Linea d'ombra - anno X - n. 69 - marzo 1992

CONFRONTI In generale, qualche sforzo di fantasia non nuocerebbe alle pagine Letterarie. Si potrebbe provare, che so, a vincolare gli interventi a rigide regole di scrittura (una presentazione in trecen- · to parole; recensioni ottenute semplicemente affiancando diversi riassunti dello stesso testo, o nella forma di un contro-risvolto); e perché non tentare di raccogliere (come proponeva l'anno scorso Giulio Bollati sulla "Rivisteria") storie di lettori comuni, o non affidare, in modo abituale e non eccentrico (a volte "Linea d'ombra" lo ha fatto) il discorso su un romanto a un intellettuale non specialista? Un'idea un po' più duttile della complessità del tragitto che conduce un manoscritto a farsi opera letteraria in senso pieno gioverebbe, tra l'altro, a dissolvere in parte quella patina di noia che si stende uniforme su non poche terze pagine e supplementi. Insomma, l'invito che si vorrebbe rivolgere a chi si trova a .esercitare la critica letteraria è all'accettazione meno passiva di spazi, oggetti e modalità di discorso messi a disposizione dai canali editoriali di vario tipo (ovviamente, l'invito è indirizzato a maggior ragione a chi quegli.spazi, ecc. gestisce: a partire dalle redazioni). Forse, mostrandosi meno disposti a sollevare certe cornette, si potrebbe diminuire l'incidenza di recenti e prospere forme non-comunicative come il giro-di-pareri-telefonico. Qui è soprattutto il meccanismo del montaggio corale - con la doppia illusione di confronto di idee e di schizzo dello stato attuale della · situazione - a produrre gli effetti peggiori, fra i quali credo, tranne poche eccezioni, anche quello di una relativa deresponsabilizzazione di chi parla. , Si tratta, in conclusione, di provare a considerarsi appunto più responsabili in prima persona (a partire dal piccolo; quasi vorrei dire soprattutto nel piccolo, perché sul grande di rado ci è dato di intervenire) dell'aspetto complessivo di un mondo della critica letteraria dagli abiti un po' trasandati, e agire di conseguenza~ Il prevalente orientamento autocomunicativo e la bassa reattività che caratterizzano (non in modo univoco, naturalmente, le cose sono più articolate e a volte migliori di quanto non stia dicendo) l'attuale società letteraria sembrano rinviare a un assunto fondamentale: la convinzione che le sorti della letteratura riposino tranquillamente nelle sue mani. Ma non è affatto così. E per rendersene conto basta spostarsi nella quinta istituto tecnico dove lavora Guido Armellini (cfr. "Linea d'ombra", gennaio 1992). Anche lì si parla di letteratura, e Vermeti Ernesto accosta - in modo poco giudizioso, ma estremament.e istruttivo - Vasco Rossi a Rimbaud. Istruttivo, è questo il punto, non solo per· gli esperti della didattica, ma per chiunque lavori intorno alla letteratura. Il fatto che Vermeti Ernesto sia, rispetto al suo·insegnante, membro di un'altra tribù fornita di una sua cultura complessa e strutturata (una «cultura libera illegittima( ...) acquisita con la pratica e nella pratica, fuori del controll.o dell' istituzione», come dice Armellini citando Bourdieu) non è affatto· irrilevante per quei destini di cui si diceva sopra. La scuola infatti costringe a fare i conti con un punto di vista alternativo sulla realtà della letteratura, utile a relativizzare, a ristabilire proporzioni, a reintegrare un quadro d'assieme. Le aule danno quotidianamente visibilità concreta (certo nella sua forma bambina, adolesaenziale, giovanile) a quell'orizzonte ricettivo allargato (il grande pubblico potenziale che comprende in sé anche il non-pubblico) verso il quale ogni opera è destinata ad orientarsi per trovare i propri lettori. Di fronte all'idea di letteratura e lettura letteraria proposta dalla cattedra la gamma delle risposte fruitive è eterogenea: coesistono adesione attenta e critica, disponibilità passiva in attesa di stimoli, scelta di itinerari autonomi, disinteresse o sordità. La diversità delle reazioni è il riflesso dell'esito del confronto tra un paradigma di valori e comportamenti sanzionato (in maniere più o meho dirette) dalla comunità letteraria e un insieme di leggenti non ~elezionati. Dal poco lusinghiero risultàto di quel confronto, sotto gli occhi di tutti, dovrebbe venire abbondante materia di riflessione peri tecnici della letteratura. Spostare il punto di vista è sempre un'operazione conoscitivamente produttiva (per quanto ci interessa non è neanche difficile: è sufficiente entrare in una scuola o fare un salto all'edicola sotto casa), tuttavia ancora oggi la critica rilutta a confrontarsi a fondo con prospetti ve sull'universo della letteratura che non siano tracciate dal suo vertice. Ossia, dall'interno di una società letteraria intesa come segmènto consapevole del pubblico, quello al quale è garantito il diriqo di parola e insieme è riconosciuto il compito di stabilire un canone di valori letterari e atteggiamenti di lettura da consegnare alle epoche successive . Stenta ad affermarsi la consapevolezza che la società dei primi lettori è, per quanto carica di attrezzature e autorevolezza, solo un settore dell'insieme del pubblico leggente - sempre più vasto, articolato e stratificato -, e che una parte non minuscola di quell'autorevolezza si gioca sulla sua capacità di prenderne atto (studiandone le scelte. e gli atteggiamenti fruiti vi) e di sapervi in qualche modo influire. La questione centrale è insomma quella della riformulazione dell'idea tradiziopale di letteratura. Tutto sta, come ha detto Vittorio Spinazzola(di recente in "L'asino d'oro", n. 3, 1991), nel rinunciare a una concezione della letteratura come «bene rifugio» e provare a considerarla piuttosto come un «utensile», che serve al soddisfacimento di bisogni non ·menp profondi ed essenziali, perché immateriali. E allora tutti i prodotti capaci di rispondere a quei bisogni sono meritevoli di diventare oggetto di analisi: delle opere conta non solo la struttura, ma anche la funzione. Va da sé che a questa operazione di allargamento del campo di lavoro della critica deve corrispondere un parallelo rafforzamento dell'istanza valutativa. Riconoscere la varietà dei livelli della produzione ietteraria, la pluralità delle.attese e degli stili di lettura non deve condurre a una semplice constatazione-giustificazione dell'esistente: si tratta. invece di distinguere, differenziare, gerarchizzare con sempre maggior decisione, ma senza pregiudizi. La critica letteraria non dovrebbe vivere solo di pernici (e ignorare scrittori come Dick) ma tantomeno soltanto di Scerbanenco e Dylan Dog. Meglio essere onnivori. Su questo piano però continuano ad esserci ritardi e diffidenze della comunità critica e dell'intellettualità italiana nel suo complesso: lo testimoniano, da un lato, la debolezza costituzionale della divulgazione nel nostro paese (alla quale fa puntualmente riscontro il successo delle non tante opere che la mettono in pratica, di sovente a prescindere dalla qualità del prodotto o dalle scelte di tono e di linguaggio: si veda il caso della recente divulgazione mitologica compiuta da due autori diversissimi come Roberto Calasso e Luciano De çrescenzo); dall'altro, il confino specialistico dei problemi della didattica, questione viceversa con tutta evidenza tipicamente generale e decisiva per la sopravvivenza di ogni civiltà (non solo) letteraria. Mi accorgo di aver cercato di alleviare quel senso di disagio da cui ero partito., di riempire in qualche modo quel vuoto progettuale, con un discorso d'impostazione un po' illuminista, non privo di venature moraleggianti (vedo gli sguardi di disapprovazione). In verità, da queste riflessioni e piccole proposte forse vetero, forse demodées, non mi attendo molto (hanno senz.a dubbio in primo luogo un valore di autorassi~urazione~, ~a può dar:siche a qualcosa e a qualcuno possano servire. E oggi, fil pare, abbiamo bisogno anche del poco.

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