1 2 VISTA DALLA LUNA <e: e::: e::: ~ <e: -l Se si rinunciasse alla tendenza individualistica dell'attuale modello medico, sarebbe possibile prendere in considerazione tutta la gamma delle cause delle malattie, anziché concentrarsi sulle cause puramente fisiche. In uno spaventoso numero di casi ci si ammala per cause sociali: per denutrizione e carenza di misure fondamentali per la salute dei cittadini (come il trattamento delle acque di scolo, le condizioni igieniche delle abitazioni, e l'acqua potabile), per contaminazione ambientale, per rischi sul posto di lavoro e per prodotti pericolosi, per la guerra, la tortura politica, la violenza nelle strade e i maltrattamenti in famiglia. Le istituzioni religiose sono in grado di occuparsi di queste cause sociali delle malattie, così come lo sono le istituzioni mediche. Se in questi problemi intervenisse la religione, potrebbe influire sul benessere della gente molto più direttamente di un sistema medico che preferisca occuparsi degli individui (cioè del loro corpo) dopo che la società li ha fatti ammalare. È una linea di condotta che obbliga ad allargare l'orizzonte al di là del corpo del singolo individuo malato per includere i più vasti contesti emotivi e sociali della malattia (McKinlay, 1986). Finché il 'problema' resta localizzato nel corpo del singolo malato, la cura e la prevenzione non vengono rivolte che a quel singolo corpo. Ci sono importanti (e forse scomode) implicazioni politiche e sociali nel prendere in considerazione le cause della malattia e il bisogno di benessere dell'intera persona. 2) Sofferenza e afflizione L'esperienza della malattia è difficile perché minaccia l'ordine e i significati con cui diamo un senso alla nostra vita. Minaccia la capacità di pianificare il futuro immediato o remoto, di controllare e di organizzare la vita. Malattia, sofferenza e morte pongono interrogativi di significato, come: perché capita a me? perché proprio adessç,? chi è responsabile? come mai Dio ha permesso che succedesse? perché i buoni soffrono e i cattivi se la godono?, e così via. La medicina occidentale trova difficile affrontare i problemi di significato dei sofferenti. Cassell ( 1982, 639) fa notare che il motivo per cui la biomedicina non riesce a occuparsi in modo adeguato della situazione di difficoltà dei malati sta nel fatto che la sofferenza è "sperimentata da persone, non solo da corpi, e deriva dalle sfide che minacciano l'integrità della persona, in quanto entità complessa di natura sociale e psicologica". I limiti impliciti nel modello medico fanno sì che il personale medico, spesso senza saperlo, causi sofferenze, non riuscendo a riconoscere la validità della sofferenza dei pazienti e non conoscendo o non rispondendo ai significati personali che il paziente attribuisce alla malattia. Molti malati possono cercare aiuto e guarigione soprattutto per la sofferenza e I' afflizione, e solo in secondo luogo per la malattia stessa, e quindi non di rado sono spesso profondamente delusi dalle cure mediche che identificano solo la malattia - seppure c'ècome oggetto esclusivo delle cure. Cassell ( 1982, 642) afferma che "la gente soffre per quello che ha perso di sé in relazione al mondo di oggetti, avvenimenti e relazioni". Per esempio, una donna aveva sofferto terribilmente per un'isterectomia cui si era sottoposta sei anni prima della nostra intervista. Non sposata, senza figli, e a soli ventinove anni di età, aveva perso "una parte enorme del [suo] futuro". Con ogni probabilità i medici e il personale ospedaliero si erano convinti che il suo problema uterino specifico fosse il vero obiettivo da tener presente e, quindi, insensibili alle sue sofferenze, l'avevano trattata "come una bambina ingrata che piange sul latte versato" (citato in McGuire, 1988). Sostenendo la necessità di ascoltare, riconoscere e prendere in considerazione i significati che i malati attribuiscono alle proprie sofferenze Kleinman ( 1988, 26) afferma: "I significati culturali della malattia danno alla sofferenza una specifica forma morale o spirituale di difficoltà. Sia che la sofferenza venga considerata come rappresentazione rituale della disperazione, come esempio morale paradigmatico del modo in cui si deve sopportare il dolore e la perdita (come nel caso di Giobbe), o come dilemma umano supremamente esistenziale di solitudine in un mondo senza significato, i sistemi culturali locali forniscono tanto la cornice teoretica del mito quanto il copione prescritto del comportamento rituale che trasforma l'afflizione del singolo in forma simbolica sanzionata per il gruppo". La religione è potenzialmente collegata alla guarigione dalla sua capacità di dare risposte efficaci alla sofferenza e alla difficoltà. Anche a prescindere dal conforto che dà agli afflitti (che è pur sempre una funzione preziosa), la religione può essere fonte di un rinnovato senso di coerenza nel mondo della persona, riannodando legami spezzati con i propri cari, i vincoli importanti con il gruppo e i ruoli sociali persi. Nella mia ricerca sul modo spirituale di affrontare la guarigione ( cf McGuire, 1988), gli intervistati ammisero inmodo impressionante di essere stati trasformati e ingranditi - non diminuiti - dalla risoluzione della loro esperienza della malattia. 3) Malattia, angoscia e dissenso Gli antropologi hanno notato che la malattia è spesso una manifestazione di angoscia, mediante la quale il corpo di un individuo esprime un complesso maggiore di preoccupazioni sociali e psicologiche Il simbolismo del corpo è un'espressione comune e potente di più vasti significati individuali o sociali. Queste manifestazioni di angoscia nelle società occidentali del nostro tempo possono includere, per esempio, anoressia, ulcera, disturbi di menopausa, problemi cardiaci, problemi respiratori, sindromi di dolore cronico. Dicendo che questi problemi sono espressioni di angoscia non intendo dire che non siano anche problemi fisici quanto mai reali nell'esperienza del sofferente; è certo però che, se vuol aver successo, qualsiasi cura medica deve in qualche modo tener conto delle preoccupazioni reali del malato, non solo dei sintomi fisici. La malattia può essere anche un modo di esprimere dissenso e insoddisfazione per biMEDICI E PAZIENTI sogni umani frustrati e trascurati. È come se il malato dicesse: "Ne ho abbastanza!". In questo senso. fare il malato somiglia alla strategia atti vista della resistenza passiva. In casi estremi, la malattia è un rifiuto a far fronte, a lottare e a sopportare (Lock, 1986). La reazione medica (e spesso anche quella religiosa) è consistita spesso nel dare un vigore individuale a queste espressioni, negando le loro più vaste motivazioni sociali. In verità, troppe volte la risposta medica e religiosa è stata una reazione di controllo sociale, che mirava a sopprimere il dissenso e aminimizzarne l'impatto. Per esempio, è molto improbabile che un consigliere medico o religioso, cercando di aiutare una donna molto soggetta a mal di testa e ad 'attacchi di nervi' sia disposto ad 'ascoltare' le sue spiegazioni della malattia come espressioni di dissenso contro una miserabile situazione di lavoro o ruoli domestici oppressivi. Inoltre, anziché ammettere che il suo dissenso può essere giustificato, anche se controproducente, è assai probabile che questi consiglieri moderni cerchino di esercitare un controllo sociale per ridurre il dissenso della malata e renderla più conforme alle attese sociali, dicendo in realtà: "Hai bisogno di adattarti alla situazione, e intanto queste compresse di valium (o questi messaggi spirituali e preghiere) ti aiuteranno a stare un po' meglio". Come sarebbe diversa una risposta medica o religiosa che riconoscesse la legittimità del dissenso! Penso ad esempio, a un giovane medico nero di famiglia borghese, internista in una clinica del centro di una città,che un giorno esclamò: "Più vedo questi malati, più mi spavento della mia ignoranza e insensibilità di fronte alle cause sociali, economiche e politiche delle malattie. Oggi ho visto una donna obesa e ipertesa, madre di sei figli. Senza marito. Senza sostegno familiare. Senza lavoro. Nulla. Un mondo di violenza che abbrutisce, di povertà e di droga, gravidanze premature e crisi che fanno impazzire, una dopo l'altra in continuità. A ucciderla non è il suo corpo, ma il suo mondo. In realtà, il suo corpo è il prodotto del suo mondo. È una donna deforme che pesa enormemente più del normale, e che sopravvive a circostanze, a mancanza di risorse e a crudeli messaggi di consumare e tirare avanti che essa non poteva sentire senza provare rabbia per i limiti del suo mondo. Ahimè, ciò di cui ha bisogno non è una medicina ma una rivoluzione sociale." (citato in Kleinman, 1988, 216-217). Oltre al suo ruolo tradizionale come fonte di controllo sociale, la religione può servire anche a dare voce ai diritti umani e a un legittimo dissenso sociale. I gruppi religiosi, nonché i singoli consiglieri, possono ascoltare e comprendere le cause più profonde d'insoddisfazione e infelicità. Quando la malattia equivale in realtà ad angoscia e dissenso, la religione può essere fonte di guarigione solo se riconosce questi significati. Da "Concilium", rivista internazionale di teologia, n. 2, 1991, editrice Queriniana, dedicato a Il servizio pastorale agli infermi.
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