IL DOMINIO DELLA LUCE Yuko Tsushima traduzione di Maria Teresa Orsi Yuko Tsushima (Tokyo 1947) è figliadi OsamuDazai,il grande scrittore del Giappone post-bellicoautoredi // sole si spegne e Lo squalificato (ed. it. Feltrinelli). È scrittriceattenta alla condizione femminile, che narra con sensibilitàdelicata e insieme crudele, coniugandointrospezione, fantasia,psicologiacon l'a-nal isi profonda di una società e dei suoi meccanismi. La casa editrice Giunti ha pubblicatodi recenteil suo romanzo Il figlio della Foto di Giovanni Giovannetti (Effige). fortuna, e su "Linea d'ombra" n. 14 (maggio I 986) è apparso il suo racconto L'isola della felicità. Moltesue operesono statetradotteo sono in corsodi traduzione in linguafrancese. Era una casa piena di finestre. Abitavo da un anno con la mia bambina nel vecchio edificio di tre piani. Occupavamo l'ultimo piano e la terrazza. Al pianterreno c'era un negozio di macchine fotografiche, mentre il primo e il secondo piano erano stati divisi e trasformati in stanze d'affitto per uffici. Una ditta cbmposta da soli due coniugi che su ordinazione applicavano stemmi di famiglia in oro zecchino su scudi o all'interno di cornici, un ufficio di contabilità e la filiale di una scuola di maglieria occupavano le varie stanze, ma un vano del secondo piano che dava sulla strada principale era rimasto libero per tutto il periodo che avevo trascorso nella casa. Di notte, dopo che la bambina si era addormentata, talvolta scendevo in quella stanza, aprivo uno spiraglio di finestra e mi divertivo a guardare il paesaggio esterno, così diverso da quello che potevo vedere dal mio appartamento: oppure mi aggiravo nella stanza vuota. Mi sembrava di essere in un posto misterioso, a tutti sconosciuto. Prima che mi trasferissi in quella casa, il terzo piano era abitato dal proprìetario, Ed effettivamente, l'accesso alla terrazza era possibile solo da quell'appartamento. Sul terrazzo era stata aggiunta una larga stanza da bagno; era una fortuna, ma il controllo dell'antenna televisiva e il serbatoio dell'acqua erano in un certo senso affidati a me, e allo stesso modo, a tarda sera dopo che gli impiegati se ne erano andati, dovevano scendere fino al pianterreno per abbassare la serranda, tutti compiti che naturalmente erano spettati al padrone di casa. L'edificio era stato venduto in blocco e acquistato da una famosa donna d'affari di nome Fujino; era stato ridenominato Fujino Building N. 3 ed io ne ero la prima inquilina. Probabilmente, il nuovo proprietario che si era occupato soprattutto di immob1li, non aveva mai trattato in precedenza locali per uso di abitazione e, essendo comunque quella una casa vecchia e non costruita secondo i canoni dei normali appartamenti, aveva forse proposto un affitto molto basso per timore di non trovare inquilini, in attesa di vedere come si evolvesse la situazione. Era un caso, ma per me una fortuna straordinaria. Il nome dell'edificio era lo stesso dell'uomo che a quel tempo era ancora mio marito; anche questo era un caso ma grazie a ciò, io, che abitavò al terzo piano, fui erroneamente scambiata per la proprietaria. In cima a una scala ripida e stretta c'era una porta di metallo e, sul lato opposto, il portoncino di ferro dell'uscita di sicurezza. Il pianerottolo era così angusto che quando aprivo la porta di casa dovevo scendere di un gradino o spostarmi sulla piattaforma della scala di sicurezza. Quest'ultima era praticamente una scala a pioli di ferro che scendeva perpendicolare al livello del suolo. In caso di necessità, avrei avuto maggiore possibilità di salvezza se mi fossi buttata giù per lè scale dell'edificio con la bimba fra le braccia. Eppure, appena si apriva la porta, in qualunque momento del giorno, la casa appariva inondata di luce. La cucina-soggiorno in cui si entrava direttamente dall'ingresso aveva il pavimento rosso e l'effetto luminoso ne era ancora più accentuato. Era inevitabile socchiudere gli occhi, abituati ormai alla penombra delle scale. "Come è bello! Come è caldo!" aveva esclamato la bambina, che avrebbe presto compiuto tre anni, quando era stata avvolta per la prima volta dalla luce della stanza. "Fa davvero caldo. Che bella cosa il sole!" A questa mia osservazione, la bambina che stava correndo per la cucina, mi aveva guardato con aria trionfante. "Certo. Non lo sapevi?" Avrei voluto farmi una carezza da sola; con quella quantità di luce, potevo proteggere mia figlia dal cambiamento di ambiente. La finestra che riceveva il sole al mattino si trovava in una piccola stanza di soli due tatami, simile ad un ripostiglio, a fianco della pòrta di ingresso. Decisi di utilizzarla come camera da letto. Da questa finestra si potevano vedere i balconi delle case che sorgevano ali' intorno e le terrazze degli edifici più bassi del Fujino Building N.3. La strada fiancheggiata da negozi, passava davanti · alla stazione dellè linee ferroviarie urbane; non esistevano case con giardino ma sulle terrazze e sui balconi erano esposti al limite del possibile vasi e piante, e talvolta appariva anche qualche sedia a sdraio. Lo spettacolo, dall'alto, dava un'impressione di serenità e spesso era possibile vedere anche la figura di una persona anziana, avvolta nel kimono di cotone estivo. Sia la stanza piccola, sia la cucina e la camera più grande di sei tatami avevano una finestra volta a sud. Oltre il tetto di una vecchia casa a un sol piano, si vedeva il vicolo fiancheggiato da pub e piccoli ristoranti. Benché la .strada fosse molto stretta, il traffico era intenso e il suono dei clacson risuonava di continuo. A ovest, ossia in fÒndo alla stanza lunga e stretta che costituiva l'intero appartamento, vi era una grande finestra che dava sulla strada dove passavano gli autobus e dalla quale si riversavano senza tregua il sole del tramonto e il frastuono del traffico. In basso, le teste nere delle persone che passavano lungo il marciapiede scorrevano 55
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