Linea d'ombra - anno X - n. 69 - marzo 1992

Ecco qua; voglio farle vedere una cosa ... Ancora un attimo di pazienza. Ecco, ci siamo. Questo è un articolo molto importante, apparso sul quotidiano "Mainichi Shimbun" il giorno in cui la guerra ebbe fine. Nessuno al giornale volle scriverlo: e allora lo scrissi io. Nessuno volle assumersi la sgradevole responsabilità, e il rischio, di dichiarare: "La guerra è finita; il Giappone è stato sconfitto". Io però decisi di farlo: questa pagina è tutta mia. Perché la scrissi? Per clire al popolo giapponese che era vero; che l'Imperatore aveva annunciato alla nazione che la guerra· era conclusa, e persa. Nessuno, in Giappone, volle credere alle parole dell'Imperatore. Io scrissi questo articolo affinché i,giapponesi capissero che purtroppo era tutto vero; e non equivocassero il senso delle sue parole. Ora in Giappone, quando si parla della fine della guerra tutti fanno riferimento a questo mio articolo. Credo di aver fatto quello che potevo fare, e che nessuno volle fare al mio posto. Ora lo si loda, o lo si critica. Ma, in quel tragico momento, proprio non mi fu possibile dire di più .._. Dove trovò il coraggio di denunciare - pur con la dovuta cautela - cause e responsabilità della sconfitta? Il coraggio di scrivere che la guerra si era conclusa, e che il Giappone era stato sconfitto, me lo diedero i miei 13amici judoka, morti da kamikaze. Pensando a loro, decisi che avrei dovuto parlare: capii che la mia vita avrebbe avuto un senso e un valore solo se avessi osato manifestare i miei sentimenti e le mie opinioni a un grandissimo numero di persone. Non importa sotto quale forma. Avrei potuto scegliere la poesia, la saggistica, il romanzo. Scelsi il romanzo; ma non ha molta importanza, ora. Decisi che non mi sarei sottratto alle mie responsabilità. Cominciai a scrivere nel ricordo di tutti i giovani giapponesi morti in guerra: per affermcµ-everità di cui nessuno tuttora osa parlare ... Nei suoi libri traspare con metodo e coerenza la sua capacità di fondere in un solo racconto autobiogrçifia e osservazione storica. A cosa è dovuta questa sua capacità? Credo di aver raggiunto questa forma di equilibrio narrativo proprio grazie alle mie esperienze di giornalista, al tempo della guerra. Il giornalismo significava - e ovviamente significa tuttora - trasmettere notizie. Per me, soprattutto, voleva dire però avere molto tempo a disposizione per riflettere e studiare. Il giornalista, allora, era una persona sola, circondata da vuoto e da molti tempi morti. Proprio la professione di giornalista mi permise di riflettere e di capire le tragiche realtà della guerra, senza rimanerne sconvolto. Perché il degrado, lo sfacelo - addirittura - dei rapporti umani in Giappone è un tema che tanto !'avvince e la stimola? Lo sfacelo dei rapporti umani ... certo. Alla fine della guerra i giapponesi avrebbero dovuto spiegare a se stessi e agli altri molte cose. Il fatto è che, in questo, proprio non ci sanno fare. Così non sono stati capaci di analizzare e di capire il significato delle azioni · commesse durante la guerra. Non solo non le hanno capite; non si sono nemmeno preoccupati di scusarsi per i propri torti. È chiaro: non siamo stati in grado di offrire spiegazioni valide a nessuno; nonle abbiamo nemmeno cercate ... Proprio questa è una delle principali caratteristiche del popolo giapponese: quella di non sapere comunicare. L'incapacità.dei giapponesi di comunicare verbalmente, la loro - definiamola così... - "dote di INCONTRI/INOUE incomunicabilità", è dovuta ai molti secoli di chiusura e di isolamento del nostro paese dal resto del mondo. Ma questa "incomunicabilità", insita nella.storia del nostro popolo, è dovuta anc_head un particolare atteggiamento culturale giapponese, che tende a sottolineare e a privilegiare un metodo di comunicazione basato proprio sul silenzio. Per noi la cultura del silenzio ha un alto e antico significato estetico. Voglio dire che il giapponese tradizionalmente crede che il silenzio sia il modo migliore per interpretare e spiegare quello che siamo, e quello che ci sta attorno. Quando ci incontriamo con una persona di idee e di sentimenti diversi dai nostri, noi giapponesi crediamo che il sistema più .efficace per farlo partecipe delle nostre emozioni sia quello di starsene zitti e di bere il thé in sua compagnia; ma in silenzio ... Questa forma di comunicazione afona è considerata di gran lunga superiore a mille dichiarazioni mal fatte. Ecco perché noi giapponesi crediamo che passare sotto silenzio certe cose sia il modo migliore per spiegarle; e anche per scusarci. Queste cose forse gli stranieri non le capiscono; ma fanno parte, in modo autentico è profondo, della nostra cultura.e del nostro modo di essere. Ma, sommersa per esempio dalle biglie luccicanti del gioco del pachiuco, che fine ha fatto l'anima giapponese? E vero che noi giapponesi non siamo in grado di parlare di noi stessi, e riconoscere le nostre caratteristiche. Ma forse la nostra principale caratteristica, ora, è proprio quella di non avere più una caratteristica specifica. L'identità giapponese non esiste più: questo è la nostra vera caratteristica. Però io ai giapponesi formulo incessantemente due inviti: quello di non perdere la tradizione e la capacità di sedersi alla giapponese. E quello di continuare a scrivere utilizzando i caratteri cinesi. Per quanto concerne il sedersi alla giapponese: dovrebbero esserci un tempo e un luogo nei quali, ogni giorno, il giapponese possa sedersi secondo la tradizione. È un fattore di salute fisica al quale sarebbe sbagliato rinunciare. I caratteri cinesi: per scrivere casa, o farni- .glia, voi occidentali scrivete una sola parola. Ad esempio, in inglese:· home. Casa. Noi invece dobbiamo scrivere molti tratti; un'esercitazione mentale molto esigente, ma stimolante e assolu- . tamente meravigliosa, a tutte le età. Ecco le mie due ricette giapponesi per proteggere la salute del corpo e la vivacità dello spirito. ,Scrivere alla giapponese, soprattutto, è un modo per mantenere la nostra identità. Lei si rivolge, come ·scrittore, all'enorme "mercato" dei lettori medi, ed è instancabile nell'elaborare raffinatissime conoscenze storiche. La. sua attenzione, ora, è consacrata allo sviluppo del pensiero di Kung-fu-tsu o Confucio, nato in Cina nel 561 avan_tiCristo ... Credo che Confucio sia estremamente attuale. Egli non è morto, vive tra di noi, e ci illumina con il suo pensiero. Io ho voluto dedicargli un romanzo, proprio per renderlo comprensibile a tutti. Il pregio di Confucio è quello di consacrare il proprio interesse alla collettività, al genere umano, non all'individuo. La felicità dell'uomo, secondo Confucio, è colletti va; mai individuale. Il Confucianesimo ha numerose facce, scuole, tradizioni, dinastie d' esegeti, ma in sostanza si presenta sempre come una · grande filosofia sociale, fermamente ancorata alla realtà del 53

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