8 VISTA DALLA LUNA <( o::: o::: i== <( ....J (basterà a tal proposito citare i notissimi testi di Illich Nemesi medica 1977 e di Bensaid Le illusioni della medicina 1988). Non altrettanto note, a mio giudizio, sono tali considerazioni, tra i medici di base, gli operatori delle usi, la gran parte degli utenti singoli e associati. Ancora due veloci considerazioni sui rischi della medicina preventiva: la prima, concentrare tanta attenzione sulle misure di protezione individuale (fumo, alimentazione, stil i di vita) finisce col distogliere l'attenzione dalle misure di protezione ambientale (danni da inquinamenti dell'aria, acqua, suolo, rumore - traffico, industrie nocive, urbanizzazione selvaggia), con buona pace dei politici; i politici infatti continuano a dire di voler ridurre i danni da inquinamenti, ma poi, per non scontentare i gruppi di potere dominanti ed elettoralmente trainanti, non intervengono adeguatamente; si limitano a soluzioni tampone (targhe alterne per la limitazione del traffico nei centri urbani, bonifiche del territorio che intervengono sempre a valle e mai a monte dei processi inquinanti e così via). Gli educatori sanitari quando operano in maniera sprovveduta ed acritica finiscono quindi col dare una mano a costoro. La seconda: i problemi etici relativi principalmente ali' obbligatorietà per legge di alcuni interventi di medicina preventiva. Esistono, su tutto il territorio nazionale, comitati ed associazioni di utenti, genitori, che lottano contro l'obbligatorietà delle vaccinazioni nell'infanzia. Prima erano obbligatorie le vaccinazioni contro la polio, la difterite ed il tetano: attualmente quella contro l'epatite virale B, e, tra breve, quelle contro il morbillo, la rosolia e la parotite. Come conciliare tali obblighi con il diritto al consenso di chi viene sottoposto a qualsiasi trattamento sanitario? Viene infatti sancito che contro il consenso degli interessati (in questo caso dei genitori) nessun intervento sanitario può essere praticato. Problematiche di non semplice soluzione. Va infatti considerato l'indubbio merito di alcune pratiche vaccinali: da quando la vaccinazione antipolio è divenuta obbligatoria sono scomparsi, in Italia quasi totalmente, i casi di poliomielite. Il volontario nelle istituzioni Partecipazione, educazione alla salute, ricerca intervento, ruolo degli esperti; a ben guardare, in questo scritto sto venendo meno ad una promessa iniziale: far riferimento all'esperienza (del C.E.S.A. V. in particolare) ed alle riflessioni da essa scaturenti. Qualche considerazione conclusiva quindi che mi consenta di rientrare nel terna. Le istituzioni sanitarie pubbliche, le usi in particolare, funzionano, in gran parte del territorio nazionale, poco e male; ancor meno sono in grado di fornire risposte appropriate in presenza di bisogni-domande a forte connotazione innovativa (vedi il caso degli stranieri) ovvero a forte connotazione marginale (vedi il caso degli anziani soli, delle persone in condizioni di disagio psichico, dei tossicodipendenti). In questi casi, il più delle volte, a tali carenze istituzionali, supplisce il volontariato. Nel caso degli stranieri, il ruolo del volontariato è stato centrale ed assai utile (come riportato, tra l'altro, nei vari articoli pubblicati, in materia, sul numero MEDICI E PAZIENTI luglio-agosto 1991 de "La terra vista dal la luna"). Volontariato laico e cattolico che ha dato esempio, in ogni parte d'Italia, di grande capacità organizzativa, sensibilità e solidarietà. E le istituzioni? Poco o nulla a quanto mi risulta: qualche Regione sensibile, qualche usi o Comune molto attivi. L'esperienza di cui riferivo, all'inizio di questo scritto, credo si inserisca in tal quadro: la usi 39 di Napoli, il Centro per l'educazione sanitaria e la valutazione, una storia precedente di volontariato e di lavoro critico nelle istituzioni. Nelle istituzioni sanitarie sfasciate del sud vi è forse, per chi abbia la forza di conquistarlo e difenderlo, uno spazio d'azione superiore a quello esistente in realtà organizzative strutturalmente meglio organizzate. Mi riferisco alle istituzioni sanitarie a nord di Roma che funzionano, in media, di gran lunga meglio di quelle del sud, ma che si presentano più monolitiche, con gerarchie ben strutturate. Per dirlo con linguaggio caro agli specialisti del settore (gli analisti sistemici in particolare) l'organizzazione sanitaria pubblica al nord è meno flessibile, più centrata sulla regolazione dei meccanismi della struttura e del potere organizzativo, meno orientata alla regolazione dei meccanismi operativi, dei processi innovativi e di integrazione. Per dirla invece con un linguaggio più consono alla gente normale: è forse possibile occupare, all'interno delle istituzioni pubbliche rneridional i, spazi di azione lasciati vuoti dalla complessiva inefficienza e disorganizzazione; in special modo se ci si riferisce ad interventi nel settore dell'emarginazione, degli stranieri, dei tossicodipendenti. A patto che si abbia la voglia, l'energia, l'intelligenza tattica, la sensibilità tecnico-politica necessarie; caratteristiche queste ultime che segnano una pattuglia (sempre più sparuta?) di operatori sociali e sanitari che operano una specie di volontariato all'interno delle istituzioni pubbliche. Certo costoro (e chi scrive) percepiscono uno stipendio, devono sottostare a regole e vincoli tipici dell'organizzazione in cui operano. Ma essi potrebbero limitarsi a fare, come accade di frequente nella cosiddetta pubblica amministrazione, il minimo indispensabile, a programmaresoddisfare i loro interessi privati all'interno del settore pubblico, a lamentarsi senza proporre, a dare la responsabilità dello sfascio ai politici (per poi adularli in altri contesti) e così via. Se ciò non avviene è perché esiste, all'interno del servizio sanitario pubblico una schiera di operatori, che operano con lo stile, l'accanimento, la coerenza di chi opera nel volontariato. Sarebbe molto utile, a mio avviso, individuare meccanismi di integrazione tra gli operatori pubblici e coloro che operano nel volontariato, a livello di base; per soliti ci si incontra in convegni e dibattiti dove la ritualità e la valenza politico-partitica prevalicano i reali interessi degli operatori. Vanno individuati invece meccanismi integrativi sulle cose da fare, sui programmi da realizzare. È questo il tentativo attualmente in corso al C.E.S.A.V. Integrazione nella diversità tra quanti hanno interesse a che vengano fornite risposte appropriate ali' utenza, in particolar modo a coloro che vivono condizioni di particolare disagio fisico, psichico e sociale.
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