STORIE/SALAMOV mattoni rotti, che non dovevamo andare negli altri reparti, che non dovevamo rubare, che il pane ce lo avrebbero dato loro; così io non sentivo niente. Non sentivo neppure quel calore che riscaldava intensamente il reparto, calore che durante il lungo inverno il mio corpo aveva sognato. Aspiravo l'odore del pane, il denso aroma delle pagnotte nel momento in cui l'odore del grasso che sfrigolava si confondeva con l'odore della farina che stava cuocendo. Un'infinitesima parte di questo odore inebriante io la 'afferravo' avidamente ogni mattina, accostando il naso alla crosta della razione non ancora mangiata. Ora però l'odore era intensissimo, potente e mi sembrava quasi che le narici si spezzassero. Il capoofficina ruppe l'incanto. - Si è incantato - disse - . Andiamo alle caldaie. Scendemmo nella cantina. Nel locale delle caldaie, accuratamente spazzato, al tavolino del fuochista, c'era già il mio compagno. Il fuochista, nella stessa gabbanella blu del capo, fumava accanto alla stufa e attraverso i fori dello sportello di ghisa del forno si poteva vedete guizzare e tisplendere la fiamma, ora rossa, ora gialla, e le pareti della caldaia tremavano, rimbombavano agli spasimi del fuoco. · Il capo posò sul tavolo il bricco del tè, un barattolo di marmellata e una pagnotta di pane bianco. · · - Dagli da mangiare - disse al fuochista - . Verrò tra venti minuti. Solo, non tirate per le lunghe, fate presto a mangiare. Stasera vi daremo dell'altro pane: fatelo a pezzetti, altrimenti nel campo ve lo porteranno via. Il capoofficina uscì. - Ma guarda un po', figlio d'un cane - disse il fuochista girando e rigirando la pagnotta tra le mani - . Lesina sul pane, la carogna. Aspetta un po'. Il fuochista uscì fuori dietro il capo e dopo un minuto ritornò facendo saltare sulla mano un'altra pagnotta. - Bella calda - disse lanciandola al giovane dalla faccia macchiata - . Guarda un po', voleva cavarsela con pane di mistura. Dammi qua. Presa in mano la pagnotta che il capoofficina ci aveva lasciato il fuochista spalancò lo sportello della caldaia e la gettò nel fuoco che rombava e ululava. Richiuse lo sportello ridendo. - Ecco fatto - disse allegramente, voltandosi verso di noi. - Perché? - dissi - Sarebbe stato meglio che ce lo fossimo preso noi. - Ve ne daremo ancora - disse il fuochista. Né io né il giovane dal viso chiazzato eravamo capaci di spezzare la forma di pane. - Non hai un coltello? - chiesi al fuochista. - No: Perché il coltello? Il fuochista afferrò la pagnotta con entrambe le mani e la . spezzò con facilità. Un vapore aromatico e caldo si levò dalla pagnotta. Il fuochista toccò la midolla con un dito. ~ Cuoce bene Fed'ka, bravo, - lodò. Ma non avevamo tempo per scoprire chi fosse Fed'ka. Ci mettemmo subito a mangiare, bruciandoci sia con il pane che con l'acqua bollente in c·uiavevamo versato la marmellata. Un sudore caldo ci colava di dosso, a ruscelli. Ci affrettavamo, il capofficina era già tornato da noi. 40 Aveva portato una barella e l'aveva accostata al mucchio di calcinacci, aveva portato le vanghe e da sé fece il primo carico. Ci mettemmo all'opera. Subito fu chiaro che tutti e due non avevamo forza sufficiente per tirar su la barella. Ci girava la testa, non riuscivamo a reggerci in piedi, barcollavamo. Riempii la seconda barella e ci ,misi due volte meno della metà del ptimo carico. - B-astà,basta - disse il giovane dalle chiazze rosse. Era più pallido di me e le chiazze sottolineavano il suo pallore . - Riposate, ragazzi - disse allegramente, senza voler sfottere, un fornaio che passava accanto a noi; docilmente ci mettem- . mo a sedere per riposare. Ci passò accanto anche il capo, ma non ci disse niente. Dopo esserci riposati ci mettemmo di nuovo all'opera ma ogni due carichi ci dovevamo sedere: il mucchio dei calcinacci non accennava a diminuire. - Fumate, ragazzi - disse il fornaio di prima, ricomparendo un'altra volta. - Niente tabacco. - Beh, una sigarettina ve la darò io. Solo bisogna andar fuori. Qui è proibito fumare. Ci dividemmo la machorka e ognuno si mise a fumare la sua sigaretta, un lusso da tempo dimenticato. Tirai qualche boccata, lentamente, spensi accuratamente con il dito la sigaretta, la involtai in un foglio e la nascosi sotto la camiciola. - Giusto - disse il giovanotto dalle chiazze rosse - , e io non ci avevo pensato. Durante l'intervallo del pasto di mezzodì ci eravamo così ambientati che andammo a dare un'occhiata nella stanza vicina . dove c'erano i medesimi forni. Dovunque tiravano fuori dai forni, con rumori stridenti, forme e lastre di ferro e dappertutto c'era pane sui palchetti. A intervalli arrivava un carrello dalle ruote piccolissime, vi caricavano il pane già cotto e lo portavano da qualche parte; solo non là dove, sul far della sera, saremmo dovuti ritornare: era pane bianco. Attraverso l'ampia finestra senza inferriata si vedeva il sole avviarsi verso il tramonto. Dalla porta entrò un'aria freddina. Era arrivato il capo. - Su, finitela. Lasciate la barella tra i calcinacci. Avete fatto pochino. Neppure in una settimana, operaiucci, porterete via questa robaccia. Ci dettero una forma di pane a testa, la facemmo a pezzetti, ci riempimmo le tasche. Ma quanto pane poteva entrare nelle nostre tasche? - Infilalo nei pantaloni - ordinò il giovanotto dallè chiazze rosse. Uscimmo nel freddo cortile, era sera, il gruppo era già in riga, ci riportavano indietro. Al posto di guardia del campo non si misero a frugarci. Nessuno aveva in Il)ano il pane. Ritornai al mio posto, divisi con i vicini il pane che mi ero portato, mi sdraiai e mi assopii appena i piedi umidi e intirizziti si fQronoun po' scaldati. Tutta la notte davanti ame balenarono le forme di pane e il viso insolente del fuochista che scaraventava il pane nella bocca fiammeggiante del forno. da Kolyma (Kolyma RassKazy, ed: it. Savelli 1978)
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