Linea d'ombra - anno X - n. 69 - marzo 1992

SCIENZA/GOODWIN Le descrizioni neo-darwiniane tendono a esagerare il ruolo dell'ambiente dà un lato e il ruolo dei geni dall'altro. Le variazioni spontanee nel genotipo risultano in variazioni fenotipiche che costituiscono il materiale grezzo per questo esercizio di risoluzione dei problemi. Da questo punto di vista si tende a considerare la selezione naturale come l'agente formativo o creativo nel processo evolutivo, che fornisce organismi con forme specifiçhe e comportamen1i adatti alle condizioni di vita prevalenti in un certo momento in quel dato ambiente. Ancora una volta vediamo che l'organismo è tin mediatore dallo statuto incerto fra i geni, le cui variazioni casuali provocano una varietà di fenotipi altrettanto casuale (casuale nel senso di' non correlata con i cambiamenti ambientali), e l'ambiente, di cui la specie, se vuole sopravvivere, deve seguire le spinte. La grànde scoperta della teoria evoluzionistica è che i cicli della ~ita organica sono sottoposti ai cambiamenti ereditari che dipendono da un equilibrio dinamico tra influenze esterne e interne agli organismi, dipendendo il tasso di incremento o decremento della. popolazione dall'azione di queste influenze sui membri che la costituiscono. I limiti nascono ancora una volta dal mancato riconoscimento dell'organismo come agente attivo con i suoi propri principi organizzativi, imposti tra i geni e l'ambiente. Gli organismi da un lato_selezionano e dal!' altro alterano il ·1oro ambiente e la loro organizzazione dinamica intrinseca limita i cambiamenti ereditari possibili, sicché la varietà disponibile per l'evoluzione è ristretta. Non sembra che vi sia altro modo per comprendere là limitatezza dei tipi morfologici fondamentali che costituiscono la base del nostro sistema di classificazione o per spiegare perché quasi tutti siano apparsi durante il periodo relativamente breve del Cambriano e da allora si siano avute poche innovazioni fondamentali9. . Inoltre gli organismi stessi hanno la possibilità di reagire adeguatamente ali' ambiente, sicché molto di ciò che è disponibile per il cambiamento evolutivo non nasce,da mutazioni genetiche casuali, ma dalle risposte intrinsecamente regolative e plastiche del!' organismo ali' ambiente durante il suo ciclo vitale. Questa plasticità può comprendere risposte genetiche, nel senso che si è dimostrato che lo stress ambientale provoca adattamenti nel genoma di alcune specie di piante10. Il cosiddetto potere creativo della selezione naturale è quindi in realtà molto circoscritto 11• La misura in cui le interazioni competitive sono strumentali nel generare i cambiamenti evolutivi è un altro tema del dibattito attuale. Gli organismi sono cooperativi quanto competitivi 12, e vivono in maniera che di solito noh costituisce una minaccia all'equilibrio ecologico. L'immagine piuttosto rapace e territorialistica delle strategie di vita degli organismi che domina le descrizioni neo-darwiniane sembra essere in gran parte una proiezione nel campo biologico di una ideologia nata in una società competitiva e individualistica 13. Una descrizione del processo evolutivo più appropriata di quanto non sia la selezione naturale (che naturalmente fu fatta derivare da un confronto con la selezione degli animali domestici da allevamento) è fornita dal concetto di stabilità dinamica. L'ambiente non seleziona e non modella gli organismi più di quanto una vasca da bagno modelli la forma a spirale dell'acqua che scende dal tubo di scarico. Chiaramente se non ci fosse il bagno non ci sarebbe lo scarico e quindi non ci sarebbe la forma, ma ciò che genera i dettagli della spirale è una combinazione delle proprietà intrinseche del liquido e di tutte le contingenze che entrano in gioco nel processo dinamico (quantità d'acqua, dimens-ioni dello scarico, forza di gravità ecc.). Le descriizioni neo-darwiniane tendono a esagerare il ruolo ,. dell'ambiente da un lato e il ruolo dei geni dall'altro. Entrambi sono sottoposti a cambiamenti casuali (mutuamente indipendenti), ma gli organismi no: essi cambiano in modi sistematici e ordinati, ed è questo che rende possibile la loro classificazione. In questo modo gli organismi, in un certo senso, trasformano la casualità in ordine grazie ai loro principi di organizzazione dinamica, come amava sottolineare Waddington 14• Il processo evolutivo è quindi un'esplorazione delle possibilità inerenti allo stato vitale, realizzate come organismi di forma e funzione particolari. "Adattamento" non significa niente di più e niente di meno che stabilità di una strategia di vita, un processo dinamico che coinvolge un insieme di · trasformazioni la cui proprietà-generale è la ripetizione di un ciclo (vitale) il cui periodo è il tempo di generazione. Non c'è antitesi organismo/ambiente in questo processo perché 1~dinamica del ciclo vitale si estende oltre il confine tra i due. Gli organismi, in termini termodinamici, sono sistemi aperti. Per esempio, vi sono organismi marini che sviluppandosi generano campi elettrici dovuti a fluttuazioni ioniche che si estendono oltre i loro confini strutturali, sicché essi sono dinamicamente in continuità con l' ambiente e così pure con altri flussi di massa. Se vogliamo, possiamo distinguere diversi stati di organizzazione della materia, come il vivente e il non-vivente, il solido e il liquido. Ma poiché l'uno può trasformarsi nell'altro, i confini sono sempre ingannevoli e i diversi statì sono uniti dalla trasformazione. Questa antitesi è sostituita dallo stato di transizione in una dinamica unificata, sicché organismo e ambiente non sono più contrapposti di quanto lo siano l'osso e il muscolo nell'organ·smo o il nucleo e il citoplasma in una cellula. La logica del processo Il tema di questo saggio conduce inesorabilmente alla familiare affermazione che la vita è un processo e una trasformazione. I limiti delle dicotomie discusse sopra nasce dal tentativo di spiegare la stabilità (delle specie o dello stato di adattamento) nei termini di qualcosa di statico e di stabile (genoma o nicchia ambientale) anziché come qualcosa di dinamico (ciclo organismo/ambiente). Lo stesso si verifica con i tentativi di spiegare la stabilità del comportamento (istinto, abitudine) o dell'attività cognitiva (riconoscimento, memoria) in termini di rappresentazioni '"stabili" o di "modelli interni". Tutte queste dicotomie concettuali possono essere fatte risalire alla filosofia cartesiana della sostanza secondo cui ci sono cose o oggetti elementari (molecole, cellule, organismi, specie) su cui agiscono forze esterne, sicché il cambiamento nasce da un rapporto di causa/effetto atomistico e humeano tra categorie gerarchicamente ordinate di oggetti costituiti da oggetti più fondamentali. Come conseguenza queste cose e le azioni in cui sono coinvolte, sono tutte meccanismi morti, poiché non hanno vita in se stesse. Questa era precisamente l'idea di Cartesio: tutte queste entità sono di fatto macchine, automi. Ma, come abbiamo visto, questa idea degli organismi porta a numerose contraddizioni e difficoltà a causa dell'infinita proliferazione di antitesi che nascono da ogni tentativo di analizzare un processo in termini statici. Ancora una volta, non si tratta di una scoperta nuova: Zenone ce l'ha insegnato molti secoli fa. "Non c'è dubbio che la concezione J humeana della casualità ... dev'essere errata", scrivevano Harré e Madden nel loro libro Casual Powers 15• L'alternativa è affermare la priorità del processo, cosicché.il cambiamento dovuto all'ener75

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