Linea d'ombra - anno X - n. 69 - marzo 1992

KOLYMA Tre racconti Varlam Salamov traduzione di Piero Sinatti Varlom Solomov (dall'archivio di Gustow Herling). Ripubblichiamo alcuni racconti dello scrittore russo VarlamSalamov nella traduzione che ne fece Piero Sinatti, che ringraziamo, nel 1976 per un volume delle edizioni Savelli: Varlam Salamov, Kolyma. 30 racconti dai lager staliniani. Ne parlò, sul "Corriere della Sera" del 17novembre 1976, Gustaw Herling, lo scrittore polacco che in Un mondoa parte aveva anche lui narrato l'esperienza diretta dello stalinismo, della prigionia e deportazione. Herling, che vive a Napoli dal 1955, ha scritto sulla morte di Salamov un racconto che abbiamo pubblicato nel n. 63 (settembre /991) di questa rivista: Il marchio. L'ultimo racconto di Kolyma Il suo articolo (tra ritratto di Salamov e recensione del volume curato da Sinatti) è la migliore introduzione possibile alla riproposta dei "racconti di Kolyma ". Ringraziamo Herling peravercipermesso di ripubblicarlo eper le foto di Salamov che ci ha gentilmente procurato. Per Salamov Gustaw Herling Maggio 1965, la serata in onore di Osip Mandel'stam all'università di Mosca. Si commemora il poeta, morto nel campo di transito a Vladivostok (in attesa dell'apertura della navigazione per Kolyina) presumibilmente verso la fine del 1938. La commemorazione si svolge in presenza della vedova del poeta, Nadezda Mandel'stam, e sotto la presidenza di Ehrenburg. L'aula è gremita, sul podio si avvicendano gli oratori e gli studenti scelti per leggere i versi di Mandelstam. A un certo· momento compare un personaggio che il resoconto della serata descrive così: "Pallido, gli occhi fiammeggianti, fa pensare al protopope Avvakum, i movimenti non coordinati, le mani convulse, parla in modo stupendo e libero, sembra una corda tesa al limite della resistenza, ancora un po' e si spezzerà." Legge un suo brevissimo racconto sulla morte diun poeta nel campo di concentramento. Il poet11moribondo, immobile suIlabranda, sta componendo gli ultimi versi, i suoi "versi veri" bellissimi 30 e limpidi come se la vita si fosse all'improvviso decisa a rientrare nel . corpo ormai agonizzante. Al calare della notte muore. Per due giorni gli altri prigionieri nella baracca nascondono il fatto, riuscendo a riscuotere la sua razione di pane. "Il morto teneva su una mano, simile a un pupazzo. Morì prima della data della sua morte, un particolare non trascurabile per i biografi." Il singolare personaggio e autore del racconto sulla morte di Mandel'stam era appunto Varlam Salamov. Nato nel 1907 a Vologda, laureato all'università di Mosca, fu arrestato la prima volta nel '29 e condannato a tre anni di lavoro forzato. Il secondo arresto venne nel '37, seguito dall'invio nei campi di Kolyma, i più orrendi dell'intera rete staliniana di filo spinato, "l'inferno bianco" o "il crematorio bianco", la principale fonte d'estrazione dell'oro sovietico, un oro pregiato davvero siccome il suo valore va calcolato in centinaia di migliaia di vite di prigionieri denutriti, seviziati, non di rado torturati, ridotti a larve umane (o bestiali); costretti a lavorare sedici ore al giorno con una temperatura che nel deserto di Kolyma scendeva spesso a cinquanta gradi sotto zero; fucilati a dozzine per i più futili motivi. Salamov ha passato a Kolyma - cosa quasi incredibile - diciassette anni. Tornato a Mosca nel '54, malato e quasi sordo, si mise a scrivere. Pubblicò tre volumetti di poesie (accolti con entusiasmo da Pasternak), ma nemmeno uno dei suoi numerosissimi racconti di Kolyma (la versione italiana curata da Sinatti per la Savelli è soltanto una modesta scelta). L' "universo concentrazionario" illustrato da Salamov induce, come è naturalè, a un ennesimo esame del fenomeno totale e totalitario, che i governanti sovietici e alcuni loro accoliti comunisti stranieri hanno sperato di poter liquidare eufemisticamente con la famosa formuletta idiota del "culto della personalità"; e induce, per giunta, a una verifica alla luce dell'Arcipelago Gulag di Solzenicyn, che di Salamov si dichiara un fervente estimatore, arrivando persino a chiamarsi un suo "fratello". Sinatti, con onestà lodevole in un marxista mi.litante,taglia corto al problema della paternitàdell' "universo concentrazionario" sovietico: "I lager non sono ·una creazione di Stalin, vengono istituiti nel 1918, l'espressione koncentracjonnyje lagerja la troviamo in Lenin." L'invenzione leninista però era più che altro legata ancora all'idea della "riedu.cazione" dei nemici del bolscevismo, alla perekovka, cioè "riforgiatura" di chi non vuole arrendersi al vincitore di "propria spontanea volontà". Poi si passa al "valore produttivistico" del lavoro forzato e quasi gratuito (eccezion fatta per le vite umane), e siamo agli albori dell-'era staliniana. Per i miei gusti, e per le mie personali esperienze, Sinatti insiste un po' troppo sul "fattore produttivistico" come pietra angolare del gigantesco edificio carcerario. Non nego la sua esistenza, basta leggere l'opera classica del professor Swianiewicz Forced Labour and Economie Development per convincersene. Ma l'essenza dell'Arcipelago Gulag in continua e inarrestabile crescita viene racchiusa nella laconica osservazione di uno dei racconti di Salamov: "Agli occhi dello Stato un uomo fisicamente forte è migliore di un uomo fisicamente debole, di un uomo che non può tirare fuori dalla trincea venti metri cubi di tetTadurante il suo turno; il primo è più morale del secondo". È nella nuova moralità dello Stato totalitario e fascista per eccellenza (con buona pace dei marxisti più o meno "giustificazionisti") che sta il vero nocciolo dell'"universo concentrazionario" sovietico. Sinatti finisce per avvedersene, accostando. il reticolato comunist 4 a quello nazista. Infatti, dai racconti di Salamov risulta chiara una cosa: la terribile Kolyma era una Auschwitz rossa. E non è, sicuramente, un semplice caso che Salamov come novelliere di Kolyma fa tanto spesso pensare a Tadeusz Borowski, l'insuperabile narratore polacco di Auschwitz, l'autore dell'agghiacciante racconto Signore e signori, accomodatevi nella camera a gas. Borowski, di cui proprio i'nquesti giorni cade il venticinquesimo anniversario del suicidio •

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