Linea d'ombra - anno X - n. 69 - marzo 1992

discussione di una o di entrambe queste posizioni, ma un assunto è comune a entrambe: l'idea che la condizione dell'università e della scuola, come di ciò che intellettualmente .esocialmente le accompagna, è speciale, è diversa da quella di altri ambiti della società come la burocrazia governativa, il luogo di lavoro o l'abitazione. Io credo che oggi tutte le società assegnino un privilegio speciale all'accademia; sia che il privilegio la esoneri dai contatti con il mondo quotidiano o al contrario la coinvolga in quel mondo, in essa prevalgono, o_dovrebbero in realtà prevalere, condizioni uniche. Dire che qualcuno è colto o trasmette cultura è dire qualcosa che ha a che fare con la mente, con valori intellettuali e morali, con un particolare processo di indagine, discussione e cambiamento, e nessuna di queste cose la si incontra così regolarmente al di fuori dell'accademia. L'idea è che le accademie formino la mente dei giovani, li preparino per la vita, esattamente come - dal punto di vista dell'insegnante - insegnare è impegnarsi in una vocazione che ha soprattutto a che fare non con il guadagno economico, ma con l' infinita ricerca della verità. · Questi sono problemi molto alti e importanti e per quelli di noi che hanno fatto della cultura la ragione della vita-testimoniano la genuina aura che circonda l'avventura intellettuale e accademica. C'è qualcosa di sacrale nell'accademia: per questo proviamo un senso di santità violata quando l'università o la scuola sono sottoposte a dure pressioni politiche. Eppure, secondo me, essere fermamente convinti di queste forti verità non significa essere automaticamente liberi dalle circostanze - qualcuno le chiamerebbe impacci - che incombono sulla cultura oggi, che influenzano il nostro modo cli pensarla e modellano il nostro lavoro nell'accademia. Insomma, se consideriamo queste situazioni e questi contesti, la ricerca della libertà accademica divènta più importante, più urgente, più bisognosa di analisi accurate e di riflessione. Mentre quindi è universalmente vero che le società contemporanee trattano l'accademia con serietà e rispetto, ogni comunità di accademici, intellettuali e studenti deve lottare con il problema di cos'è realmente e cosa dovrebbe essere la libertà accademica in quella società e in quel determinato momento. Vorrei parlare brevemente delle due parti del mondo che conosco meglio. Negli Stati Uniti, dove vivo e lavoro, c'è stato un netto cambiamento nel clima accademico da quando ero studente, una generazione fa. Fino alla fine degli anni Sessanta la maggior parte della gente dava per scontato che ciò che avveniva all'interno dei confini dell'università fosse privo di qualunque legame stabile, collaborativo o - nei casi peggiori - collusivo con il mondo esterno. Ma a causa dell'impatto provocato dall'esperienza della guerra del Vietnam e a causa delle tante collusioni esistenti fra l' ac.cademia e le istituzioni del governo e del potere, il velo venne, per così dire, strappato. Non era più dato per scontato che i politologi o i sociologi fossero teorici e ricercatori al disopra delle parti; si scoprì che molti di loro lavoravano, a volte segretamente e a volte scopertamente, su temi come la contro-insunezione e le "ricerche letali" per il Dipartimento di Stato, la Ciao il Pentagono. Dopo che la separatezza cieli'università fu considerata un'idea da abbandonare si ebbe una serie di atteggiamenti uguali e opposti. Divenne quasi un cliché considerare l'università semplicemente come un'arma del governo, ctft rifletteva solo gli interessi delJe corporazioni e del potere costituito e perciò doveva essere completamente trasformata in un luogo in cui gli studenti venissero preparati come riformatori o rivoluzionari. "Pertinenza sociale" era la nuova parola d'ordine. E mentre una serie di nuove materie entrava per la prima volta nell'università ILCONTESTO _:_ mi riferisco ancora una volta agli studi sulle donne, sulle minoranze, sugli effetti della guerra, del razzismo e dell'oppressione sessuale- sembrava emergere nell'università una nuova mondanità che le negava il relativo distacco cui un tempo sembrava aver diritto. Come reazione a tutto questo, l'espressione "libertà accademica" fu assunta dal movimento che dichiarava di voler riportare l'università a un'ormai molto rimpianta sorta di imparzialità e di distanza nei confronti del mondo quotidiano. Ma qui vennero introdotte ogni sorta di esagerazioni e distorsioni polemiche. Durante gli anni Ottanta l'università americana fu descritta come ostaggio di una cospirazione rivoluzionaria marxista. Questa naturalmente era un'idea ridicolmente falsa. Ma l'argomento portato avanti in nome della libertà accademica sosteneva che, poiché tanti corsi e idee nuovi erano stati introdotti nel curriculum tradiziona)e, gli standard dell'epoca d'oro dell'qniversità si erano abbassati, erano stati condizionati dalle pressioni politiche. Per restaurare la vera libertà universitaria dalla vita quotidiana bisognava ritornare a corsi, idee e valori che derivavano esclusivamente dal filone principale del pensiero europeo - Platone, Aristotele, Sofocle, Cartesio, Montaigne, Shakespeare, Bacone, Locke ecc. Uno dei libri più famosi e di maggior successo commerciale dell'ultimo decennio è statoThe Closing of the American Mind, una lunga diatriba contro una schiera di cattivi che comprendeva Nietzsche, il femminismo, il marxismo e gli studi sui neri; l'autore di quest'opera, che aveva insegnato alla Cornell University quando per breve tempo l'università era stata occupata da un gruppo di studenti afroamericani armati, era così amareggiato da questa esperienza che il suo libro sosteneva molto francamente che per il bene della libertà universitaria si dovessero istruire non un grande numero clisubalterni e svantaggiati, ma una piccola élite accuratamente· preparata e istruita. n risultato sarebbe stato, come il libro spiegava molto chiaramente, che solo una manciata di opere dei greci e degli illuministi francesi sarebbero sopravvissute ai rigorosi test per l'inclusione nel curriculum nuovamente "liberato". Alle nostre orecchie questo può suonare risibile. E io credo che sia risibile, perché la cura per liberare l'università dai suoi mali, per liberarla dalle pressioni politiche, è in un certo senso peggiore della malattia. Pensavo senza dubbio che usare il concetto di libertà a proposito dell'accademia non significasse parlare soprattutto di esclusioni, ma piuttosto di inclusioni, e ritengo sicuramente che l'università dovrebbe essere il luogo in cui molti vigorosi ed emozioilanti progetti intellettuali non sono proibiti, ma anzi incoraggiati su un fronte il più ampio possibile. Sono perfettamente d'accordo, come tutti dovrebbero essere, che il concetto di libertà non può rappresentare, come dice' Matthew Arnold in un altro contesto, una licenza per fare tutto ciò che si vuole. Ma credo che chi difende la libertà delle comunità accademiche non possa passare la maggior parte d_el suo tempo a sostenere che· solo una manciata di idee, libri, discipline e metodi approvati sono degni di seria attenzione· intellettuale.Le realtà della vita sociale, in questa prospettiva, sono considerate sordide .e vili, anche se bisogna notare che professori come l'autore di The Closing of the American Mind non hanno difficoltà ad accettare denaro da corporazioni e fondazioni esterne all'università che casualmente professano idee profondamente conservatrici. Dire di tali pratiche che_esse rappresentano un modello di doppiezza non è un'esageraz1o~e. Non si può onestamente accusare qualcuno d~essere ~emico della libertà accademica solo· perché costm accoghe nell'accademia stessa preoccupazioni mondane mentre, quando si 13

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