Linea d'ombra - anno X - n. 69 - marzo 1992

STORIE/MOSCATO Li riempie di formule, di segni. Un giorno, dice, queste oscure mantiche tracciate dalla biro, questa scrittura pensata all'incontrario del crescere e decrescere del mare - con un cappio di luna, un amo stellare porteranno finalmente su "quel" corpo, il corpo di Francesco, l' Arnniliaglio, e il livido giallino delle bave, l'argento sbiadito delle decorazioni sfolgorerà nel riso delle criature, i piedi immersi nella melma al Molosiglio, le grida più cattive ed uncinate dei gabbiani. Angiospèrmia è l'acqua, questa. Nutrita di guappesche strafottenze, di pisciate anfiteatrali dall'alto dei muretti o nel salto di banchine. Angiospèrmia perché prolifica alla lO ph. Mille. E quanti piccerilli tene 'o mare, quanti · scarrafune color latte, meticci e muti, alcuni sciancariati, qualche altro mezzo prete, devoto 'e Dio, forse. Miezzu ricchione. Quanti aborti dentro la corrente. Feti aggrinziti, ipocalcificati. L'acqua tutti i giorni è ingravidata dal lancio di gamèti misti a urèa, pezzenti facciatosta di sei o sette anni che trattano le onde come una vagina, collettiva prostituta, cloaca magna, Mater Immunezzarum. E quanti piccerilli tene 'o mare, orfanelli pesciolini della Litoranea, acqua salata dentro il pane e sulle ciglia, stelle di micòsi sul visetto e la bocca pronta ad addentare la •più laida bestemmia. "'A ptjrchiacca 'e mammeta, 'a purchiacca 'e mammeta fetente ...", da queste parti la medusa, infatti, ha legami molto stretti, valenze quasi chimiche con gli organi e gli umori della donna e l'incontro con i liquidi urticanti,. gli eritèmi, sono allora una faccenda molto antica, un glorioso marchio mitologico, oltreché un'impresa precocissima, virile. "'A purchiacca 'e mare, a purchiacca 'e . mammèta fetente ...", e il grido si fa sale, si fa rumore di acqua sporca stessa, sciabordìo prezioso, dannunziano. Un tuffo. Una bracciata solamente. Spruzzi, schiamazzi, ammuìna. 72 Al largo, appaiono i costumini. O le natiche translucide, offerte senza impudicizia agli occhi altrui. Compatta guagliunera, vermi e vermi, sanguisughe, mignatte. Cardellini 'nfusi che appassionati cantano "Chi tene 'o mare, chi tene 'o mare, è cuntento e fesso..." E poi Didone 'ncopp'e scoglie, Brigetella degli embargos di Toledo, don Astarte, don Chisciotte, e Anna La Bella, per un vaiolo bianco, raro, che si specchia in un miroir di mala sorte negli stagni di Posillipo, museiformi, aprono i balletti·, scambiandosi di posto dint' a nuttata 'e luna. Ieri, 'na criatura, lanciandosi sul fondo, è rimasta prigioniera dei vasi di Pollione - verderame tranello tessuto dalle orate. E nanelle saccenti, erette su un comò, che girano e rigirano mestoli giganti dentro una poltiglia blu di Prussia, lenitive cioccolate di "nobili" anemie. "Rien du mer, rien de la mère, rien du mer, rien de la mère ..." sentenziano raspose, i culetti a mandolino. E bbona, 'a sanno, 'sta canzona, quest'arpeggio lionese inventato per i figli di Gioacchino. Scoppia da basso in fronte all'arenile, una vena d'artificio, fuochi e fuochi, lampe. Un'immensa emicrania settembrina. I guaglioni hanno vene tatuate, pelurie appena apparse. Dai pubi gonfiati di recente tirano fuori granchi, colonie di battèri, iammarielli "tagliati" col limone. I guaglioni hanno vene tatuate, sole "pigliato" a canottiera Tra un cespuglio e l'altro, invece, Alì - che odia e schifa l'acqua, st' acqua marrò, castana, straordinariamente figlia di Califfi - chiude e dilata i pugni nella gola di un Tedesco, inginocchiato sul pietrisco, quasi una preghiera. • "Blute nur blute nur..." sospira, e gli occhi dei guaglioni, tutti insieme, vanno a quella voce. A quel basso singhiozzo avvertito come urlo. Tutti insieme si alzano, gli occhi. Veloci. Colombi spaventati da uno sparo.

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