Linea d'ombra - anno X - n. 69 - marzo 1992

STORIE/SALAMOV prendere un 'tizzetto' per accendere la sigaretta di un qualche blatnoj eminente ... I suoi occhi mandavano una luce famelica e le sue guance erano rosse come prima, ma non ricordavano più dei palloncini: erano attaccate agli zigomi. Roman Romanovic era sdraiato in un angolo e aspirava l'aria con rumore. Il mento si alzava e si abbassava. - Muore.:_ disse Denisov, il suo vicino - . Ha delle belle pezze da piedi. E sfilando lestamente i burki dalle gambe del morente, Denisov srotolò le pezze verdi di coperta ancora robuste. - Fatto - disse, squadrandomi minacciosamente. Ma tutto questo mi era indifferente. Portarono via il cadavere di Romanov, quando ci misero in fila per avviarci al lavoro. Non aveva più neppure il berretto. I lembi del suo giaccone sfilacciato strusciavano per terra. È morto Volodja Dobrovol' cev, pojntist. Pojntist è un lavoro o una nazionalità? Era un lavoro che provocava l'odio nelle baracche dei 'cinquantotto'. L'esistenza di baracche separate per i politici in un lager dove dietro lo stesso filo spinato si trovavano le baracche dei ladri e dei criminali recidivi, era una derisione giuridica, non proteggeva proprio nessuno dalle incursioni della teppa e dai sanguinosi regolamenti di conti. Il pojnt era un tubo di ferro attraverso il quale passava vapore bollente. Questo vapore riscaldava lo strato roccioso, la morena ghiacciata; l'addetto di quando in quando estrae la roccia riscaldata con un cucchiaio metallico largo come il palmo di una mano e dotato di un'impugnatura di tre metri. È considerato un lavoro qualificato in quanto il pojntist deve aprire e chiudere i rubinetti da cui esce il vapore ardente che dalla caldaia - un rudimentale congegno a vapore-passa per il tubo. Essere addetti alla caldaia era meglio che essere pojntisty. Non tutti gli ingegneri meccanici condannati con l'articolo cinquantotto potevano sognarsi un lavoro simile. E non perché fosse qualificato. Fu un puro caso che tra migliaia di persone venisse destinato a questo lavoro proprio Volodja. Che ne fu trasformato. Non avrebbe più dovuto pensare a come riscaldarsi, eterno pensiero ... Il freddo che intirizzisce non penetrava più dentro il suo essere, non bloccava più il lavorio del cervello. Il tubo bollente lo salvava. Ecco perché tutti invidiavano Dobrovol' cev. Circolavano certe chiacchiere: per niente non lo potevano aver fatto pojntist; era, quella, la dimostrazione che Volodja era un informatore, uno spione ... Certo i blatnye dicevano sem36 pre: hai lavorato una volta nel campo come infermiere: vuol dire che hai succhiato il sangue di chi lavora. La gente sapeva che prezzo si pagava per giudizi simili: l'invidia è cattiva consigliera. Così Volodja improvvisamente era cresciuto enormemente ai .nostri occhi, proprio come se in mezzo a noi si fosse rivelato un violinista eccezionale. Ma che Dobrovol'cev - e questo era indispensabile date le condizioni del suo lavoro - uscisse da solo e, una volta superato il posto di guardia e aperto il finestrino della garitta, vi gridasse il proprio numero «vènticinque» con una voce così squillante, così gioiosa, ebbene a questo avevamo da te·mpo perduto l'abitudine. A volte lavorava al nostro giacimento. E noi, per diritto di conoscenza, correvamo· a turno a scaldarci al tubo. Il tubo aveva un diametro di un pollice e mezzo, si poteva stringerlo tutt'intorno con la mano, serrarlo nel pugno e il calore, sensibilmente, passava dalle mani in tutto il corpo e non si aveva la forza di staccarsene per ritornare a scavare, nel gelo. Volodja non ci caccia.va via come facevano gli altri pointisty. Non ci diceva nemmeno una parola e io sapevo che ai pointisty era stato proibito di far accostare ai tubi i fratelli. Se ne stava in piedi circondato dalla nebbia dello spesso vapore bianco. I suoi vestiti gelavano. Ogni filo del suo giaccone brillava come un ago di ghiaccio. Non si metteva mai a parlare con noi; dopo tutto, era troppo alto il prezzo di quel lavoro, evidentemente. La sera di Natale di quell'anno eravamo seduti vicino alla . stufa. I suoi fianchi di ferro erano più rossi del solito in occasione della festa. Un uomo avverte in un attimo la differenza di temperatura. Noi che eravamo seduti presso la s-tufaci si abbandonava al sogno, al lirismo ... - Sarebbe bello tornare a casa, fratellini. Ecco, un miracolo - disse il cavallante Glebov, ex-professore di filosofia famoso nella baracca per aver dimenticato un mese prima il nome della moglie - Badate, è la verità. -A casa? -Sì. - Ti dico la verità - risposi -, meglio la galera. Non _ scherzo. Non vorrei ritornare dalla mia famiglia. Là non mi capiranno mai, non potranno capire. Quello che a loro sembra importante, per me è un mucchio di sciocchezze. Quello che sento importante per me è il poco che mi è rimasto e loro non possono capirlo, provarlo. E poi aggiungerei una nuova paura, ancora una nuova paura, alle mille paure di cui è piena la loro vita. Quello che ho visto io, un uomo non lo deve sapere, né vedere. - La galera - continuai - è un'altra cosa. La galera è la libertà; l'unico luogo che io conosco in cui la gente non ha paura e dice tutto quello che pensa, dove l'anima riposa. Dove il corpo riposa perché non si lavora. Là ogni sera di esistenza ha un significato. - Che dici, chetati - disse l'ex.professore di filosofia - . Dici così perché durante l'istruttoria non te le hanno date. Chi è passato attraverso il metodo n. 3 è di parere diverso ... E tu, Petr lvanovic, cosa dici? Petr lvanovic Timofeev, ex-direttore di una fabbrica negli Urali, sorrise e dette un'occhiata di assenso a Glebov. - lo tornerei a casa dalla moglie, da Agnija Michajlovna. Comprerei un pane di segala, una pagnotta. Metterei al fuoco una

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