I MISSIONARI finalmente alla legge sul controllo del traffico d'armj), la campagna contro l'apartheid in Sudafrica e per il boicottaggio delle banche italiane che finanziavano il regime razzista di Pretoria2, lariscoperta della nonviolenza come strategia di mutamento sociale, la campagna per il disarmo unilaterale, e denuncie delle logiche economiche e strutturali che strozzano i paesi del sud del mondo, la campagna di democrazia e partecipazione per il controllo elettorale durante le elezioni politiche dell' 87, europee dell' 89 e amministrative del 90 ... sono tutte realtà che si sprigionano dal mondo missionario, da "Missione Oggi" e "Nigrizia" soprattutto. La cosa non poteva, ovviamente, durare troppo a lungo: Alex Zanotelli (direttore di "Nigrizia") viene rimosso dall'incarico e sceglie di reimmergersi nell'inferno del mondo (vero volto del nostro benessere) alla periferia di Nairobi, Melandri resiste poco oltre e dopo essere stato praticamente sollevato dall'incarico sceglie la via della politica e diventa eurodeputato. Ma fermenti così significativi non si possono cancellare con un colpo di spugna. Il mondo missionario ha oggi assunto la consapevolezza che se l'annuncio deve davvero portare a sconvolgere criteri di giudizio, stili di vita, scala di valori (Evangeli Nuntiandi, n. 19) la missione non può che comportare conflitti di ampia portata. Fare missione significa allora porsi con coraggio alle frontiere dell'umanità per farsi interrogare dalla storia e per interrogare la storia. Significa farsi preda dell'inquietudine che nasce dalla passione per l'uomo. Significa vestire i panni della sentinella che per prima scorge il mattino e corre ad annunciare l'aurora. Significa caricare sulle proprie spalle il dolore e la sofferenza dell'umanità perdi venire compagni di tutti coloro che soffrono, di tutte le vittime. Il vangelo viene vissuto eri vendicato nella sua totale carica destrutturante nei confronti del sistema vigente, non solo a livello sociale ma anche a livello ecclesiale. Annunciare il vangelo o la cultura occidentale? Esiste, nella teologia della missione, un termine tecnico chiave: inculturazione. In parole povere significa che il vangelo non ha sposato nessuna cultura ma che in tutte si deve inculturare in modo originale e nuovo. La prima inculturazione (e in pratica anche l'ultima) si è avuta con la cultura greco-romana. Il vangelo, nato in Israele, viene a contatto con la cultura "occidentale", la rilegge e da essa si fa rileggere. Prima secondo lo schema platonico e neoplatonico (Agostino) poi secondo lo schema aristotelico (Tommaso). Ma, ecco il problema, quando il missionario annuncia, annuncia il vangelo o il vangelo secondo l'inculturazione occidentale? Detto altrimenti: un bantù, o un cinese, per diventare cristiano deve anche diventare occidentale? Per gli indios dell'America latina e per tanti altri dopo di loro è stato sempre così: la loro cultura era considerata inferiore e assumere la religione cristiana implicava anche convertirsi alla cultura occidentale. In America latina esisteva persino il cosiddetto "Padronao Regio" 3 : con il battesimo si diveniva anche sudditi del re di Portogallo o di Spagna. Lo spirito di Costantino ha imperato per secoli. Oggi tutto questo è stato rimesso radicalmente in questione: essere battezzati significa divenire cristiani e basta. Non cristiani e occidentali. Da qui il tentativo (molto contrastato in verità) di calare nello specifico di ogni cultura il messaggio evangelico. Un inno alla diversità che certo non può far piacere a chi pensa alla chiesa ancora in modo piramidale e monolitico, rigidamente gerarchico. Il caso del Sinodo Africano è li a testimoniare della difficoltà del problema. Si tratta tuttavia di un passaggio centrale. Fede e civiltà (titolo emblematico di una rivista missionaria che iniziò le pubblicazioni in Italia nel 1903) non sono più sinonimi, una frattura insanabile si è aperta fra due concetti. L'evangelizzazione deve fare i conti con la diversità e pluralità di culture, tutte positivamente considerate. La diversità come ricchezza e non come pericolo entra nel dibattito teologico e pratico sulla missione e sulla chiesa implicando mutamenti di grossa portata. Non si tratta più di omogeneizzare ma al contrario di esaltare le differenze privilegiando il dialogo fra le culture e fra le diverse inculturazioni del vangelo. Per il missionario la vita si fa difficile: egli è inevitabilmente portatore di una cultura ma anche di un messaggio che questa cultura trascende e che vuole incarnarsi in modo nuovo nelle culture con cui si rapporta. Il rischio della schizofrenia è ovvio e constatabile. Sta qui, la fatica tragica della missione. Quanto detto risulta ancora più difficile e complesso se si pensa che le nostre attuali società vedono in realtà una compresenza di culture. Si pensi, ad esempio, alla presenza degli extracomunitari in Italia. Se questi interrogano la società politica ancor più inteITogano e disorientano il mondo missionario. Il missionario deve interessarsi di loro oppure deve solo "oltrepassare i mari"? E come non riconoscere che la povertà che li espelle dai loro paesi di origine è spesso causata dalla società ricca e cristiana da cui sono partiti i missionari? Come tacere nei confronti delle società occidentali che stanno praticamente instaurando a livello mondiale il modello dell'apartheid sudafricano: pochi ricchj privilegiati (bianchi, acculturati e per di più cattolici) con diritti pieni, qualità della vita eccellente mantenuti da una sterminata marea di poveri senza diritti e con scadente o nulla qualità della vita? Di fronte a questi drammi molti ordini e congregazioni missionarie stanno chiudendosi a riccio dichiarando che il loro specifico carisma è l'annuncio alle genti (Euntes gentes) che ancora non conoscono il vangelo. Posizione certo corretta ma che sottolinea solo uno degli aspetti in gioco. Il mondo diventa sempre più complesso ed anche la solida identità dei missionari scricchiola alla ricerca di nuovi paradigmi. Come e a chi annunciare? La croce, la spada, la condivisione Un ultimo aspetto su cui riflettere riguarda il "come" dell'annuncio. Lo abbiamo visto: spesso il vangelo è stato portato sugli scudi. L'imposizione violenta della fede e della cultura dei dominatori costituisce certamente uno scandalo. Ma oggi tutti riconoscono la negatività di tali mezzi, quali strumenti dare? Anche qui le strade divergono. Certo, l'annuncio va fatto a tutti ma il problema sta nel quesito: "A partire da chi?" Risponde Padre LATERRA 7 < e = .. 6: .. e: z ►
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