2 VISTA DALLA LUNA -< e,: e,: ~ :s Giorgio Bert Giorgio Bert (Torino 1933), cardiologo, è stato redattore di "Sapere" e "SE/ Scienza Esperienza", ha codiretto per Feltrinelli la Collana "Medicina e potere" e dirige una collana di divulgazione medica per la EDT. Ha scritto a_ssiduamentedei rapporti tra salute e società. Aspetti etici nella decisione medica Queste riflessioni mi sono suggerite da un processo contro due medici in cui sono stato coinvolto come perito di parte, e dalla recente riedizione di un libro (Philosophy of medicine, di Wulff, Pedersen e Rosenberg, Blackwell, Oxford 1990), la cui attenta lettura sarebbe fondamentale per ogni medico, e che di conseguenza non verrà, presumo, né tradotto né tanto meno studiato all'università. Ecco il fatto. La scena innanzi tutto: un ospedale di provincia, la sera del primo dell'anno. Si presenta al Pronto Soccorso un uomo sulla sessantina accompagnato dal proprio medico curante; l'uomo, R. A., lamenta un dolore toracico, prevalentemente a destra, che migliora con cambiamenti di posizione e le eruttazioni. R. A. ha avuto un infarto circa venti anni prima e da allora non ha più avuto disturbi cardiaci; continua a fumare molto, a bere e a mangiare abbondantemente e soffre di gastrite cronica. L'elettrocardiogramma non mostra segni di infarto in atto: il cuore è ingrandito e sono presenti anomalie da generica sofferenza cronica. Gli enzimi cardiaci (sostanze che compaiono nel sangue circa due ore dopo un infarto acuto) risultano nella norma. Il sig. R. A. viene comunque consigliato di fermarsi in ospedale per la notte, cosa che lui rifiuta drasticamente, allegando problemi familiari e personali. Gli viene allora suggerito di restare almeno in casa a riposo e di ripresentarsi nel caso che il dolore, al momento attenuato, si riaccentui. R. A. si ripresenta il mattino seguente per un nuovo controllo, in quanto il dolore è ricomparso durante la notte. L'ECG è tuttora poco significativo, e il sig. R. A. si rifiuta di perdere tempo in sala d'aspetto in attesa dell'esito degli enzimi cardiaci e se ne va a casa nonostante il parere dei medici. Due ore dopo, il responso: positivo per infarto acuto. Il sig. R. A. viene rintracciato telefonicamente e acconsente finalmente a ricoverarsi; muore nel pomeriggio per shock cardiogeno irreversibile. Il processo nasce da una denuncia della vedova; secondo questa (e secondo il Pubblico Ministero), i medici sono colpevoli come minimo di omissione in atti di ufficio, non avendo obbligato il sig. R. A. a ricoverarsi fin dalla sera del primo gennaio. In particolare la tesi del P.M. è che, se esiste una possibilità, ancorché minima e non dimostrabile con certezza, che un paziente possa avere un infarto, esso deve essere comunque trattenuto in ospedale; e questo indipendentemente dalla sua volontà, anche a costo di esagerare la gravità della diagnosi per spaventarlo, o perfino di somministrargli quasi a forza un sedativo. Tutto questo, è ovvio, per il suo bene. Situazioni del genere si fanno sempre più frequenti nella pratica medica, ed è invero conquista non negativa da parte del cittadino il diritto a capire se un determinato comportamento medico sia stato o meno corretto sul piano tecnico. Il fatto è che il cittadino (e il P.M. che rappresenta i cittadini e pensa come loro), sembra essere convinto delle seguenti cose: - La medicina è una scienza, e come tale si basa su dati obiettivi e su conoscenze precise e verificabili. - Obiettività e verificabilità sono rese possibili da un ampio armamentario tecnologico, più o meno sofisticato, cui è improbabile che sfuggano le informazioni chiave per la diagnosi. - Il quadro e il decorso clinico si ripetono, con poche varianti, in tutti i pazienti affetti dalla malattia; in altri termini, i malati si assomigliano tra loro assai più dei sani. - Il medico procede quindi, più o meno come un elaboratore, secondo algoritmi o protocolli standard generalmente accettati e praticamente invariabili, sulla base di sequenze logiche del tipo "se ... allora ...", che conducono invariabilmente alla corretta diagnosi. - Allorché gli esami più correnti non permettono di verificare l'ipotesi di partenza, essa va comunque mantenuta: i sintomi non hanno l'obbligo di essere "tipici". È quindi necessa.io passare ad atti più incisivi, iniziando da un ricovero "prudenziale" e seguitando con indagini sempre più complesse, che porteranno indubbiamente alla "verità". Verità che, se il medico è uno scienziato competente, non può che coincidere con la sua ipotesi diagnostica. Come si vede, un modo di ragionare che coniuga il vecchio meccanicismo (corpo umano come
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