, insegnanti, banali figure del nazismo "quotidiano" - che la memoria strappa al passato e fa rivivere; infine la storia di una donna che, cercando la lontana bambina che lei stessa è stata, si cerca in un oggi difficile. Attraverso l'affresco di un'epoca mostruosa, Trama d'infanzia va al cuore dell'"orribile segreto degli uomini di questo secolo: essere presenti e contemporaneamente non esserci". pp. 480, L. 36.000 edizioni e/o Kazimierz Brandys Hotel d'Alsace e altri due indirizzi L'autore di Rondò racconta in questo nuovo libro la vita di tre scrittori "scandalosi": Oscar Wilde, André Gide, Paul Léautaud. Tre personalità che hanno influenzato il loro tempo e che hanno mostrato una sorprendente propensione al "peccato". Pedofilia, omosessualità, tendenze incestuose, pratiche trasgressive, depravazione .e perversione sessuale, convivono nei tre scrittori con un moralismo molto personale. Brandys racconta le loro vit~ _ straordinarie, e la sua curiosità per gli eccessi, i paradossi e la "moralità" dei tre è veramente contagiosa. pp. 136, L. 24.000 Peter Taylor L'antica foresta Peter Taylor, vincitore del prestigioso premio Pulitzer e in Italia nel 1988 del Premio Letterario Internazionale Chianti Ruffino Antico Fattore, è riconosciuto negli Stati Uniti come maestro indiscusso della short-story. I suoi racconti, di cui Joyce Carol Oates ha detto che sono tra i più belli di tutta la letteratura americana e che il critico J onathan Y ardley ha paragonato a quelli di Henry James per capacità narrativa e per finezza psicologica, trattano i conflitti familiari, interetnici e di classe. pp. 176, L. 26.000 Elena Ferrante L'amore molesto 'l'ornata a Napoli per il funerale della madre, annegata in circostanze oscure, Delia viene a conoscenza di fatti inquietanti sulla vita di lei. Telefonate misteriose nel cuore della notte, un traffico morboso d'indumenti intimi, le strane apparizioni di un uomo laido e seducente, un tempo corteggiatore della madre, spingono Delia a un'indagine mozzafiato. Tra inseguimenti, colpi di scena, incontri inaspettati in una Napoli cupa e sfibrata, riaffiorano ricordi di un'infanzia segnàta dalla violenza e da rapporti familiari (in primo luogo quello con la madre) intensi struggenti e torbidi. Un thriller d'autore con cui si pi-esenta al pubblico una nuova scrittrice napoletana. pp. 128, L. 22.000 AA.W. Leggere gli anni verdi Scrittori e studiosi di letteratura (Bellocchio, Berardinelli, Bettin, Cases, Cherchi, Consolo, Giudici, Ramondino, Sereni, Stamane, ecc.) leggono gli "anni verdi": ci propongono qualche pagina ·- sull'infanzia, l'adolescenza, la scuola - di autori noti e meno noti. E spiegano il perché della scelta, le ragioni private e personali, danno chiavi di lettura. A cura di C. Pianciola e G. Pontremoli - Tascabili e/o pp. 200, L. 14.000 Edizioni E/O - Via Camozzi 1 00195 Roma - Tel. 06-3722829

Gruppo redazionale: Alfonso Berardinelli, Gianfranco Benin, Grazia Cherchi, Marcello Flores, Goffredo Fofi (direttore), Piergiorgio Giacchè, Gad Lerner; Luigi Manconi, Santina Mobiglia, Lia Sacerdote (direzione editoriale), Marino Sinibaldi. Collaboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Giancarfo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barerighi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Paolo Bertinetti, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Giacomo Borella, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Isabella Camera d'Afflitto, Gianni Canova, Marlsa Caramella, Caterina Carpi nato, Bruno Cartosio, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Delconte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Piera Detassis, Vittorio Dini, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Edoardo Esposito, Saverio · Esposito, Bruno Falcetto, Giorgio Ferrari, Maria Ferretti, Ernesto Franco, Guido Franzinetti, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Nicola Gallerano, Fabio Gambaro, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Gabriella Giannachi, Giovanrii Giovannetti, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca.Guidetti Serra, Giovànni Jervis, Robe1to Koch, Filippo La Porta, Stefano Levi della Torre, Mimmo Lombezzi, Marcello Lorrai, Maria Maderna, Maria Teresa Mandalari, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Roberto Menin, Paolo Mereghetti, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Grazia Neri, Luisa Orelli, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Silvio Perrella, Cesare Pianciola, Guido Pigni, Giovanni'Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Pietro Polito, Giuliano Pontara, Giuseppe Ponu·emoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Michele Ranchetti, Marco Revelli, Marco Restelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Nanni Salio, Paolo Scarnecchia,- Domenico Scarpa, Maria Schiavo, Franco Serra, Joaquin Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro· Triulzi, Gianni Turchetta, Federico Varese, Bruno Ventavoli, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi. Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche redazionali: Alberto Cristofori, Natalia Delconte Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Hanno contribuitoalla preparazione di questo numero: Massimo Cecconi, Carmen Giorgetti Cima, Emilia Lodigiani, Stefano Losurdo, Marzio Mazzara, Riccardo Noury, Maddalena Pugno, Caterina Ricci ardi, l'Assessorato alla cultura della provincia di Milano, il Centro Accademico Canadese, la segreteria del Premio Grinzane Cavour, le case editrici Feltrinelli, Iperborea, Liguori e Marcos y Marcos, le agenzie fotografiche Contrasto, Effige e Grazia Neri. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 :20124 Milano Tel. 02/6691132. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini 6 Buètinasco (Ml) - Tel. 02/45700264 Pellicole: Grafotitoli - Sesto S. Giovanni (MI) LINEA D'OMBRA - Mensile di storie, immagini, discussioni. · · Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo Ul/70% Numero 70 - Lire 9.000 LINEA D'OMBRA ILCONTESTO 4 7 9 10 12 13 15 Bruno Cartosio Ryszard Kapuscinski Per Olov Endquist · Goffredo Fofi Mario De Quarto Luigi Manconi Filippo LaPorta CONFRONTI 17 18 23 25 Michele Ranchetti Fabrizia Ramondino Frediano Sessi Lu[s Landero Notizie dall'America · Alla fine del ventesimo secolo ... La scoperta del nostro terzo mondo Zero-uno Italia Dalla crisi della nuova sinistra s·u1movimento omosessuale Michele Serra e il circo Barnum Ricordo di padre Turoldo Da Bel Ami. a Auschwitz Memoria e colpe Tra illusione e sconfitta a cura di Giuliano Soria 28 Francesco Binni Il JFK di Oliver Stone 31 Alessandra Riccio Da Cuba: i figli di Guglielmo Teli 34 Paolo Bertinetti L'India di Naipaul anno X aprile 1992 numero 70 e P. Bertinetti su RÙshdie a tre anni dallafatwa di Khomeini (a p.25), una risposta a Guy Scarpetta su Kantor di R. Palazzi e altri (a p.30). Gli autori di questo numero a p. 78. . SPECIALECANADA 37 44 49 58 Northrop Frye MargaretLaurence Malcolm Lowry, Jrving Layton, Margaret Atwood Barry Callaghan Un mondo nuovo senza rivoluzione Forma e voce nel romanzo Poesie a cura di Caterina Ricciardi Il blues di Crow Jane. Racconto INCONTRI 65 68 73 Gianni Amelio Daniel Pennac Augusto Monterroso SAGGI Momento per momento a cur.ci.di Piero Spila Gialli, metafore e stereotipi a cura di Fabio Gambara Ma non è una cosa seria a cura di J. e i. Solares E. Peralta con una nota di Danilo Manerçi 60 Roberto Rossellini Mi' mma'. Lettera dall'India con una nota di Adriano Aprà LA TERRA VISTA DALLA LUNA 7 Medici del lavoro: A. Baldàsseroni, F. Carnevale, A. Casals La.reo, Gri operatori di prevenzione (a p. 2); L. Bodini, Snop. Cosa c'è dietro una sigla (a p. 7); Edmund Wilson sugli Irochesi a Manhattan (a p. 11). I missionari: G. Cavallini, Culture a con{ronto (a p. 13), P. Gheddo, Un'idea di progresso (a p. 18), F. Cellana, Ci siamo capiti molto bene (a p. 20), tre incontri a cura di A. Berrini. · Educatori e diseducatori: Alexander S. Neill, La libe1tà funziona. L'esperienza di Summerhill (a p. 23), con una nota di G. Fresco. Notiziario: Amnesty International (a p. 32). La copertina di questo numero è di Fabidn Gonzales Negrfn. Le foto de "La Tena vista dalla L_una"sono di Massimo Siragusa (Contrasto). Si ringrazia Gilbert Reid e il Centro Culturale Candese di Roma per il contributo dato alla realizzazione di questo numero. . · · no bancario o e/e. Abbonamento annuale ( I I numeri): ITALIA L. 85.000, a mezzo a~eg postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L. IOO.O · . t richiesta DeitestidicuinonsiQIIIOI I manoscriuinonvengonorestituiti.Sipubblicanopoesieso O su r bbÌighi relativirintracciare gli aventi diritto, ci dichiariamo pronti a ouemperare ag 1 0

IL CONTESTO Notizie dall'America Bruno Cartosio Una quarantina d'anni fa, stando a quello che scriveva Gore Vidal sul "Manifesto" del 29 gennaio, l'allora segretario di stato John Foster Dulles affermò che, nella corsa agli armamenti con l'Unione Sovietica, gli Stati Uniti l'avrebbero infine spuntata se fossero stati più ricchi del rivale. Grossomodo è andata proprio così ..Ma come più recentemente diceva Isaac Asimov, riferendosi ai fantascientifici progetti della Strategie Defense Initiative: "Non penso che le guerre stellari siano fattibili e penso che nessuno le prenda sul serio. Si tratta di un marchingegno per fare andare in bancarotta i russi. Ma anche noi andremo in bancarotta"·. Asimov si sbagliava soltanto nel ritenere che nessuno avrebbe preso sul serio l'SDI. L'hanno fatto in molti; l'ultimo, come sappiamo, è stato Bo1is Eltsin nell'incontro recente con George Bush. Asimov non sbagliava, invece, quando prediceva la bancarotta anche per gli Stati Uniti. Su questo. è tuttavia opportuna qualche precisazione. La guerra fredda, con la sua corsa agli armamenti e gli enormi stanziamenti per la difesa, era stata per decenni un affare di dimensioni colossali. Su di essa l'economia degli Stati Uniti era cresciuta fino ai primi anni Settanta e di tale crescita avevano beneficiato in molti (non tutti, perché il benessere è stato sempre distribuito in modo molto ineguale). L'enorme vantaggio che gli Stati Uniti avevano sull'URSS all'uscita dalla seconda guerra mondiale e la rete delle interdipendenze costruita con le succes: sive alleanze in tutto il mondo sono state il piedestallo su cui il paese americano ha fatto poggiare la sua costante superiorità. La crisi è cominciata quando gli sconfitti della guerra sono ridiventati protagonisti sulla scena mondiale e quindi, inevitabilmente, concorrenti degli Stati Uniti. Quelle interdipendenze, che si nutrivano .della produttività e del bisogno sia di mercati, sia di alleanze politico-militari degli Stati Uniti, hanno finito per determin'are il ridimensionamento delle quote e dei pesi relativi tra i partners. In altre parole Germania e Giappone, di cui era stato necessario ricostituire appetiti e forze vitali e che perciò erano stati avvicinati alla torta, se ne sono progressivamente presi fette sempre più grandi, ridimensionando propòrzionalmente la parte disponibile agli USA E ora che la torta del mercato mondiale si allarga con )"'apertura" dell'Est, Germania e Giappone - e Europa, Corea eccetera - si trovano in condizioni di grande, inedito vantaggio. Questa situazione apre nuovi problemi. È infatti in rapporto con il proprio declino sulla scena economica che gli Stati Uniti hanno dichiarato sempre più apertamente la loro intenzione di riservarsi comunque il ruolo di tutore supremo dell'ordine mondiale: prima della guerra con l'Iraq, con quella guerra e ancora, ripetutamente, in seguito. Dichiarazioni abbastanza allarmanti in tal senso erano già venute dal capo di stato maggiore Powell il 4 febbraio. Poi, 1'8 marzo 1992, il "New York Times" anticipava il contenuto di un documento programmatico del Pentagono, in cui il ruolo di unica superpotenza mondiale veniva non solo rivendicato per sé ma, a scanso di equivoci per alleati e non, affermato come necessario per "scoraggiare" i paesi industriali avanzati "dallo sfidare la nostra leadership o dal cercare di rovesciare l'ordine politico ed economico costituito". Lungi dal pensare ad una sua riduzione, il Pentagono continua 4 a ritenere l'arsenale nucleare come deterrente indispensabile nei confronti della eventualità stessa che si 1ipresenti sulla scena, dopo la scomparsa dell'URSS, "una rivitalizzata o imprevista minaccia di dimensioni globali"; in altre parole, che Russia o Giappone ridiano vita ad ambizioni imperiali. Gli Stati Uniti sono pronti ad intervenire in ogni situazione sia come parte di una coalizione sotto l'egida delte Nazioni Unite, sia con altre coalizioni ad hoc, sia autonomamente. Quello che è importante è che tutti devono avere "la sensazione che l'ordine mondiale poggia in ultima istanza sugli Stati Uniti". Forse, in questa teorizzazione ancora senza nome poco è assolutamente nuovo: già quasi un secolo fa il primo Roosevelt aveva teorizzato l'impiego del bastone, il big stick, nei confronti dei vicini riottosi a subire l'abbraccio dello "zio" statunitense. Rispetto ad allora, però, il concetto di vicinanza è cambiato: tutto il mondo è ora "vicino". Inoltre, la qualità della deterrenza è alquanto più preoccupante. Infine, l'ansietà con cui aWashington si pensa oggi al futuro della nazione è molto lontana ormai da quella ottimistica sicurezza sui propri destini imperiali che caratterizzava i dirigenti statunitensi di inizio secolo. Nel 1992, il secolo presente è già stato e forse ha anche già smesso d~essere il "secolo americano". E da oggi in poi si può solo temere la reazione alla propria crisi di una nazione che rischia di perdere i privilegi su cui ha costruito il proprio modello di vita e la sua potenza. Oggi, mentre la superpotenza americana è impegnata a pensarsi centro di un nuovo ordine mondiale, gli alleati-concorrenti continuano a fare affari. Ma lo fanno sotto l'occhio crucciato dello Zio Sam, e la prospettiva che nasce da questo stato di cose non è rassicurante, soprattutto se si considerano, per esempio, le crescenti ostilità verso il Giappone riscontrabili ormai in tutti gli ambiti di rapp01to, da qµelli diplomatici a quelli economici a quelli dell'ideologia diffusa. Più che alleati o concorrenti, i giapponesi stanno diventando sempre più dei nemici per milioni di statunitensi convinti che qualcun altro sia responsabile del fatto che le cose vanno male. È in atto, infatti, un processo di colpevolizzazione (che è tutt'altro che senza precedenti, è opportuno dire subito) interamente fondato sulla malafede, suila strumentalizzazione ideologica e in parte anche sul pregiudizio razziale. L"'invenzione del nemico" è un· processo che include sia la endemizzazione della paranoia sociale, sia la sua canalizzazione verso l'altro da sé. Non ha quasi.nulla a che fare con la realtà. È un fenomeno pericoloso di oscurantismo. È il segno che indica l'avvenuto imbocco della galleria che conduce alla mobilitazione delle masse. Per quanto strano possa sembrare a chi non conosce la storia degli Stati Uniti, lo "stile paranoico", per dirla con Richard Hofstadter, è un tratto tipico e ricotTente dell'ideologia politica delle classi dominanti di quel paese. t in tutta la sua storia una sola volta, con il Proibizionismo, il nemico è stato visto come appartenente ali' intimo sociale della nazione invece che come qualcosa di esterno ad essa. Perfino gli antagonismi sociali e di classe, così • intimamente connessi con la stessa crescita industriale ed economìca, sono sempre stati fatti risalire a chi "non era americano". Le grandi repressioni del dopo-1886, della prima guerra mondiale e

dell'immediato primo dopoguerra, della guerra fredda e del maccartismo sono state tutte pervase e motivate dall'accusa di Un-Americanism (!;essere non-statunitensi e quindi anti-statunitensi) rivolta agli oppositori che si volevano eliminare. Se oggi la fobia antinipponica non è ancora diventata endemica negli Stati Uniti, pur avendo già dato luogo anche a fenomeni di intolleranza violenta molto significativi, lo si deve a una serie di ragioni che si intrecciano e sovrappongono. Anzitutto, da troppo poco tempo è scomparso il Grande Nemico comunista, e nel vastissimo paese sono necessari tempi lunghi perché nel senso comune generale un nuovo nemico sostituisca quello di sempre. Poi: l'assenza o scarsità di "contatto" con l'informazione e la politica, dovute a un'indifferenza in cui si combinano a loro volta passività, ignoranza, povertà, sfiducia. Naturalmente, è determinante anche il fatto che sia nel campo dell'informazione, sia in quello della politica esista chi non accetta o combatte la logica del ricorso al "pericolo giallo" per spiegare i mali del paese. Tuttavia, la penetrazione di quella fobia nel senso comune ha già raggiunto un primo risultato: la pratica della verità divisa, o delle diverse "verità" a seconda delle circostanze e delle convenienze, si è diffusa in ogni strato sociale. Qualche anno fa, vidi Lee Iacocca strappare l'applauso all'assemblea degli azionisti della Chrysler attaccando e quasi insultando i concorrenti giapponesi invasori del mercato in una parte della sua relazione annuale e poi, in un'altra fase del discorso, valorizzare la collaborazione con i costruttori giapponesi che fornivano parti e motori di ottima qualità per le automobili Chrysler. Applausi scroscianti anche in quel caso. Nel gennaio scorso, lo stesso Iacocca metteva insieme nello stesso discorso l'attacco a Pearl Harbor e l'attuale "attacco" all'industria dell'auto statunitense ("Siamo nel loro mirino ...Dobbiamo disarmarli"); e però i suoi affari con la Mitsubishi sono ancora aumentati. Non è infrequente incontrare persone che ce l'hanno con i giapponesi e poi comprano Toyota "perché loro le fanno meglio" o "perché durano di più con meno manutenzione". E i rivenditori di Dodge o di Chevrolet non riescono a spiegarsi come mai la gente continui a preferire le auto giapponesi alle loro, che montano esattamente gli stessi motori o che sono di fabbricazione "giapponese". · Tra l'altro, nonostante le decine di migliaia di licenziamenti nel settore, anche il sindacato dell'auto gioca pubblicamente e in modo sporco soltanto la carta del risentimento antinipponico tra i suoi membri (comportandosi quindi come i padroni), senza intavolare una sola lotta per la difesa dei posti di lavoro o la rivendicazione di provvidenze per i sospesi e i licenziati. Eppure, buona parte delle auto giapponesi vendute e dei motori giapponesi montati sulle auto statunitensi sono prodotti negli Stati Uniti in fabbriche sindacalizzate. In realtà, la "concorrenza sleale dei giapponesi" non c'entra nulla con la disoccupazione altissima, la diffusa povertà, la cancellazione di ogni residuo di welfare state, il degrado profondo dell'ambiente urbano. Piuttosto, i problemi sono dovuti agli effetti combinati del restringimento della quota statunitense del mercato mondiale, in atto da oltre quindici anni, e della enorme spesa per la difesa. La corsa nucleare e spaziale con l'URSS è stata troppo lunga e costosa. Lo stato che l'ha finanziata è giunto a un indebitamento senza precedenti ed è incapace di gestire la propria economia nazionale. I critici neoliberisti dello stato sociale hanno finto di non sapere che ciò che loro stessi stavano praticando negli anni di Reagan era una specie di keynesismo non dichiarato e, diciamo così, traslocato fuori del suo terreno classico: enormi finanziamenti pubblici erano sottratti alle assistenze sociali, alle città, alle scuole per essere destinati IL CONTESTO alle industrie militari e paramilitari. Venivano così sostenuti interi settori industriali e sacche limitate di occupazione, mentre la miseria sociale veniva lasciata crescere. Diminuivano i redditi delle fasce sociali medie e mediobasse; aumentavano i disoccupati delle grandi industrie pesanti, che non trovavano più lavoro o lo trovavano solo saltuario, a tempo parziale, a salari dieci volte più bassi; venivano tagliate quasi tutte le coperture assistenziali. Eppure, tanto nel discorso politico, quanto in quello giornalistico la realtà veniva_negata, deformata e piegata alle esigenze. tutte ideologiche dell'esaltazione dell' "America tornata grande". La retorica sciovinista della Casa Bianca dettava la linea di comportamento anche per i media. Ma non solo: fin dalla sua prima amministrazione, Reagan prese anche l'iniziativa di ridurre drasticamente tutte le attività federali di raccolta e organizzazione dei dati statistici nazionali. Anche i criteri di molti rilevac menti statistici vennero brutalmente alterati. Sottraendo informazioni essenziali alla formazione di conoscenza e quindi di giudizi, come sottolineava Donl)a Demac nell'unica ricerca che documentò nel 1984 le perverse innovazioni reaganiane, l'amministrazione Reagan cercava sia di ripararsi dagli sguardi degli eventuali osservatori e critici, sia di controllare i parametri del dibattito politico. Tutte le realtà sgradevoli riguardanti l'occupazione, la protesta sociale, la salute pubblica, l'assistenza, la protezione ambientale furono semplicemente non registrate o rilevate molto parzialmente. Erano gli anni, inutile forse ricordarlo, della retorica più revanscista e della promessa del vittorioso scontro finale con l'Impero del Male (per cui, tra l'altro, su una grande quantità di informazioni riguardanti anche indirettamente la difesa, la scienza e la tecnologia venne imposto il segreto). E la grande stampa nazionale si comportò allo stesso modo di trent'anni prima, in quell'altra fase acuta della guerra fredda, accodandosi alla linea politica dell'amministrazione, tacendo sulle mistificazioni ufficiali e sulla realtà che pure si offriva agli occhi dei cronisti e dei commentatori. Solo nell'ultimo paio d'anni ha fatto la sua ricomparsa quel "giornalismo critico" che è tanto giustamente celebrato, quando viene praticato. L'occasione non è stata la guerra contro l'Iraq, raccontata sulla base delle informazioni ufficiali, quanto la sempre più grave crisi sociale, economica e finanziaria del paese. Tuttavia, anche nelle frequenti discussioni attuali della recessione in corso, si ha spesso un'impressione di reticenza, come se si parlasse di una crisi senza radici, di un _disastrosenza cause. Non è affatto l'assenza della dimensione "storica" nella pratica giornalistica statunitense, si tratta molto più probabilmente della intrinseca disposizione ad accettare le verità dall'alto e i contesti dati. Il disastro sociale ed economico affiora solo da poco sulle pagine dei giornali essenzialmente per due ragioni: la prima, che la realtà è diventata talmente drammatica che è semplicemente impossibile ignorarla. E i canoni del mestiere impongono, quando di una cosa non si tace più, di parlarne il più seriamente possibile. Il che, comunque, vuol dire descriverla nella sua fenomenicità, molto più che ripercorrerne la genesi. La seconda è invece un segnale di altro tipo; è cioè da vedere come indicativo della debolezza di Bush rispetto a Reagan, vale a dire della minore capacità del presidente attuale di coprire la realtà sotto il velo dell'ideologia. La stessa vittoria contro l'Iraq, scontata in partenza anche per i più pessimisti, ha rivelato presto i suoi limiti di vittoria "soltanto" militare e si è offerta all'attenzione generale come, da una parte, incapace di portare alla soluzioQe politica dei problemi della regione e, dall'altra, come un'inutile azione dimostrativa e

IL CONTESTO un'enorme spesa in una fase di grandi difficoltà interne. Gli allori del vincitore sono appassiti.molto rapidamente e proprio perché, dopo la primavera del '91, la situazione interna è rapidamente peggiorata, probabilmente, nella sensazione di molti, anche a causa della guerra. · Ora, come è ben noto, molto raramente le campagne elettorali sono processi di verità. La mistificazione, l' ;;tmbiguità,l' opportunismo, il puro e semplice attacco distruttivo contro i concorrenti prevalgono di solito sulle sollecitazioni a fornire agli elettori dati di realtà o analisi fondate, programmi realistici. Questa corsa elettorale ·.nonfa eccezione, almeno per ora. Eppure, stavolta, i problemi sono così gravi i anche dietro il gran polverone sollevato dai concorrenti. Non per merito loro, bisogna dire. Anzi, è forse proprìo la scarsa statura degli aspiranti alla presidenza che lascia la mano più libera ai comrrientatori e alla stampa, che raccolgono e ripropongono i segni del disagio sociale. I giornali dunque, pur nella collocazione istituzionale entro cui si esplica, sta svolgendo una funzione sociale di una certa importanza. Il "New York Times" e il "Washington Post", "Newsweek" e "Time" stanno dicendo agli elettori che l'attuale è la peggiore crisi economica e sociale dagli anni Trenta in poi, che i destini degli individui sono determinati dalla classe sociale _cui appartengono, che· la crisi morale del paese è profonda. "Business Week" ha avuto cura di info.rmare i suoi lettori che la realtà e le prospetti ve dei giovani di meno di trent'anni sono mo)to oscure, perché i loro redditi sono più bassi ora di quanto lo erano quelli dei loro coetanei nel 1973 e perché godono e godranno nel futuro prossimo di minori coperture assistenziali. Gli stessi giornali "scoprono" ora che i dati ufficiali relativi alla disoccupazione e alla povertà sono inattendibili, e lo dicono. Mentre a Washington affermano che i disoccupati sono poco più del 7 per cento della forza lavoro, le valutazioni credibili più ottimistiche indicano che essi sono almeno il doppio, e che sono tre, quattro volte tanti in segmenti determinati di popolazione. Allo stesso modo per i poveri, che erano ufficialmente pari a una New York ìn uno foto di J Giordono/Sobo·Reo (Agenzia Controst) persona su sette nel 1990 e che saranno - almeno - una su sei nel 1991 (e sono molti di più tra le minoranze e le donne). Oggetto 'particolare di attenzione sono diventate infine le grandi città e tutta una serie di quartieri o aree al loro interno. Sono frequenti i confronti con gli "anni buoni" della crescita economica più che ventennale seguita alla seconda guerra mondiale. Spesso la realtà più lontana viene equivocata e tinta di rosa,· tuttavia non c'è dubbio che i grandi cuori pulsanti della macchina produttiva, economica e culturale statunitense sono sprofondati in crisi penose. Il degrado è generale, anche se le grandi metropoli come New York, Los Angeles, Chicago, Washington e i vecchi centri industriali come Detroit, Youngstown, Aki:on, Flint, Gary stanno peggio della media. La criminalità è la forma solita con cui la disgregazione sociale urbana arriva più spesso alla cronaca. Anche in questo caso si tratta di effetti. Le cause hanno a che fare con miseria, emarginazione, ignoranza, degrado ambientale e rivalità tra appartenenti a gruppi etnici e razziali diversi, cresciute negli ultimi anni proporzionalmente proprio con l'approfondirsi delle crisi economiche e fiscali delle metropoli. In particolare, i "piccoli nazionalismi" su cui si fondano le rivalità e i conflitti interetnici si propongono come tragico pendant al "grande nazionalismo" gonfiato dalle ultime amministrazioni Reagan e Bush. Nelle città lasciate a se stesse dall'autorità centrale, che ha tagliato i fondi con cui venivano pagati gli agenti, gli insegnanti, gli i!SSistenti sociali, i conducenti di autobus, gli spazzini, i manutentori degli impianti, e che sono state abbandonate fisicamente dagli abitanti di pelle bianca, sono in atto guerre più o meno sotterranee di tutti contro tutti in cui la mistificazione dell'appartenenza etnica va a giustificare la difesa di territori e di identità. I particolarismi etnici che regolano i rapporti interni alle diverse comunità e con le comunità contigue sono ideologie difensive: nel mosaico il cui disegno ha perduto di senso generale, le singole tesser.e "difendono" la loro supposta individualità .o integrità, anche se il terreno sul quale si dà questa difesa è degradato. Ma proprio questo è il punto, l'essere costretti a difendere quella realtà per pensare di difendere se stessi. Questo è un fallimento storico di enormi proporzioni. Non di sindacati o di movimenti minoritari che sono stati in modi diversi e con diversi livelli di brutalità repressi e soppressi o sconfitti tra i primi anni Settanta e i primi Ottanta, ma di chi è uscito vincitore da quello scontro. L'atomizzazione sociale e culturale perseguita come male minore rispetto agli antagonismi organizzati e la margina1 izzazione dei poveri perseguita da Reagan e Bush sta semplicemente facendo tremare l'intera società. Gli epicentri sono le città, e gli Stati Uniti sono un paese in cui oltre metà -della popolazione vive in città con un milione di abitanti e oltre.

IL CONTESTO Alla fine del· ventesimo secolo ••• Ryszard Kapuscinski traduzione di Paolo Noseda Ryszàrd Kapuscinski (Pinsk, Polonia), giornalista e scrittore, tra i più apprezzati mondialmente e in particolare nei paesi di lingua inglese, ha lavorato per vent'anni come inviato nei paesi del Terzo Mondo, per lo più come corrispondente di guerra. È autore di una dozzina di libri, tra i quali i più noti sonoShahofShahs, sulla rivoluzione iraniana, L'imperatore, sugli ultimi anni del Negus Hailé Selassiè (Serra e Riva) e la raccolta di testi giornalistici, montati e commentati dall'autore, La prima guerra del football e altre guerre dei poveri (Se~a e Riva). Sta per uscire in Polonia, in Inghilterra e in.altri paesi una sua inchiesta sulla Russia e le repubbliche dell'Est dopo gli sconvolgimenti degli ultimi anni.Il testo che segue è la registrazione dell;intervento di Kapuscinski agli incontri milanesi di "Linea d'ombra" e la Provincia di Milano su "Nord Sud Est Ovest". Ci troviamo alla fine del ventesimo secolo, un momento storico molto importante. Di solitq alla fine di un secolo, vale a dire quando un secolo giunge alla svolta finale, vi sono eventi cruciali che contrassegnano il passaggio. È accaduto nel diciottesimo secolo con la Rivoluzione francese. Il ventesimo secolo è iniziato con un'altra rivoluzione: la.Rivoluzione del 1905. E questo secolo termina con un'altra grande rivoluzione, la Rivoluzione del 1989 nell'Europa Orientale e nell'Unione Sovietica. Stiamo lasciandoci alle spalle un secolo. che ·ci ha portati a compiere esperienze drammatiche e dolorosissime: quelle di aver dovuto vivere due periodi di totalitarismo, il fascismo ed il comunismo. Lasciamo dietro di noi un secolo che si chiude con la fine della guerra fredda. La guerra fredda ha dominato la seconda metà del nostro secolo: la divisione del mondo fra Est ed Ovest, fra due ideologie, costituiva la causa pricipale di divisione di due umanità. Che cosa sostituirà ora questa grande divisione? La fine della guerra fredda ha provocato discussioni fra gli esperti e gli studiosi su che cosa accadrà ora nel mondo. Vi è stata una voce importante, quella di un eminente politologo americano che ha annunciato che tutto ciò significa che la storia del mondo è arrivata alla propria fine. Egli vede la Storia come una lotta fra idee in conflitto e, molto ottimisticamente, ha annunciato che la storia è arrivata alla sua fine a causa della disfatta delle ideologie totalitarie, poiché infatti le uniche ideologie che rimangono sono quelle della democrazia liberale e del liberalismo. Ha soggiunto che la storia deH'u9mo proseguirà in alcuni paesi dove perman·anno interessi conflittuali. Ma per la maggior parte dell'umanità - i paesi sviluppati, l'Europa e gli Stati Uniti-, in quei Paesi e in quei continenti la Storia dovrà terminare. Vi è stata un'altra opinione espressa da un altro eminente politologo americano che sostiene che il nuovo periodo che l'umanità dovrà affrontare sarà caratterizzato da conflitti fra forze di . integrazione e forze di frammentazione. Sostiene che ·considerando il periodo storico nel quale viviamo, possiamo riscontrare le due forze in conflitto. La prima è la forza dell'integrazione, della comunicazione e dell'evoluzione: l'integrazione dell'economia mondiale, l'integrazione. delle idee di pace e s_icurezza; ma dall'altro lato c'è la forza della disintegrazione che si oppone al processo di creazione di uno stato omogeneo e uni.versale. Secondo il mio punto di vista non si può parl<'fredella fine della storia. In effetti, il grande conflitto fra Est ed Ovest, il conflitto detto "guerra fredda" sarà sostituito e lo è già, in parte, lentamente, da altri tre grandi conflitti. Il primo conflitto nuovo che diviene sempre più aperto e drammatico, se consideriamo ciò che accade nel mondo, è il conflitto caratterizzato dalle forze nazionalistiche. Le forze nazionalistiche espletano un loro ruolo in .molte aree del mondo e si stanno autosviluppando: un fattore importante in seno ai rapporti internazionali attuali. Per avvalerci di un esempio estremo, facciamo il caso della Jugoslavia, ma non solo della Jugoslavia. Le ideologie nazionalistiche prendono sempre maggior forza e crescono nel mondo sempre di più. Si tratta di una cosa che permette alla gente di trovare quel senso di identità che tanto viene ricercato. La gente sta cercando di capire chi è, la gente cerca di autoidentificarsi. Ed ecco questi conflitti nazionalistici in aumento in tutto il mondo, in particolare in quelle regioni europee centrali e orienta_li, gli stati balcanici e l'ex-Unione sovietica. Il secondo conflitto .è. quello relativo alle crescenti tendenze razziste. Le tendenze razziste si autoaffermano in Europa, in USA, in Africa e in Asia. Anche questo è un movimento molto radicato che sta diventando una forza politica molto importante. La nuova posizione di forza guadagnatà dai movimenti di destra in Europa, il movimento contro l'immigrazione, il movimento per la creazio- .nedi entità etniche "pulite". Si tratta di sviluppi significativi poiché sussiste un cambiamento notevole nella composizione razziale dell'umanità. L.arazza bianca diminuisce sempre di più e costituisce una parte sempre più piccola dell'umanità. Entro la fine di questo secolo, vale a dire fra pochi anni, i bianchi nel mondo saranno il 12-13% secondo le stime del Comitato per gli studi demografici delle Nazioni Unite. Quindi i bianchi diverranno una "rarità", nel mondo contemporaneo. Circa il 90% della popolazione mondiale è costituita da persone che non sono di razza bianca e ciò rappresenta un cambiamento culturale assai importante, non solo etnico. Esso _ha provocato cambiamenti notevolissimi a livello culturale e politico per le pressioni che questo "mondo non bianco" esercita sulla popolazione dei Paesi sviluppati, in Europa in particolare e anche negli USA. , Ci troviamo di fronte a un fenomeno del tutto nuovo, perché secondo alcune stime demografiche, entro 40 anni la popolazione degli USA, per quanto attiene alla sua composizione razziale, vedrà i bianchi diventare una minoranza rispetto alle altre razze che comporranno la società americana. Vi saranno sempre meno americani bianchi. Questo è interessante perché la caratteristica comune a tutti gli immigrati in passato era che tutti cercavano di adattarsi ai valori e alla cultura americana volendo divenire parte di quella cultura. Ora assistiamo invece a un fatto nuovo: i suoi emigranti che provengono dall'Asia o dall'America Latina non provano neppure a imparare· l'inglese, non provano neppure a integrarsi culturalmente nella società americana. Un numero sempre crescente di americani non parla l'inglese, un numero sempr~ maggiore di americani non è di razza bianca. Se parlate con alcum scrittori americani - sono appena stato negli USA ed ho chiesto loro il perché di tutto ciò - rispondono sollevando il problema . dell'identità. Chi sarà "americano"? E come sarà? Fra quaranta o . cinquant'anni l'americano che verrà in Europa non sarà bianco, potrebbe essere cinese o di razza asiatica o nera, ~otrebbe ~nche non sapere l' in o lese e ciò nondimeno essere cittadmo amencano. Ecco perché si ;one agli americani un quesito drammatico: "Che significa essere americano?" · Vivevo a·Los Angeles nella parte della città detta "coreana". 7

IL CONTESTO Dove vivevo, nessuno parlava inglese, ma tutti erano cittadini americani con passaporto americano. Leggevano giornali coreani, guardavano programmi televisivi coreani.• Vi è quindi questo cambiamento, e noi dobbiamo riuscire a fronteggiare l'immagine di questa America che muta. La stessa cosa è accaduta in molti altri Paesi, e anche in un altro paese di notevoli dimensioni: l'ex Unione Sovietica. Anche in questo caso è molto difficile definire chi sia russo e chi no, perché vi è una tale mistura di popolazione che in alcune zone del paese le persone hanno problemi seri a identificarsi con una nazionalità o stato specifico. La stessa cosa vale per la lingua. Il russo è una lingua che_va progressivamente diminuendo d'importanza. Vi sono sempre meno persone che lo parlano. Mi trovavo in Armenia poco tempo fa, per esempio, e i miei amici armeni conoscevano il russo e comunicavano in russo, ma i loro figli non parlano russo e, quindi, quando desidero comunicare con i giovani, parlo con i genitori e i genitori traducono in armeno. L'anno-scorso è stata chiusa l'ultima scuola della Repubblica armena ove ('insegnamento era impartito in russo, qqindi l'intera nuova generazione di coloro che vivono in Armenia non parlano e non parleranno russo. E qualora vi capiti di visitare la capitale dell'Armenia e non conoscete l'armeno, sarete completamente persi, perché i cartelli, le iscrizioni, tutto insomma è scritto in armeno. La lingua russa fa parte delle lingue che vengono sempre più abbandonate da un numero crescente di persone. Questo problema dell'identità lo troviamo dunque anche nell'ex Unione Sovietica. La terza fonte di conflitto dinnanzi a noi - la prima era il nazionalismo, la seconda il razzismo - è il fondamentalismo religioso che perdurerà anche all'inizio del ventunesimo secolo. Naturalmente, la prima cosa che ci viene in mente è l'Islam, che è una religione molto potente e dinamica nel mondo contemporaneo. Ci sono quasi 900 milioni di seguaci di questa confessione e il numero aumenta costantemente. Si tratta della religione in seno . alla quale si registra la crescita più rapida. L'Islam ha scùole e tendenze interne diverse, ma la tendenza dominante è divenuta quella degli integralisti islamici o fondamentalisti. Si tratta della fazione più estrema e fanatica fra i seguaci dell'Islam. Vi sono tre centri in cui il fondamentalismo prospera, tre stati che stanno creando una sorta di fronte unito: l'Iran dopo la Rivoluzione di Khomeini, l'Algeria ove si registra una tendenza crescente di fondamentalismo, e il Sudan. E oltre a questi tre paesi che vengono considerati ora come la forza trainante del fondamentalismo, la stessa tendenza si riscontra anche in altri paesi di fede islamica. Abbiamo tre nuovi conflitti che hanno sostituito il vecchio della guerra fredda. Qual è il denominatore? Il denominatore comune di questo nuovo modo di confrontarsi è un forte elemento emotivo, irrazionale. Si tratta di una sorta di conflitto che in genere viene risolto con la politica del compromesso, oppure dal buon senso. Ma, allora, dov'è il pericolo reale? È nel fatto che la politica attuale è stata sovraccaricata di emotività, di irrazionalità. Se confrontiamo tra loro questi conflitti, troviamo lo stesso denominatore comune: coloro che sono coinvolti in queste lotte sono molto motivati emotivamente, e quindi è difficile trovare una piattaforma per cercare di convincerli a rivedere le proprie posizioni.L'altro fattore importante che ci unisce è l'ideologia di massa: vi sono sempre più persone coinvolte in queste lotte semplicemente perché vi sono sempre più persone al mondo. Il coinvolgimento di queste masse, spesso prive di istruzione, motivate dai loro complessi, dalla xenofobia, dall'isteria, crea un problema politico difficilissimo a livello internazionale. Un altro fattore comune di questo nuovo fronte di confronto ideologico è il bisogno di avere un nemico, il bisogno di avere davanti agli occhi un'immagine chiara del nemico, il bisogno a dell'altro, la nozione dell'altro, dello straniero che ci minaccia. Questo è un caso molto comune. In effetti le tendenze xenofobe nel mondo contemporaneo vanno verso la separazione. Tutti vogliono separarsi, tutti vogliono costituire la propria comunità etnica, religiosa o nazionalistica. Questa tendenza porta alla dissoluzione delle pregresse strutture di stato, e l'Unione Sovietica e la Jugoslavia ne sono forse l'esempio che più vi colpisce; tuttavia, possiamo trovare esempi ben più numerosi di disintegrazione e di separazione, dello stare da soli. Se si parla con gli abitanti dell'ex Unione Sovietica, per esempio, e si discute con loro, vi diranno di voler creare un paese separatooppure unaregione separata.La tendenzaalladisintegrazione dell'Unione Sovietica continuerà. Vediamo ora solo laprima ondata delladisintegrazione, cioè ladisintegrazione dell'ex Unione Sovietica e la creazione di parecchie nuove Repubbliche o entità statali tra cui, dopo la Russia, l'Ucraina è la più grande. Si è trattato però solo della prima ondata._Ora ci stiamo avvicinando a una nuova ondata di disintegrazione che si verificherà sul territorio dell'ex Unione Sovietica: la disintegrazione ali' interno delle Repubbliche. Il processo di disintegrazione inizierà dalla Repubblica Federale Russa. Spesso sulla stampa Boris Eltsin viene definito il Presidente della Russia. Non è giusto. La Russia non esiste in quanto stato e non è mai esistita nella storia, ciò che .abbiamo ora è una Federazione Russa e Eltsin ne è il presidente. Tuttavia, egli è Presidente di 34 repubbliche e regioni diverse e autonome, e molte di esse vogliono riguadagnarsi l'indipendenza, molte hanno all'interno un movimento che mira a lasciare la Repubblica Russa e a proseguire indipendentemente. Prendiamo i tartari, oppure, coloro che vivono in tanti territori della Russia. Dite loro che Eltsin è il loro Presidente, si offenderanno e diranno di volere una loro Repubblica. Vogliono rompere, lasciare, separarsi dalla Russia. ·Presto avremo una nuova ondata di forze di disintegrazione nell'Unione Sovietica perché ali' interno delle Repubbliche verrà attivato un processo di disintegrazione. La Russia ne è un esempio classico, ma la stessa situazione si verificherà presto anche in Ucraina e in altre Repubbliche, come per esempio, in Georgia. La tendenza generale a livello mondiale è quella che mira alla costituzione di un numero sempre maggiore di stati di piccole dimensioni. Si tratta dell'ultima fase di decolonizzazione, perché, dopotutto, che cos'altro si sta verificando se non questo? Uno dei fattori più importanti della storia del ventesimo secolo è stata la disintegrazione del mondo coloniale. È iniziato negli anni Cinquanta, dopo la seconda guerra mondiale, e lentamente i continenti sono divenuti formalmente indipendenti: Africa, Medio Oriente, Asia, America Latina... Ora, questo processo riguarda anche i territori dell'ex Unione Sovietica. Con la decolonizzazione dell'ex Unione Sovietica, dovremo avere un mondo completamente decolonizzato. Avremo un mondo in cui il processo di creazione dì nuovi stati continuerà al di là del ventesimo secolo. Ora abbiamo oltre 160 stati che sono membri delle Nazioni Unite e ci stiamo avvicinando a un mondo che, probabilmente, sarà composto da 200 stati. Si tratta di una cosa che va al di là della nostra comprensione attuale. Quando iniziarono i lavori di costruzione del palazzo delle Nazioni Unite a New York - il palazzo che esiste attualmente - si pensava che potesse servire da sede per 43 paesi. Questo progetto venne molto criticato perché nessuno riusciva a capire ct>memai potessero esistere 43 paesi al mondo. Questo 30 o 40 anni or sono. E una prova lampante dell'imprevedibilità del mondo. Il problema è di capire il futuro, e che la nostra immaginazione non è in grado di inventare l'iinmagine del mondo che verrà. Perché quest'immagine oltrepassa la nostra immaginazione attuale. Vi ho parlato di quelle che per me costituiscono le tre principali

minacce di conflitto che ci troviamo di fronte al momento di lasciarci alle spalle il ventesimo secolo, secolo in cui oltre 100 se non addirittura 120 milioni di persone sono state uccise. Un secolo di drammi e di tensioni, ma d'altro canto anche molto ottimista. Questi tre pericoli che ho citato - il nazionalismo, il razzismo e il fondamentalismo religioso - sono accompagnati da un quarto che, anche questo, è di difficile comprensione perché non arriviamo a immaginarlo: è il problema degli armamenti atomici che si trovano sulla superficie del nostro pianeta. Si tratta di un pericolo che può essere scomposto in due pericoli distinti: l'uno è quello dell'arsenale, degli armamenti atomici e nucleari nel territorio dell'ex Unione Sovietica e le divergenze che sussistono in seno all'ex Unione Sovietica su chi controllerà tale arsenale. Il volume di distruzione di questo potenziale atomico è, secondo i dati dell'Agenzia atomica di Vienna, in grado di distruggere la nostra terra, il nostro pianeta, 161volte. Un enorme arsenale di armamenti che nessuno sa veramente come distruggere. È una situazione paradossale, quella della distruzione degli armamenti, non solo atomici ma anche convenzionali. Un anno fa è stato sottoscritto un accordo fra l'Est e l'Ovest secondo il quale si sarebbe proceduto IL CONTESTO alla distruzione dei carri·armati. I russi devono distruggere 42.000 carri armati. Se li si mette in fila, coprirebbero la distanza fra Parigi e Bangkok. Ma non.esiste una tecnologia che permetta la distruzione di tutti questi carri armati. E i carri quindi sono ancora lì perché non c'è una'tecnòlogia adatta alla loro çlistruzione, nessuno sa come fare a distruggerli tutti. Ritornando agli armamenti atomici, il loro controllo è un vero problema. Il controllo degli arsenali è un problema. Tutto a questo punto viene·lasciato al buonsenso, tutto si basa solo sulla speranza che nessuno cercherà di usare queste armi. Ma si tratta di una visione ottimistica. Alcuni hanno una visione pessimistica e sostengono che fra poco al mondo vi saranno nuovi stati che possono essere sottosviluppati, con società assai arretrare, ma che avranno armi di distruzione nucleare e chimica. In una situazione simile si trovano paesi come, per esempio, l'Irak. E presto avremo un gruppo ciinuovi stati che avranno all'interno dei loro confin1,a loro disposizione, armi di distruzione di massa. Questa combinazione di irrazionalità e la presenza di armi incontrollate è un problema che preoccupa molti politologi e politici. E non vi è per questo ' problema una soluzione immediata. La scoperta del nostro terzo mondo Per Olov Enquis( traduzione di Carmen Giòrgetti Cima Per Olov Enquist (Skelleftea 1934), critico letterario e teatrale, drammaturgoe romanziere,giornalistae commentatorepolitico, è autore di drammimessiin scenainmoltipaesie di molti romanzial marginedel saggio, del reportageo della ricerca storica, tra i quali Hess, Il quinto inverno dell'ipnotizzatore, La cattedrale olimpica (sulle tragiche Olimpiadidi Monaco), I legionari (oL'estradizione dei baltici), e dopo anni dedicatial teatro (La notte delle tribadi, A Fedra, I serpenti della pioggia ...), Angelo caduto dal cielo (1985) e La biblioteca del capitano Nemo ( 1991). In italiano, sono stati tradotti da· Iperborea August Strindberg, una vita e il romanzostoricosullelottesocialinellaSveziadel primomovimentooperaio La partenza dei musicanti. Il testoche segue è la relazionelettadaEnquistagli incontrimilanesidi "Linead'ombra" e la Provinciadi Milanosu "NordSudEst Ovest" del mese scorso. Nel film italiano/ soliti ignoti c'è una scena che è una piccola favola filosofica. Una banda di rapinatori si è installata in un appartamento confinante con una banca. Dopo inenarrabili fatiche riescono a sfondare la parete, per rendersi conto, esterrefatti, di aver sfondato la parete sbagliata. Sono finiti nella cucina dell'appartamento, dove un membro della banda è intento a cuocere la pasta. Si sono introdotti nella loro stessa casa. Hanno sperimentato la scoperta di se stessi. Gli anni Novanta segnano la scoperta del terzo mondo presso noi stessi, in Europa. A lungo siamo vissuti con una visione della storia tanto ovvia che non l'abbiamo mai messa in discussione: era l'immagine della storia come un fiume, che scorreva lento e sinuoso verso il r mare. Ma cresceva, e avanzava. Lo sviluppo era garantito, credevamo, al 4,8 per cento l'anno all'incirca. La visione deterministica della storia aveva il timbro dell'ovvietà. Inesorabilmente - la parola era importante - inesorabilmente· il fiume della storia continuava a scorrere. L'ottimismo evolutivo aveva solide radici, ed era in effetti un figlio del tardo Ottocento. Ma forse ci sbagliavamo. Forse dovremmo cambiare le metafore di base della nostra civiltà. Forse dovremmo dire: la storia è una cavalletta. Ha un movimento capriccioso, che non conosce punti cardinali, d'improvviso è capace di un grande balzo all'indietro. Ma se la storia è una cavalletta, dobbiamo fare molta attenzione. E stare in guardia, Il 1989, il grande anno rivoluzionario, che ha sostanzialmente cambiato il nostro mondo, ha significato, fra le altre cose, anche il collasso dell'industria della futurologia. Più o meno come è successo per il mercato immobiliare. L'industria del pronosticò, con le sue sicure analisi del futuro, le comunicazioni, le conoscenze di una società, era l'industria che conosceva l'espansione più rapida: gli oracoli delfici erano numerosi e pieni di certezze. La rivoluzione del 1989 ha reso difficile la loro esistenza. La storia adesso è una cavalletta'e gli oracoli sono profondamente confusi. Gli oracoli venivano dal mercato libero ma erano fondamentalmente l'espressione di una vecchia visione marxista della storia: Che era errata, anche nella sua proposizione capitalistica. Nc;lla primavera del 1988 anch'io formulai un grande, bellissimo e totalmente errato pronostico sul futuro dell'area baltica. Intorno al Baltico si stendeva, questa era l'idea, una delle zone culturalmente più produttive del mondo. Leningrado, Riga, Danzica, Amburgo, Copenaghen, Stoccolma, Helsinki - se si considerai! tasso di popolazio_ne, praticamente una vera e propria Ruhr culturale. Libere democrazie, compresi i paesi baltici, avrebbero potuto creare una nuova Lega Anseatica, la potenza economica che dominò l'area baltica nel 1400. ·· Era, in realtà, un vecchio sogno nordeuropeo quello di fissare il centro della cultura europea non nell'area mediterranea o nell'Europa centrale, ma nell'area baltica. 9

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