Dal Brasile a Mazara del Vallo Agostino Rota Martir a cura di Andrea Berrini Ho fatto due anni di Amazzonia, e ci sono andato come studente di teologia, anche se là non ho frequentato corsi ma mi sono invece inserito nella realtà brasiliana, venendo a contatto con le comunità di base e con i movimenti popolari. Ero nel Parà: prima alla periferia di Belem, la capitale dello stato, con tutta la sua problematica delle periferie e della mancanza di lavoro, una situazione molto disastrata dove arri vavano i contadini espulsi dalle loro terre, e si riversavano nella periferia di Belem che contava già più di un milione di abitanti. Lì abbiamo vissuto proprio in una casetta come le abitazioni della gente, a contatto con i loro problemi e la loro realtà, cercando possibilmente di animare, di essere presenti nelle loro organizzazioni di movimento o di comunità. A vele trovato quindi un. tessuto organizzativo già presente? Si, c'erano organizzazioni di base con rivendicazioni politiche e sindacali: acqua potabile, trasporti, eccetera. Per la salute e per · la scuola, per il diritto di abitare, tutte le questioni primarie di esistenza. L'80% della periferia di Belem è su palafitte, praticamente si conquista il mare buttando i rifiuti urbani e così la terraferma avanza grazie all'immondizia: una periferia, quindi, dove lo stato dei servizi igienici è al limite. E quando veniva bonificato questo terreno semipaludoso, allora si presentavano dei presunti proprietari con un titolo di proprietà, comprato in qualche modo, grazie a qualche funzionario con-otto, e buttavano fuori la gente con l'aiuto della polizia . Gli abitanti erano tutti abusivi, quindi le case venivano buttate giù e si costruivano alloggi moderni. Raccontaci della tua attività missionaria a Belem. Eravamo in due, e siamo andati ad abitare con la comunità dei saveriani della zona. Loro stavano già portando avanti un lavoro con le comunità e i movimenti, di animazione e di coscientizzazione della gente sui loro diritti. Quasi un 'attività da militante sindacale? Si, anche quello. Ovviamente la comunità, essendo una comunità religiosa, raggiungeva gli stessi obiettivi facendo leva su quella che è la parola di Dio, che era il sentimento religioso del popolo, cercando di collegare questa realtà di sfruttamento, ingiustizia e oppressione con quello che è l'essere cristiano in quella determinata situazione. Per far capire anche che il cristiano viene chiamato innanzitutto ad aprire gli occhi. Noi diciamo che si tratta proprio di vedere la realtà. Prima di proporre un intervento a livello sociale nel quaitiere era determinante riuscire a far incontrare tra loro la gente che abita lì, perché vedesse la situazione in cui viveva, perché si rendesse conto dei motivi per cui si vivono queste cose .Dopo il vedere si passa al giudicare. Il cristiano, con la sua fede, cosa dice di questa realtà? È la cai·atteristica del cammino della chiesa latino americana, leggere la realtà a partire da una prospettiva di fede. La parola di Dio cosa dice di questa situazione? Il giudizio dice che va accettata? O la condanna, e chiede alla gente, ai poveri di essere protagonisti? E allora si passa alla fase dell'agire, assumersi insieme delle responsabilità, in varie direzioni: da un punto di vista pratico, e cioè aiutare un gruppo di famiglie bisognose, oppure anche unendosi al cammino di associazioni sindacali e di movimento che mettevano giù un programma di attività. Per a1Tivare,che so, a una protesta in prefettura o in comune sulla base di richieste precise, non tanto essere noi a portare avanti le loro rivendicazioni, ma far nascere dalla base il loro bisogno di cambiamento. E io sono stato fortunato ad avere incontrato laggiù dei confratelli già presenti da molti anni con una visione molto aperta. E poi anche per il contatto con questa base, che da un punto di vista cristiano e sociale è abbastanza matura, e anche loro ci_hannofatto capire molte cose: ricordo l'espressione di un contadino nel Parà che diceva a noi agenti pastorali, ai sacerdoti: perché invece di fare cinquanta cose voi da soli, magari pure con un risultato immediato, palpabile, non facciamo una cosa sola ma fatta insieme, in modo che prendiamo coscienza insieme della situazione? Non è solo il padre che programma per gli altri e poi la gente accetta perché "ha parlato il padre", espressione che ho sentito usare tante volte dalla gente: ha parlato il padre e quindi è così. Io ho avuto la fortuna di avere un contatto con gruppi e movimenti che già avevano una LATERRA 9 Agostino Rota Martir è un giovane saveriano, collabora con la rivista "Alfa Zeta". Lo abbiamo intervistato a Spello, dove sta trascorrendo un periodo sabbatico di meditazione presso i Piccoli Fratelli. coscienza politica e pastorale. Lavorare è stato questo. Quello che ho imparato in questi due anni è l'importanza di fai·e insieme alla gente e non solo per loro. Si sa invece che la figura del missionario è sempre stata quella di chi ha possibilità finanziarie e culturali, e quindi può. E la gente rimane passiva. Grazie a Dio sta cambiando parecchio: oggi il missionario dovrebbe riscoprire questo suo ruolo non di manager di un programma pastorale o sociale e politico, ma soprattutto di stare con la gente e capirla dal dentro: entrare in contatto con questa realtà e camminare insieme. È il cammino più ambizioso, ma dà i risultati più sicuri. Tu hai fatto due anni in Brasile. Che risultati puoi dire cli avere raggiunto? È un'esperienza molto distante nel tempo: dall'81 all'83 sono stato in Brasile due anni ma solo cinque mesi a Belem. Devo dire che sinceramente nei primi cinque mesi a Belem non ho avuto la possibilità di notare cambiamenti. Mi è sembrato di cogliere, allora, un gusto da parte di questa gente sempre sfruttata e non considerata dalle istituzioni e dalla chiesa stessa, come gente che non conta nulla, un gusto di aderire ai nostri inviti; di preghiera o di colloquio, per strada, dovunque: il gusto di essere tenuti in considerazione, accorgersi che se insieme si lavora e ci si organizza, è possibile ottenere qualcosa. Si diceva: "Solo il popolo aiuta il popolo", e le associazioni di base, il sindacato, tutte queste forme di organizzazione sono la traduzione di quel detto. Non aspettai·si la soluzione dagli altri. Dobbiamo essere noi a darci da fare, a creare disturbo a livello sociale e poi itico. Era anche un periodo particolare, la classe povera stava prendendo allora coscienza di poter essere una forza, di poter condizionare politicamente il potere. Il risultato era la capacità di non rassegnarsi. E dopo Belem? Dopo Belem sono stato un anno e mezzo in una riserva indigena amazzonica, a Sao Felix do Xingu. Realtà completamente diversa, zona di foresta. Era un concentrato della problematica amazzonica, c'erano gli indios con la questione della terra, i cercatori d'oro, la presenza di giacimenti di bauxite, la gomma di caucciù. Sao Felix do Xingu rientrava • e = I
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