Linea d'ombra - anno X - n. 69 - marzo 1992

I MISSIONARI la missione del ritorno, è come se non partisse nemmeno. A Mazara del Vallo noi eravamo in tre, dall'88 al '91. Abbiamo aperto una presenza completamente diversa dalle esperienze saveriane usuali. Il Capitolo ci aveva dato questa possibilità: un'azione nuova non legata per forza di cose alla animazione missionaria e alla educazione vocazionale, che sono le due attività classiche dei saveriani in Italia: far conoscere la realtà della missione e reclutare. Noi abbiamo raccolto la sfida di un interrogativo: è possibile oggi aprire una presenza qui, da missionari, come se fossimo in Africa o in America Latina? È un discorso che va in profondità, anche perché mina le finalità classiche degli istituti missionari in Italia. È un cuneo che allarga le contraddizioni. È la via maestra dell'essere missionari in Italia. Non eravamo là solo per evangelizzare. Siamo andati perché il fenomeno immigratorio deve insegnarci qualcosa. Non avevamo un progetto predeterminato: andiamo, ci inseriamo nel quartiere arabo. Ci siamo appoggiati a una presenza di suore,già molto bella e legata, con rapporti di amicizia intensi. Bisognava conoscere il fenomeno senza disprezzare la spiritualità islamica e la cultura araba,che contengono messaggi importanti. Gli immigrati non devono essere solo braccia da sfruttare, ci sono altre piste da aprire. Bisogna creare ponte tra cultura musulmana e cultura cristiana, Noi ci siamo inseriti in un centro sociale già aperto in precedenza. Io lavoravo lì, era l'unico punto di riferimento di questa gente che era il dieci per cento della popolazione di Mazara. E il comune per questa gente non ha mai fatto niente. Lì venivano gli immigrati. Non solo i tunisini,ma anche gente di Mazara, c'erano attività che stimolavano un certo incontro. C'erano problemi di assistenza basilari: dare una doccia, dei servizi. Ed era tutto un lavoro di emergenza. Avevamo progetti più ampi, cooperative agricole per esempio, che adesso stanno partendo, ma finora abbiamo soprattutto fatto fronte a delle emergenze. E poi la cosa ci ha preso completamente, abbiamo lavorato per la regolarizzazione dei tunisini, seguivamo le pratiche, orientavamo. Gli uffici, la questura, il comune, tutto quello che questo lavoro comportava. Fino a qualche mese fa quando sono venuto via. Quando siamo arrivati non pensavamo però di fare quello. In effetti io ho fatto l'assistente sociale, la mia congregazione mi accusa di non aver fatto il prete. Da un lato è vero, ma d'altronde la comunità non ha un assistente sociale, il comune di Mazara non è il comune di Milano, noi avevamo l'impressione di sostituirci a loro. La legge Martelli quasi l'ho portata io in comune, è stata comunque un'esperienza che non è stata capita né appoggiata, e alla fine è stata criticata e chiusa dai saveriani, perché questo modo di agire non rientra nelle finalità dei missionari. Ma oggi essere mjssionari in Italia significa proprio uscire dalle classiche presenze che si limitano comodamente alla animazione missionaria e alla LATERRA 11 promozione vocazionale, e che pure vanno svolte. L'handicap della attività missionaria in Italia è proprio il limitarsi a quei due aspetti. Bisogna accorgersi di un terreno preziosissimo anche dal punto di vista vocazionale: perché inserendoti nell'attività di animazione rendi visibile il tuo carisma in atto. Io non ho mai predicato che cosa voglia dire essere oggi un mis\ti;mario, perché non lo ritenevo necessario o'ùtile. Non ce n'era bisogno: la mia vita parla per quello che è. Come hai vissuto lo scontro con la tua congregazione? La tua posizione mi ricorda quella dei Comboniani riuniti intorno a "Nigrizia ". Malorosonoungruppo, tuforsesei più solo. Io so di non essere solo. So che c'è un buon settore di saveriani che credono in questa mia stessa visione. Negli ultimi tempi la tendenza in atto è quella della conservazione, c'è però ancora una parte critica. Anche se Mazara dopo tre anni chiude, ci saranno altre possibilità. Ma va detto che noi troviamo più comprensione al di fuori del- !' ambiente saveri ano che ali' interno. Magari anche solo con la chiesa siciliana. Il rischio che corre invece oggi l'istituto missionario nel suo complesso, è quello di restare a osservare la realtà. Come abbiamo detto prima del turista che osserva, anche il missionario rischia di essere limitato a questo modo di fare, osservare. Mentre la sfida oggi è quella di vedere la realtà dell'immigrazione,e riproporre questa sfida alla società. < i ~ lii ,. ;: ,. e z lii

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