Linea d'ombra - anno X - n. 68 - febbraio 1992

I CANI BIANCHI Incontro con Alexandru Darie a cura di Gabriella Giannachi Londra, Cambridge, Sheffield e Oxford sono le poche e fortunate città ad aver ospitato il Sogno di una·notte di mezza estate del Teatrul de Comedie di Bucarest, acclamato dalla stampa britannica come la più interessante produzione del testo shakespeariano dopo la celebre versione di Peter Brook del 1970. La messa in scena del giovane regista Alexandru Darie, che ha anche curato la traduzione del testo in rumeno è certamente fra le più stimolanti, divertenti e interessanti rappresentate negli ultimi anni. L'originalità interpretativa, la ingegnosa varietà dei piani di lettura, lo spiccato carattere visuale dello spettacolo e la straordinaria bravura degli attori ne fanno uno spettacolo affascinante che sarebbe auspicabile poter vedere anche sulle scene italiane. Si è sempre detto che in Romania, come in altre nazioni dell'Europa dell'Est, il settore teatrale ha giocato un ruolo di opposizione fondamentale durante il periodo della dittatura comunista, ma poco si sa della censura cui siete stati sottoposti; ad esempio, gli spettacoli del Teatrul de Comedie venivano censurati? Sì, ma non soltanto gli spettacoli del Comedie. Tutto il settore teatrale è stato censurato molto duramente. Gli interventi più pesanti avvenivano a livello testuale, a prescindere dal fatto che si trattasse di Shakespeare, di Strindberg, di Cechov, o di un pezzo teatrale rumeno. Qualche anno fa, ad esempio, ero al Mie, un piccolo teatro di Bucarest, e stavo per mettere in scena Ilpellicano di Strindberg. Nel finale il fratello e la sorella si tolgono la vita dando fuoco alla casa. I membri del comitato di censura mi avevano detto che il testo andava bene perché si trattava di un classico che non aveva nulla a che fare con la Romania. Dopo due mesi, quando le prove erano già in uno stadio avanzato, lessero il testo e mi dissero che saremmo potuti andare in scena solamente a patto di cambiare il finale. In che-senso? Volevano uno happy ending. Dissero che il finale originale sarebbe stato troppo deprimente per il pubblico rumeno. Naturalmente risposi che non era possibile, che Il pellicano era un testo molto famoso, un classico, appunto, e che i due protagonisti non erano marito e moglie, ma fr<J,telioe sorella. Così mi fecero interrompere le prove e ci rispedirono tutti a casa. Lo spettacolo non andò mai in scena. · Ti è successo altre volte? Sì, due volte, e.in entrambi i casi•si trattava di testi rumeni. In un'altra occasione riuscii a ingannare il comitato di censura e far proseguire le prove. Stavamo mettendo in scena un pezzo di ·Tudor Popescu che si chiama Jolly Joker, un testo che pareva molto inoffensivo, ma che in realtà presentava l'opinione di alcuni ispettori governativi a proposito della situazione economica e della corruzione governativ~. Dopo un anno di repliche venimmo invitati a metterlo in scena a un festival teatrale in Romania. Nel corso dello spettacolo un funzionario statale molto influente improvvisamente lasciò la sala. Questo dovette far paura alla giuria che, a sua volta, abbandonò la sala. Poi se ne andò anche il presidente della giuria, e quindi buona parte del pubblico. Ci fu un grosso scandalo e le repliche vennero sospese. Dissero che dovevo venire espulso dal partito. • .. Una se::enadel Sognodi uno nottedi mezzo es/o/e in una fata di Gavin Evans Non sapevo fossi iscritto al partito. Infatti non lo ero e quando lo scoprirono scoppiò il pandemonio. Per un anno la stampa non poté più pubblicare articoli che mi riguardassero e uno dei giornalisti che parlò bene del mio spettacolo venne licenziato e non poté più scrivere su nessun giornale. Prima hai detto che i censori potevano venire "ingannati". Cosa intendevi dire? Durante l'anteprima venivano dalle cinque alle venti persone a vedere lo spettacolò. Poi ci si sedeva tutti a tavolino e quelli del comitato ci esponevano le loro critiche: una gonna era troppo corta, una determinata battuta doveva essere tagliata, un certo movimento era ritenuto osceno, la luce troppo bassa, troppo deprimente, e così via. Noi cercavamo di persuaderli che quello che avevano intuito non era necessariamente quello che intendevamo dire. Ad esempio, nello spettacolo c'era una scena con un membro del partito.L'attore che lo interpretava aveva un mantello di pelliccia lungo tre metri e stava in piedi su alcune panche di legno che lo facevano sembrare altissimo. Per terra avevamo steso un tappeto rosso. Durante l'interrogatorio mi chiesero a che cosa volessi alludere e naturalmente il riferimento a Ciaucescu era ovvio, ma io risposi che avevamo utilizzato un tappeto per attutire il rumore che l'attore faceva camminando sulle panche. Quando mi domandarono perché il tappeto era rosso chiesi se avessero preferito un altro colore e, poiché risposero affermativamente, lo tingemmo di marrone. Parte del tappeto era però di nylon, o qualcosa del genere, e non assorbì bene il colore. Così andammo in scena con un tappeto a chiazze rosse e marroni. Il pubblico capì subito che si trattava di un tappeto rosso e che la scena era stata censurata. Bisogna però dire che alcuni registi si 57

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