IL CONTESTO Kennedy e 0.swald Christopher Lasch traduzione di Carlo Oliva In questo originale commento alla vicenda Kennedy Christopher Lasch riassume efficacemente alcune tesi di fondo del suo recente e poderoso libro (Il paradiso in terra. Il progresso e la sua critica, in uscita ad aprile presso Feltrinelli, che ringraziamo) a proposito della crisi irreversibile dell'area "progressista" e della necessità di recuperare la tradizione. populista ottocentesca, intesa soprattutto come cultura del limite. Il celebratissimo stile Kennedy, (giovanile, diretto, candido, elegante) aveva bisogno, nell'universo dei media, di una figura diametralmente opposta: e così ecco spuntare Oswald, un "nessuno", psicopatico solitario", l'uomo comune alla patetica ricerca di un'ora di gloria (criminale), "il prototipo del piccolo uomo nella sua invidia di perdente per ilfascino dei Kennedy". Proprio in quegli anni si consuma, secondo Lasch, il definitivo distacco tra liberal e gente comune, tra classi colte e lower rniddle class, tra "progresso" e "popolo", tra minoranze illuminate di sinistra e l'americano medio. (Filippo La Port.a) Il liberalismo "civilizzato" ebbe la sua espressione più alta nella presidenza di John F. Kennedy e nell'idealizzazione retrospettiva della figura di Kennedy come sua incarnazione quintessenziale. Nella mitologia liberale, l'uccisione del presidente divenne un simbolo di promesse frustrate, di "ecceBenza" rovesciata, di tragico declino del sogno americano. Il turbamento politico che ne seguì, più ancora del maccarthysmo, convinse i liberali che l'autorità del governo è una struttura delicata e vulnerabile di elementi di civilizzazione imposta a forza al ribollire delle pressioni popolari: razzismo, violenza, vendicatività, invidia del successo e della capacità di distinguersi. n mito di Camelot protesse la Nuova Frontiera e la tradizione politica che la sostene'va da ogni tentativo di valutazione nel merito. Visto che il peso determinante assegnato a Kennedy, in vita e in morte, in quanto simbolo dell'ora più beli~ del liberalismo dipendeva più dall'immagine che dalla sostanza - nel 1960 l'argomento più forte di Arthur Schlesinger contro Nixon era stata la sua "mancanza di gusto" - l'illusione della sua grandezza poteva essere mantenuta, nonostante i risultati incerti, e spesso deludenti, della sua presidenza, solo grazie a un' interpretazione retrospettiva che accentuasse il terna delle promesse irrealizzate di una carriera spenta prematuramente da una tragica fine. Nella valanga di commenti che seguì all'assassinio di Kennedy, le tematiche che s'imposero furono due: là celebrazione dello "stile" del presidente e la speculazione sulle oscure correnti sotterranee della vita americana, sulle crepe insospettate del carattere nazionale, che avevano portato al delitto. SecondQ "Newsweek", Kennedy "aveva infuso nella carica uno stile giovanile, diretto e vigoroso, che non si ritrovava dai tempi di Theodore Roosevelt" "Il suo stile era tutto," scriveva Ben Bradlee. "Aveva conquistato l'immaginazione nazionale. Il paese, riflettendo il suo leader, aveva un aspetto nuovo ... Con i suoi doni d'intelletto, determinazione, simpatia, e la quasi sicurezza di una riconferma, quali grandi e durevoli realizzazioni non avrebbe compiuto?" Theodor H. White elogiava il suo "straordinario, astringente candore·," la sua "eleganza, la sua gaiezza, la sua grazia." Gli storici avrebbero potuto discutere sui "principi legislativi e sui propositi dell'amministrazione Kennedy" ma nessuno avrebbe potuto nuttire dei dubbi sull'inimitabile "stile" del presidente. L'elogio funebre di Schlesinger sul "Saturday Evening Post" ne celebrava la "personalità vitale," la "pronta intelligenza"," la "facile simpatia e il sobrio umorismo," !'"immaginazione storica," la "visione dell'America ... come nobile nazione," superiore "alle motivazioni meschine e prosaiche." Kennedy aveva dato al paese "un nuovo senso di sé, un nuovo spirito, un nuovo stile, una nuova concezione del proprio ruolo e del proprio destino." Per non essere di meno, due · settimane dopo l'assassinio, White pubblicò un'intervista con Jacqueline Kennedy, chiudendola con la citazione, da parte della vedova del presidente, delle parole del celebre musical di Broadway: "Per un breve momento, eracomeCamelot 1 ."Un eroe così ampiamente definito dal suo stile aveva bisogno di un'antitesi appropriata, e gli elogiatori ne trovarono una su misura nella persona di Lee Harvey Oswald. Uno spostato, un nessuno, una figura patetica e ridicola insieme, Oswald aveva tutte le qualità richieste per la parte che la storia gli aveva assegnato. Nei commenti che prendono in considerazione il suo ruolo di nemesi · di Kennedy, serpeggia una specie di soddisfazione estetica. "Così l'odio ha trionfato," scriveva Ralph McGill, suggerendo quasi l'inevitabilità di un simile esito, in conclusione di un . \ ~-.--. ' - .. ',' ". . ' .........,...... I •• • ' ~ t ! ' ' ' ·,i ''è} • • '\ ,.,_ . ' "' . ~ ' . 19
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