Linea d'ombra - anno X - n. 69 - marzo 1992

"Sorpresa!" rispose Maria e con un brusco cambio di marcia uscì dal parcheggio. La sorpresa eta un grande mercato di vestiti usati. -Passeggiando avanti e indietro da una bancarella all'altra vi trascorsero l'intera mattinata. Maria anticipò a Rossella i soldi per comprarsi un tubino di lamé verde. Quel pomeriggio infatti sarebbero andate ad una festa e Maria voleva che l'amka entrasse nella nuova vita come una regina. Contorcendosi contro lo schienale del sedile Rossella si provò il vestito in macchina. La chiusura lampo era laterale e tirandola su si sentì il rumore di uno strappo. Nello stesso istante fuori cominciò a piovere. "Niente paura!" disse Maria e subito dal cassetto del cruscotto estrasse un completo d_acucito. La pioggia, adesso cadeva con la violenza dei temporali estivi, il cielo si era fatto scuro. Maria accese la luce dell'automobile e infilò il filo nell'ago. "Dimmi della festa" disse Rossella abbottonandosi la camicetta. EMaria con lo sguardo fisso sul tessuto prese a raccontarle del pomeriggio, cioè di tutti i giovanotti che ci sarebbero stati e, tra tutti, quali erano quelli che lei riteneva i più interessaQti. Quando otto ore dopo Rossella tornò a casa, aveva così male ai piedi che si tolse le scarpe nel portone e salì a casa scalza. La luce del salone era accesa e il professore era seduto alla sua scrivania. Giacché non poteva fare altrimenti per raggiungere la sua stanza Rossella gli passò davanti. Aveva ancora in dosso il suo tubino di lamé verde. Nell'eccitazione delle dànze si era scucito in più punti e s'intravedeva sotto la carne scura. Al suo saluto il professore 1ispose alzando il capo: non disse nulla ma Rossella sentì il suo sguardo appiccicato dietro finché non fu entrata nella stanza. Mentre faceva una doccia rinfrescante, rifletté sui consigli che gli aveva dato Maria riguardo a Qualsiasicosa Arnilda. Concentrata sulla possibile soluzione alla soluzione Rossella uscì dal bagnetto e andò in camera per prendere gli slip ~uliti e la camicia da notte che aveva precedentemente preparato sul letto. La camicia c'era ma gli slip non c'erano più. Si chinò per vedere se per caso non fossero scivolati sotto: per tutto il pavimento della stanza non c'era traccia delle sue mutande. "Ah, no!" esclamò allora a voce alta e ancora nu<iaprese la sua limetta per unghie e la infilò dritta nella toppa della porta. In quel modo la Qualsiasicosa Arnilda non avrebbe potuto entrare un'altra volta nella sua stanza. Il professore era rimasto tutto il giorno a casa a compilare il suo trattato. Per pranzo aveva mangiato dei pomodori con la mozzarella che gli aveva preparato Rossella il giorno prima e per cena aveva mangiato la stessa cosa. Verso le tre da Gibilterra avevano telefonato i suoi figli.Quell'anno avevano deciso di fare una crociera con uno yacht affittato tutti insieme. Erano partiti da Livorno all'inizio di agosto per raggiungere le Canarie. A ogni porto si fermavano per telefonare al padre. "Cosa stavi facendo?" aveva chìesto quel pomeriggio Annamaria al padre. "Sto lavorando per voi" aveva risposto il professore. Era seguito un attimo di silenzio in cui il professore aveva potuto sentire distintamente le urla da selvaggi dei suoi nipotini. Evidentemente stavano saltellando intorno alla cabina telefonica. STORIE/TAMARO Quella sera i figli del professore, mangiando in un ristorante del lungomare, si erano chiesti se da quell'enigmatica risposta del padre vi fosse da temere qualcosa. "Meno male che non ha più le· chiavi dello studio" aveva detto una nuora. "Già, meno male!" avevano risposto tutti gli altri in coro. Tornando allo scrittoio dalla telefonata il professore aveva .riletto le pagine già seritte. AH'ultima pensò con un certo orgoglio che avrebbe potuto fare il saggista altrettanto bene dell'amministratore. Dopo una breve prolusione dedicata ai figli, ai nipoti e agli eventuali nipoti dei nipoti, affinché per la suà rettitudine lo ricordassero nei secoli dei secoli con affetto, era entrato subito dritto nel cuore del trattato. "La natura è maestra di·ordine" era' stata la frase iniziale. A questa affermazione era seguita una descrizione dettagliata della vita delle formiche che aveva occupato ben due fogli di protocollo in tutte le loro facciate. Soltanto alla fine della descrizione entomologica, descrizione per la quale aveva dovuto usare l'enciclopedia di casa, il professore aveva scritto il suo insegnamento morale e cioè che la laboriosità era figlia dell'ordine. In quell'istante il campanile della chiesa aveva battuto le sette e mezzo e il professore aveva fatto una pausa per cenare. Proprio mentre richiudeva con il suo turacciolo la bottiglia mezza piena di vino gli era venuto il dubbio che non fosse la laboriosità ad essere figlia dell'ordine bensì l'ordine della laboriosità. Nuovamente al tavolo per chiarirsi le idee illustrò per la lunghezza di un foglio la meravigliosa vita delle api. "Certo," esclamò alla fine: "la laboriosità è figlia dell'ordine, come ho fatto a sbagliarmi?" A quel punto avrebbe dovuto fare un breve accenno ai mammiferi superiori per poi passare a ciò che gli premeva, cioè all'uomo e al suo futuro di maledizione. L'unico grande mammifero che conosceva per averlo visto in Abissinia era il leone. Guardate ragazzi, scrisse allora, com'è maestoso e nobile il re della foresta. Sulla parola foresta riflettè un attimo. I leoni stavano sempre in grandi spazi'aperti. Cancellò foresta e scrisse savana. "Il leone", riprese e subito si fermò. Cosa facevano i leoni? Personalmente lui li aveva sempre scorti al sole o all'ombra, sempre immobili, senza fare niente. Se non facevano niente tutto il giorno come facevano ad essere così aristocratici? Con gesto lento il professore chiuse la stilografica con il cappuccio. Nel suo teorema c'era una falla. Forse non avrebbe dovuto spingersi tanto in là. Dagli insetti bisognava passare dritti all'uomo perché gli insetti e l'uomo si assomigliano più di qualsiasi altra cosa. Altrimenti come avrebbe potuto giustificare il suo assunto che solo l'ordine e il rispetto ci differenziano dal mondo animale? Fu proprio mentre rifletteva su queste cose che vide Rossella con il suo vestito strappato passargli davanti. La sua apparizione gli aprì un nuovo spiraglio. "I negri" scrisse di getto "sono gli esseri umani più vicini agli animali, infatti non conoscono né l'ordine, né il rispetto." Il professore guardò il foglio soddisfatto: con quella frase aveva avviato in modo eccelso il lavoro del giorno dopo. Chiusa l'opera in una cartelletta, si alzò dallo scrittoio e dopo una breve passeggiatina in salotto si sedette in poltrona. "Oh, Arnilda" disse e sospirò forte. Sospirando sentì all'improvviso qualcosa di strano nell'aria. Annusò allora due o tre volte rumorosamente, poi eclamò: 65

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==