Linea d'ombra - anno X - n. 69 - marzo 1992

MA L'AMOR MIO NON MUORE Clara Sereni ClaraSereni è nata nel 1946 a Roma, e vive attualmente a Perugia. Per molti anni "angelo del ciclostile" in associazioni di cultura cinematografica (ANAC, FICC) ed iniziativ_ead esse collegate (Mostra del Nuovo Ciriema, Giornate del Cinema Italiano), esordisce nel 1974 con Sigma Epsilon (Ed. Marsilio). Poi , per oltre dieci anni, si allontana dalla scrittura in prima persona: prosegue, in situazioni diverse, l'attività di organizzatrice, mentr_eun lavoro parallelo di traduzioni dal francese le consente un sotterraneo rapporto con la parola e le sue elaborazioni. Traduce testi letterari e storici, finèhé la scrittura torna allo scoperto con Casalinghitudine (Einaudi, 1987) e con Manicomio primavera (Giunti, 1989). La lettera la scrissero insieme, come quasi tutto della loro vita. Pomeriggi e sere al tavolo del soggiorno (la stanza più curata e chiusa, riservata alle· grandi occasioni che non c'erano mai), correzioni e ribattiture per dare definizione a quella storia lontana dell'una;e di più all'esito successivo per ambedue. Parole difficili da trovare, per pudore e perché mancava l'abitudine, alla ricerca di una convalida che - altrove - non potevano chiedere: non all'anagrafe, non al quartiere, non all'Inps per la reversibilità. Nero su bianco, in carattèri Pica; poi anche ad imbucarla andarono insieme, alle Poste centrali per maggior sicurezza, in una busta arancione come fosse un certificato. Altro non riuscivano ad immaginare, per sancire fino in fondo la convivenza di tanti anni, e l'amore. Poi molti giorni normali, fra loro piccole gentilezze e piccole tensioni: con il disordine indomito di Celeste oggetto di discussioni che l'attesa rendeva più spigolose con il_mazzetto di fiori della domenica per Lia, con l'affetto ormai tranquillo di cui la loro esistenza era intessuta. Ogni giorno, rientrando dall'ufficio puntuale, Celeste con gli occhi interrogava Lia: niente, niente di nuovo era accaduto, il pranzo era in tavola ed era inutile farlo freddare. · Una -attesa lunghissima, e già disperava. Mesi su mesi, e poi quelli della trasmissione telefonarono: per chiedere un incontro, un incaricato sarebbe venuto da loro per approfondire. Il riso in bianco era mal cotto, ma certo a Celeste non venne in mente di protestare. Grandi pulizie, la zuccheriera d'argento lucidata a specchio, una bottiglia nuova di liquore da offrire: Silvano fu lo stupore di una vecchia automobile ammaccatà, di una giacca sformata e fuori moda, di un sorriso non fatto per conquistare. Domande, domande mai generiche, mai indiscrete. Su aspetti della loro vita cui mai avevano attribuito importanza. Pochi appunti, congarbo: Silvano prendeva la loro vita nelle mani, ma certo ne avrebbe fatto buon uso. - · ' A lasciarlo andar via faticavano, lo invitarono a vt!nire ancora dopo la trasmissione: così giusto per un càffé. Lui disse dei tempi stretti, delle interviste mal pagate, del documentario suo che non riusciva a fare da anni: non promise, ma lasciò che sperassero. Sulla soglia, proprio all'ultimo momento, disse come per inciso che la produzione prevedeva un unico partecipante, e non due: Lia; probabilmente. Lia si schermì, si disse incapace, avrebbe dimenticato e detto male e sbagliato. Silvano batté con I.e nocche sul blocco degli imputati, era tutto lì dentro e non poteva perdersi. Sorrise, sparì. Poi venne l'avviso che avrebbero registrato quel tale giorno, la mandavano a prendere per cortesia, o per essere certi che arrivasse puntuale; di Celeste non parlarono, e Lia accettò. Arrivò il giorno e Lia lo cominciò di buon'ora, prima fece il bagno con i sali regalati da Celeste per l'occasione e poi andò dalla parrucchiera: il cachet castano di tutti gli ultimi vent'anni, la messa in piega di quartiere per essere in ordine. In permesso dal lavoro Celeste seguiva e controllava i preparativi di Lia: .Io smalto chiaro sulle unghie, la gonna più nuova, il golfino viola di angoretta, il girocollo d'oro con i cuoricini che era un pegno. Poi anche lei si abbigliò, in fretta perché non protagonista: però con i pantaloni di velluto, la colonia, le perle,la cura di chi comunque partecipa di un avvenimento. · La macchio~ della produzione, sontuosa, si fermò puntuale al portone. Chiesero il permesso e salirono insieme, sedettero lontane per la vastità dell'abitacolo. Da un capo ali'altro del sedile si sorrisero: per imbarazzo, per complicità? Davanti al teatro una piccola folla, l'autista scansando la gente le pilotò verso l'entrata riservata. L'androne buio, una scaletta, poi di nuovo tante persone, rumore, agitazione. L'accompagnatore disse: aspettate qui, e scomparve. Aspettarono, con le borsette strette al braccio, finché una ragazza alta e puntuta, con la voce stridula che sopravanzava il brusìo chiamò per cognome Lia. Lei si fece avanti, l'altra senza nemmeno,guardarla disse: - - Al trucco, - e se la portò via. A Celeste chiesero se aveva il permesso per il palcoscenico. Rispose di no, la mandarono in platea: da lì, dissero, avrebbe visto comunque tutto. Lia prima si sentì perduta, sola fra tutta quella gente sconosciuta, giovani e giovanissimi dall'aria indaffarata e influente: Poi · pensò che Silvano doveva essere lì, fra gli altri. Certo al momento giusto sarebbe apparso, il suo blocco e il sorriso a garantirle la memoria: l'euforia sopra le righe che pervadeva i camerini conta~ giò anche lei, e si sentì investita di un compito. - La truccatrice le fece togliere il golfino, e Lia si rallegrò del sottabito buono che aveva indosso. Poi la imbavagliò con un _ camice bianco che copriva anche tutta la poltrona, le tirò indietro i capelli con una fascia. Lia si preoccupò per la messa in piega ma non disse niente, l'altra aveva gesti sicuri e competenti. - La poltrona fa piegata all'indietro, e Lia non vedeva più lo specchio: ma sarebbe stato comunque inutile, i pennelli incipriati che le volavano sul viso la costringevano a tenere chiusi gli occhi. La truccatrice commentava la bocca, le sopracciglia, la tenuta delle guance, la pelle. Nessuno mai si era occupato di lei così, neanche Celeste: Lia si lasciò piacevolmente andare, tutte quelle persone sapevano alla perfezione cosa fare e non c'era bisogno che lei ci pensasse. E una punta appena di vendetta, per tutte le occasioni in cui Celeste aveva mostrato di poter fare a meno di lei. Un'altra voce si aggiunse a quella della truccatrice, secca e autorevole: - Fammela pallida, - disse. Malgrado i pennelli Lia aprì gli occhi: - Sono Geppi Trani, come va?- disse là nuova arrivata, con un sorriso ammodo che non coinvolgeva lo sguardo, L'ideatrice del programma, il nome letto in testa ai titoli ad ogni trasmissione: Lia stava per rispondere che si sentiva bene, che era contenta di essere lì, di partecipare. Mal' altra aveva ripreso a dare ordini all;:ttruccatrice. I passi nervosi su e giù per il camerino, poi un'imprecazione.

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