Linea d'ombra - anno X - n. 68 - febbraio 1992

ascoltare la sua voce e stare a sentire le sue teorie, poiché ne aveva un sacco. La sua testa ne era piena fino ad esplodere. Dissertava su un argomento filosofico con la stessa facilità con cui avrebbe asciugato la bava dalla bocca di un lattante. Secondo il dottor Benjamin Spock ... secondo il filosofo tedesco come-diavolo-sichiama .. uhm ... Nietzsche? No. Secondo Mazrui ... Achebe ... secondo ... ! Se venivi dall'Africa, ecco che parafrasava SaintExupéry, gli intellettuali vengono tenuti di riserva sugli scaffali del Ministero della Propaganda, come vasi di marmellata da mangiare solo quando la carestia è finita. Q~el giorno, dimenticai il mio riserbo e feci un'osservazione impertinente: "Le donne come te non dovrebbero badare ai tegami e ai bambini ma ascoltare il modo in cui, nella loro mente, il vento cambia. Dovrebbero essere libere, generare pensieri e allevare quelli, invece dei figli". E lei buttò giù il ricevitore. Il giorno seguente la ri~amai e non facemmo parola di quanto era avvenuto. Ma dissi che avrei desiderato più d'ogni cosa al mondo passare alcuni giorni in totale isolamento con lei, giorni che col loro sole rendessero più luminoso il sorriso nei suoi occhi e notti che incupissero gli orli del suo mascara. Lei avrebbe portato nella nostra amicizia i suoi quaranta e passa anni e io i miei trenta di esperienza e di viaggi. Una settimana, una meravigliosa settimana. Un giorno, una settimana fa, arrivai da Roma. Da Heathrow le telefonai e le dissi qual era il mio programma, sarei rimasto a Londra per una settimana ed ero libero da qualsiasi impegno; aveva il tempo e la voglia di stare con me? Mi rispose che il tempo l'aveva, sì. Suo marito e i ragazzi erano andati a passare qualche giorno nel Galles. "Potremmo vederci, allora?", le domandai. E lei disse: "Ma certo". Avreste giurato che stesse morendo di fame, dal modo sgraziato in cui mangiava, respirando, ansimando tra un grosso boccone e l'altro. Avreste pensato che fosse pazza, udendo i versi che le sfuggivano quando faceva all'amore. Non mi lasciò neppure finire di mangiare, non era minimamente interessata a discorrere con me sulle idee che aveva immagazzinato in testa negli anni in cui ci eravamo parlati per telefono. E che baccano! Mi domandavo se i vicini sentissero e che cosa avrebbero detto. Era meccanica, metodica in un modo che in genere io associo alle hostess delle linee aeree, troppo sollecita e troppo confidenziale per i miei gusti. Facemmo l'amore due volte. Fingevo di goderne ogni istante. Fingevo anche di ignorare le domande che avevano cominciato ad affacciarsi sempre più insistenti. Preferivo tapparle come si fa con uno spiffero. Lei proponeva di andarci a sedere nella vasca, insaponarci la schiena a vicenda, fare "piedino" e cose del genere, e io dicevo a me stesso che non potevo spazzar via tanti anni di telefonate a causa del tradimento e del disinganno di una notte. Così continuavo a cambiare discorso, riconducendo la conversazione a quel che riuscivo a richiamare alla mente per un colloquio autentico. Avvolti negli asciugamani, sedevamo l'uno di fronte all'altra, formali come due cinesi. Per un poco, pensai che avesse ritrovato STORIE/FARAH la grazia che sempre, nella mia mente, avevo assodato a lei. Parlava della guerra. Disse, mi pare, che allora era adolescente. Raccontò d'essere stata presa da avversione per una certa marca di cioccolato che era la sola çlisponibile a quei tempi. lmprovvisamente si fece silenziosa, guardando nella mia direzione ma senza dire niente e alzandosi poi per lasciare la stanza, dicendo che sarebbe tornata di lì a un istante.' Quando tornò, sapeva di non so che profumo francese spruz- • zato come senza risparmio, come per vegliare un momento disas.troso. Sedette un po' lontana da me, taciturna e abbattuta come un gigolò incapace di provocare un orgasmo. Si ostinava a sorridere, apprensiva come un ladro sorpreso nell'attimo in cui ha deciso di restituire ciò che aveva rubato. Non dicemmo niente per un buon quarto d'ora. Poi: "Sono stata deludente, vero?", domandò. Silenzio. "Una vera puttana, una donna da quattro soldi". Non sapevo che cosa dire. No. Diciamo meglio: non sapevo come dire le cose e i pensieri che mi venivano alla mente. Pensavo che avrebbe distorto tutto, che mi avrebbe accusato di questo o di quell'altro. Ricordato quante volte una donna mi aveva detto: "Dovremmo conoscerci un po' meglio, non credi, prima di diventare amanti?". Cose che in genere sembrano senza senso quando vengono dette nella foga dell'accoppiamento, quando il sesso ribolle, quando uno direbbe qualsiasi bugia pur di arrivare alla \ierità, più di raggiungere e toccare l'origine dell'alterità che più di tutto sgomenta. "Una donna da quattro soldi", ripetè. Andai verso il punto dove sedeva fino a un attimo prima; ora con un ginocchio toccava il pavimento, mentre l'altro era imprigionato dal nodo che l'orlo del telo di spugna aveva formato da sé, arrotolandosi. Le tesi la mano ma lei evitò quel contatto fisico. Allora dissi: "Bisogna essere in due per fare l'amore". Mi ero aspettato che si voltasse per replicare: "Ma tu sei un uomo. Gli uomini non sono dei partner in amore. Sono il frutto di eruzioni e di febbri della fantasia femminile, sono ricoperti come una pelle di zebra dalle impronte del pollice con cui suggellano patti e bugie". Mi ero aspettato che rammentasse d'avermi detto così per telefono ed' averle io risposto che non capivo. Rimanemmo silenziosi per un lungo intervallo ma, quando l'aiutai ad alzarsi, i due asciugamani ci caddero di dosso come fossero stati pelli di serpente e ci prendemmo per le mani, ci baciammo, ci toccammo l'un l'altro. Io ero una fibra di muscolo e di desiderio ardente che si solleva, lei era calda, lanuginosa e umida. Ci baciammo, le bocche molli, gli occhi di lei bagnati di lacrime calde e le mie guance bagnate dal loro umidore. Mentre la trascinavo verso il letto, lei disse: 'Ti conosco appena". "Sciocchezze". "È così.. E nemmeno tu conosci me". "Ma no, ti sbagli". Ci amammo per un lungo, lungo tempo, sudando, cancellando 71

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