IL CONTESTO articolo di deplorazione dell'"estremismo" politico. E lo Schlesinger chiudeva il suo tributo post mortem su un tono molto analogo: Kennedy era stato "il Pr:esidente più civilizzato che abbiamo avuto da Jefferson in poi," e un "folle fanatico politico" l'aveva abbattuto. Gli ammiratori di Kennedy, affascinati "dalla maestà e dagli oneri della Presidenza," per dirla con "Newsweek", attribuivano la stessa fascinazione al supposto assassino. Un reporter di "Time" scrisse che Oswald, come gli uccisori di Garfield, Lincoln e McKinley, era: uno "psicopatico solitario," che cercava "un'ora di folle gloria." In quanto prototipo del piccolo uomo mosso dall'invidia del perdente per il fascino e il successo, Oswald rafforzava i dubbi sull' ~bilità delle persone qualsiasi di. sostenere le sfide del mondo moderno. Quanti ammiravano l'aristocratico disdegno di Kennedy per i gesti politici convenzionali trovavano in Oswald lo sfogo perfetto per la loro paura della mentalità delle masse. Come Kennedy rappresentava il meglio, l'elemento più nobile della vita americana, lui ne incarnava la parte peggiore. · Le speculazioni sull'assassinio, così, non s'appuntarono sul problema se Oswald avesse potuto davvero uccidere Kennedy da solo e senza qualche assistenza, ma su quello, apparentemente molto più importante, di cosa la sua azione rivelasse della · psiche naz1onale. La domanda che veniva ripetuta più spesso nelle ore dopo il fatto__: "A cosa siamo arrivati?" -diede il via a un'orgia di autocoscienza nazionale. Questa pseudo-introspezione, condotta in massima parte in stile sociologico e psichiatrico, non affrontò neanche i problemi lasciati insoluti dal Rapporto Warren: il numero e la provenienza dei colpi che uccisero Kennedy, la natura delle sue ferite, le circostanzè specifiche che avevano preceduto la sparatoria. I dubbi in merito vennero liquidati come prove di "mentalità cospiratoria," come un'espressione dello stesso clima di.odio che aveva nutrito uno psicopatico come Oswald. Gli assassinii di Malcolm X, di Martin Luther King e di Robert Kennedy, un'ondata di tumulti, razziali nelle grandi città, gli scontri sempre .più violenti tra gli studenti radicali e la polizia, aumentavano l'urgenza di una -spiegazione socio-psichiatri.ca del malessere della nazione. Nel 1969, La National Commission on the Causes and Prevention of Violence concludeva che tutti questi eventi potevano esser fatti risalire alla tradizione di violenza casuale, non politica, del paese2 • Da un raffronto incrociato tra le varie tradizioni culturali, risultava chiaro che le società "tradizionali" e quelle "moderne" presentano un basso livello di violenza, che invece alligna nelle società "di transizione," mosse "dal desiderio di un nuovo modo di vivere, ma ancora lontane dal realizzarlo." Visto che gli Stati Uniti non si conformavano alle aspettative sugli effetti civilizzatori della modernizzazione, la commissione aveva cercato di individuare le condizioni peculiari alla s"ocietàamericana, e le ' aveva trovate (come Gunnar Myrdal, a suo tempo) nella sua storia di conflitti razziali, nella tradizione dei vigilantes, nonché nei éoncetti sviati di individualismo e di sovranità popolare su cui si fondavano. "La tradizione dei vigilantes è ancora viva. È diventata parte permanente dell'eredità americana." Aveva trovato, anzi, un sostegno culturale in certe ben note dottrine democratiche: la libertà di coscienza, il diritto di portare armi, il · diritto alla rivoluzione. Rivelando un certo nervosismo in tema di democrazia, la commissione sottolineava !'"importanza critica" di mantenere "intatto il senso della legittimità dél governo e delle istituzioni." Come la Commissione Warren, insomma, sulla democrazia privilegiava di gran lunga la legalità. La commissione sulla violenza riconosceva il bisogno di rimuovere "le cause di fondo dell'inquietudine sociale e della percezione dell' ingiustizi<:1,"e deplorava "qualsiasi tentazione 20 di una scorciatoia verso la tranquillità politica," ma negava anche la possibilità che l'ingiustizia sociale potesse esser corretta mediante un'azione popolare. Deplorava le tensioni sociali e la "percezione dell'ingiustizia," non l'ingiustizia in sé. Deplorava la formazione di "due schieramenti contrapposti di razzisti bianchi e militanti neri," ma non prendeva in esame la situazione che l'aveva determinata. Denunciava I "'estremismo" di sinistra e di destra, sostenendo che "le tattiche della nuova sinistra" erano "virtualmente identiche a quelle usate all'inizio dal nazismo." A forza di insinuazioni e allusioni, faceva capire che l'agitazione popolare rappresentava la minaccia principale al1a "tranquillità politica." Gli autori di Assassination and Politica/ Violence erano soprattutto perplessi di fronte alla popolarità delle spiegazioni di tipo cospiratorio. Per cui, sostennero che l'assassinio di un presidente, con le sue ovvie implicazioni di parricidio simbolico, è sempre una denuncia pubblica della vulnerabilità di un simbolo venerato di permanenza e continuità, e che l'ipotesi di una congiura, per quanto assurda, ha comunque l'effetto di attenuare lo shock fornendo una "spiegazione più ragionevole" di quella di un cieco atto di violenza. "Sembra incredibile che l'uomo che controlla il maggior apparato di potere del mondo possa essere distrutto in pochi secondi dall'attacco di una nonentità." Invece di ammettere "che un singolo, isolato individuo instabile" possa minacciare la fragile struttura dell'autorità di governo, la gente si rifugia nella sicura teoria della cospirazione. Ancora una volta, la commissione sottolineava il contrasto tra la vulnerabilità dell'autorità legittima e la violenza dell'irrazionalità e dell'emotività popolare, che minacciava /:iiminare alla base la struttura, imponente ma fragile, delle istituzioni rappresentative. L'odio e l'irr~zionalità popolare non venivano alla luce solo con l'azione dell'assassino impazzito, ma nella reazione, altrettanto impazzita, che ne conseguiva: Il '1bisogno psicologico" . delle teorie cospiratorie, il rifiuto di prestar fede alle "prove· apparentemente decisive" in contrario, la richiesta vendicativa della testa del criminale, ~nche da parte di chi dubitava che fosse lui l'unico responsabile del delitto. I sondaggi per cui solo un terzo degli intervistati ritenevano che Oswald dovesse avere un regolare processo disturbavano i benpensanti quasi quanto quelli che rivelavano la diffusione delle teorie sulla congiura. "Il pubblico americano, in queste circostanze, si preoccupa più della retribuzione·che ... delle regole della legge," scrivevano gli autori. La confusione tra giustizia e vendetta - che comunque diminuiva, facevano notare, nelle classi più ricche e più acculturate-era un'altra indicazione del!' immaturità e della fragilità emotiva della mentalità popolare. I postulati di fondo del rapporto della commissione sulla violenza si ritrovano anche nelle opere di osservatori che rifiutano il punto di vista ufficiale. Garry Wills e Ovid Demaris offrirono una spiegazione molto analoga del bisogno popolare di teorie cospiratorie. La pallottola che aveva ucciso Kennedy, secondo loro, aveva evocato il timore di "pericoli molto più gravi di quello di una congiura." Aveva evocato "la terribile sensazione che si fosse scatenato il caos." Fondandosi su uno studio sulle reazioni popolari all'assassinio svolto dal Nation Opinion Research Center, il Wills e il Demaris attribuivano il bisogno di teorie cospiratorie al panico dell'ignoto e al desiderio di negare l'orrore esistenziale della morte di Kennedy riducendolo a un intrigo da romanzo. Terrorizzato dal male assoluto impersonificato da Oswald, il popolo. americano aveva dovuto sbarazza'rsi di Oswald, 'eliminandolo' con le parole, le teorie, le dimostrazioni." L'uccisione di Oswald da parte di Jack Ruby
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