Linea d'ombra - anno X - n. 68 - febbraio 1992

IL CONTESTO Il peso della tradizione nella nuova Russia Marcello Flores Negli ultimi mesi i giornali hanno dedicato sempre più spazio agli avvenimenti dell'Urss/Csi, alla progressiva rovina dell'Unione e alla faticosa e contraddittoria nascita della Comunità. A questa massa di notizie non ha corrisposto, tuttavia, una maggiore ricchezza dell'informazione, che ha solo aggiunto alla tradizionale analisi cremlinologica una serie ripetitiva di istantanee di vita vissuta, quasi non ci fosse alternativa tra le dichiarazioni delle élites (oggi assai più numerose e contrastanti) e l'immagine immediata di miseria e rassegnazione della gente. A questa capacità conoscitiva estremamente ridotta rispetto alle energie coinvolte nell'opera di informazione (i maggiori quotidiani hanno due-tre corrispondenti che ripetono spesso le medesime notizie tratte dalle agenzie e dai giornali locali) si accompagna la tentazione continua di partecipare agli schieramenti contrapposti, ai conflitti e alle lotte in corso, nella presunzione che questo "prender parte" faccia capire di più o addirittura possa pesare sul corso stesso degli eventi. E' possibile guardare con altri occhi agli avvenimenti russi, privilegiando la comprensione - certamente difficile - dei processi in corso, in modo da sfuggire alla continua altalena di esaltazione e depressione che sembra accompagnarli? Bisognerebbe innanzitutto accettare l'idea che i territori dell'ex Unione Sovietica sono immersi in una "fasè". storica abbastanza lunga, oltre che tormentata, destinata a continuare chissà per quanto prima di stabilizzarsi in equi libri non precari, in cui non vi è consonanza immediata tra quanto accade alla superficie (gli avvenimenti di cui veniamo a conoscenza e tutti parlano) e quanto sta mutando in profondità, sia a livello delle strutture economiche e sociali che di quelle mentali e culturali. Di questa fase una cosa è certa: la lotta politica sta avvenendo ali' interno di un ceto omogeneo come cultura e tradizione, estremamente frammentato e diversificato come prospettive, obiettivi, capacità e preparazione. La nomenklatura comunista è il terreno esclusivo in cui sta avvenendo la formazione delle nuove élites dirigenti, anche se non si può sottovalutare la trasformazione avvenuta in gruppi e individui nei sei anni di perestrojka. Dirigenze locali, gruppi un _tempo in secondo piano, quadri intermedi o inferiori, tecnocrati, hanno lottato senza esclusione di colpi contro lo strato superiore della burocrazia da cui erano stati cooptati in posizione subordinata. Questa lotta politica è avvenuta in un crescente vuoto di potere e di delegittimazione dell'autorità, che ha raggiunto il culmine nella fase successiva al golpe di agosto e si è protratta fino agli accordi di Minsk tra le repubbliche slave. Dopo il golpe era inevitabile che venisse decretata la morte del Pcus, anche se ciò è parso curiosamente "antidemocratico" a chi si proclama ancora comunista ma vorrebbe non venir confuso con i crimini commessi in suo nome. La fine del Pcus, altrettanto inevitabilmente, non poteva che condurre alla fine dell'Urss che su quel partito fondava la sua legittimità e la sua forza. Più che un ostaggio nelle mani di Eltsin, Gorb.aciov lo era in quelle della 4 storia, e avrebbe potuto mantenersi al potere solo grazie all'appoggio dell'Armata Rossa, cioè con una strategia bonapartista da lui stesso sempre onestamente contrastata. Occorre dare di Gorbaciov un giudizio storico, sia pure solo abbozzato e necessariamente S'oggetto a ripensamenti, senza cadere, però, nella trappola dell'immagine da lui rappresentata in Occidente, anche se si tratta di un aspetto da tenere nella dovuta considerazione. Che si sia trattato di una figura di primo piano, tra le pochissime degne di venir ricordate nel XX secolo, è fuori luogo. Come lo è la "gratitudine" che tutti gli dovrebbero pet ayer innestato e accelerato un processo che non era inevitabile trovasse la strada della glasnost e della perestrojka, ci0è di una democratizzazione si&pure incompleta. Cosa ha portato Gorbaciov a frenare le riforme da lui stesso auspicate e a invischiarsi con un apparato da lui stesso sconfitto, abbandonando le forze democratiche ad una radicalizzazione in parte astratta e in parte demagogica ma sicuramente più consapevole delle profonde trasformazioni ormai avvenute nel corpo sociale e nelle stesse istituzioni? Gorbaciov aveva una cultura -comunista, convinto che solo una riforma dall'interno potesse avere successo. Lo sorreggeva, tuttavia, l'intelligenza di accorgersi che la realtà correva più delle intenzioni, ma non ha avuto il coraggio di affidarsi completamente ad essa. Il timore cfie il Pcus fosse ancora saldo al potere e pericoloso, da cui la mediazione "a destra" operata ali' inizio del 1991 mettendosi accanto i futuri golpisti e licenziando i suoi sostenitori, è stato l'effetto più disastroso di un distacco dalla realtà forse inevitabile. In sei anni Gorbaciov non è riuscito a imporre garanzie e diritti, ma solo a democratizzare i privilegi e ad allentare l'autoritarismo. Il suo merito più grande è stata la glasnost, che ha permesso il formarsi di un'opinione pubblica che ha costituito l'unico vero e grande argine al riflusso totalitario e ai sogni golpisti o neoautoritari di tanta gente. Incapace o impossibilitato a trovare in fretta una nuova legittimazione e nuove coordinate giuridiche e formali su cui attestare la nuova dialettica quasidemocratica, Gorbaciov è stato una sorta di giacobino conservatore e immobilista: rifiutandosi di usare "dinamicamente" i grandi poteri che ancora aveva, li ha usati solo come freno o per compromessi al ribasso nel timore che fossero più formali che reali. Sul piano istituzio,!lalepiù generale (l'impero e il rapporto con le repubbliche) Gorbaciov è stato miope: avesse concesso maggiori autonomia e indipendenza e accettato la strada della Confederazione non avrebbe innestato quella radicalizzazione nazionalista che è aumentata e açcelerata dopo ogni suo rifiuto. Il tempo, su questo terreno, ·è stato un elemento essenziale e sottovalutato, anche se c'era l'esempio jugoslavo a costituire per tutti un vivente e drammatico monito. Ponendosi come mediatore ha dimenticato che si media tra due posizioni reali; altrimenti la mediazione risulta un permanente compromesso di potere che poggia sempre più sul vuoto e trascina tutti con sè nella sua inevitabile caduta.

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