Linea d'ombra - anno X - n. 68 - febbraio 1992

SAGGI/MANIA Se il vero malato fosse andato in pensione, allora io sarei probabilmente "guarito". Ne/frattempo l'ammalato ero io, e il ritratto del buffone che mi fissava a ogni angolo di strada mi costringeva ad aumentare la dose delle medicine. E il nostro ridicolo clown nazionale, dobbiamo forse metterlo sullo stesso piano di questi clowns bianchi? Sì! "La bocca è segnata con un solo trattino duro, antipatico, scostante, freddo," in un viso la cui bruttezza giunge all'apice della mostruosità con le sue maccrue, le rughe e le maledizioni. È così! "ricordava l'autorità di certe monache direttrici di asili". Proprio così! "Come certi fascisti aitanti, con le sete nere luccicanti, le spalline dorate, il frustino". Sì! Con il suo "puntare sempre più in alto", in grottesche improvvisazioni da cortile o da discarica di rottami, senza stile né forma, in una sterile operosità febbrile à la buvalier o Idi Amin.. . Ho abusato di questo testo, ne ho tratto un piacere mio personale, segreto, ero incapace di leggerlo a mente fredda. In un regime totalitario ogni dettaglio quotidiano, ogni parola, ogni gesto acquistano un senso differente, nascosto, decifrabile solo da . chi vive all'interno delle catacombe. Agli osservatori esterni, abituati a. relazioni più o meno normali, il suo codice appare semplicemente allucinante. Il ridicolo! L'analfab~ta! Il parvenu! Il balbuziente! Lo scimpanzé! Il mostro! La sanguisuga! Il piscione! L'odioso! Un clown bianco? Immeritato onore ... Non ne è all'altezza, è troppo impreparato, troppo stupido. Eppure ancora meno lo vedrei nella categoria apparentemente più modesta, ma in realtà superiore, dell'augusto. Impensabile! . L'augusto me lo sentivd troppo vicino. Sono sempre stato affascinato da questo genere di artista, di disgraziato .. Il testo di Fellini non ha fatto che aumentare in me il piacere che, nello stato di tutti i divieti, la lettura inevitabilmente offre. Infinite volte negli ultimi anni ho riletto, quando ero laggiù, la grandiosa poesia di Montale Unpoeta. Il magistrale sarcasmo dei suoi versi talvolta, in mezzo allo sfascio crescente e all'imbarbarirsi della vita quotidiana, mi ha aiutato a sopportare l' onnipresenza del dittatore. La sapevo a memoria, la ripetevo con sadica ostinazione, nel meditato dosaggio del veleno che il poeta con tanta abilità e astùzià potenziava. "Poco filo mi resta, ma spero che avrò modo / di dedicare al prossimo tiranno / i miei poveri carmi" - così Montale inizia la sua confessione che attribuisce "a un poeta". E non vale solo per me, tutti sentivamo che ci restava "poco filo"; a tal punto ìl tiranno ci aveva fiaccato, a tal punto nel corso degli anni si era annidato nei nostri incubi giornalieri. E io sapevo che - anche se fossi riuscito a salvarmi - sarei stato segnato fino alla fine dei miei giorni dalle tossine di questo macabro periodo della mia vita. "Vorrà una lode spontanea / scaturita da un cuore riconoscente", ripetevo facendo una smorfia al pensiero del fantasma posseduto proprio da questo desiderio di una "lode spontanea" e riverito non soltanto da uno stuolo di poeti, ma anche da migliaia e migliaia di anonimi individui impauriti, cacciati a forza nella prigione del circo. "Potrò ugualmente/ lasciare orma durevole", mi consolavo al pensiero di tutti i miei predecessori e contemporanei famosi e meno famosi che si sentivano obbligati solo nei confronti della loro posterità. I versi finali però li sussurravo appena, perché soltanto così riuscivo a godere l'esaltazione con cui l'arte qui proclama la propria verità fondamentale e allo stesso tempo mette in parodia: "In poesia/ quello che conta non è il contenuto/ ma la Forma". Mi sentivo appagato e soddisfatto. Mi era già riuscito qualche altra volta di trovare la giusta forma che esprimesse la mia avversione per il tiranno. Anzi, di più: nella mia Biografia di un robot il "contenuto" aggressivo aveva preso a sua volta u_naforma · altamente rischiosa, laddove avevo indicato come data di nascita del sinistro protagonista il 26 gennaio - il giorno dei più solenni ·festeggiamenti per la celebrazione della nascita del tiranno. Con piacere e timore ho goduto dello sbigottimento dei miei amici p~r questa impertinente leggerezza. Nella speranza che. anche altri lettori notassero come per spontanea avversione avessi dimostrato che contenuto e forma in arte sono veramente una cosa sola. La guida della nazione? L'utopia, la condizione ideale? La caricatura di tutto questo è così orrenda che è meglio non menzionarla affatto. "Allora l'augusto, che subirebbe il fascino di queste perfezioni se non fossero ostentate con tanto rigore, si. rivolta". Ostentate, certo. Ma il rigore? :Piuttosto un senso di ridicolo e di terrore, ambiguità e farsa. E le "paiettes splendenti"? Una sciocchezza! Una copia, una insulsa imitazione, la più misera, volgare, pedante delle riproduzioni. "L'andatura con cui entra in scena ..." E che andatura! Più inefficace, provinciale, frustrato è il buffone, più minacciose diventano le sue andature, più smodato il suo essere ridìcolo e la sua crudeltà. "Meglio essere ~n uomo libero, anche in mezzo a tanti problemi, che essere il l;mffone di un deplorevole buffone", mi scrisse un amico proprio il giorno in cui il buffone festeggiava un'altra volta il compleanno. L'amico allegò alla lettera tutta una pila di giornali che celebravano l'avvenimento. Anno dopb anno venivano organizzati enormi festeggiamenti in suo onore, di una tale pomposità solenne e al tempo stesso provinciale che le stesse guardie dell'ordine ne ridevano quando, legati uno ali' altro, a migliaia, arginavano il ludibrio e la calca della folla. Per quanto mi riguardava quel funesto carnevale apparteneva già al passato, io mi trovavo già al di là del muro, ero riuscito a arrivare a Berlino ovest, una città che mi ricordava caricature più o meno simili, analogrn imbarbarimenti collettivi. Misi davanti a me la pila di giornali. La carta su cui erano stati stampati sembrava carta igienica, pronta a lacerarsi al primo cambio di pagina. L'inchiostro tipografico lasciava sulle dita tracce di unto rosse, verdi e nere. Mi bastò leggere un paio di frasi. Iclichés della carnevalata si susseguivano l'un l'altro in ripetizioni senza senso, sortendo un immediato effetto di noia mortale. Tutti quegli anni passati in sofferenza laggiù, nel regno della pàura e della mistificazione; tutte le nevrosi e gli incubi d'un tratto riattivavano in me l'antico, incancellabile veleno. Sempre in queste settimane di tormento e di incerta convalescenza mi è capitato tra le mani un libro disgustoso e utile al tempo stesso, che per la stampa scandalistica occidentale era stato un invito a nozze. Disgustoso per l'argomento (il nostro piccolo dittatore con difficoltà di pronuncia) e per 1'autore (un ex generale che aveva comandato la polizia segreta del dittatore e che adesso era entrato al servizio della "libertà" e di qualche nuovo padrone). Ma utile per le rivelazioni che un intimo conoscitore del clan di arrivisti faceva al pubblico: un gruppo di clowns da circo formato da uomini gretti, farabutti, cinici, che erano saliti al potere e che solo attraverso tale potere avevano potuto manifestare liberamen- ,11; I

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