L'APPRENDISTATO DEL CLOWN AUGUSTO Artisti e diHatori Norman Manea traduzione di Giusi Valent Al momento del mio arrivo in Occidente, qualche anno fa, il desiderio di descrivere che cosa fosse stata la mia vita sotto la dittatura in Romania - e ciò che più impor(a, che cosa avevo imparato dalle mie esperienze - urtava con la riluttanza ad aggiungersi ai resoconti disofferenze già classificate e commercializzate del repertorio della dissidenza dell'Est europeo. Per quanto fantasmagorico fosse il suo scenario, la società totalitaria dalla quale venivo non era, come il pubblico occidentale preferisce credere, un'aberrazione demoniaca o in un certo senso disumana, ma è invece una realtà umana che ancora sussiste e che potrebbe rispuntare sotto altre forme, sia come ideologia sia come un certo tipo di società. All'inizio del mio esilio desideravo discutere la relazione fra lo scrittore, il Potere, e le non troppo innocenti masse oppresse. E naturalmente anchè la relazione fra lo scrittore e la sua vulnerabilità .. In ogni sistema politico che usi la cultura come arma (onorando l'artista con privilegi o castighi eccessivi), lo scrittore continuamente deve fronteggiare delle trappole destinate a compromettere e gradualmente distruggere la sua integrità, e quindi la sua identità. Egli deve imparare a difendere se stesso, soprattutto dalle trappole mentali, da visioni semplicistiche, non solo ali' interno di sistemi totalitari, ma ovunque. Quelle che sembrano polarità elementari spesso risultano essere in effetti complementari. Com'è noto, molti antifascisti erano comunisti; e spesso gli avversari di un sistema totalitario (fascismo, comunismo, fondamentalismo religioso) sono, consciamente o no, difensori di un altro. Ma lo spirito della democrazia autenticamente liberale è non solo l'opposto del totalitarismo, che le è anche estraneo, ed èper sua stessa natura al di sopra delle polarità. Nel tentativo di tutta una vita di evitare questo genere di trappole, ho sviluppato un incrollabile scetticismo verso il kitsch politico e una costante sospettosità nei confronti delle sue etichette manipolatorie. Anche prima che la maschera comunista cadesse dalle stanche, sfigurate facce di milioni di prigionieri dell'Europa dell'Est, ora precipitati in un doloroso e prolungato processo di transizione verso la società civile, il mio scetticismo e la mia sospettosità non sono diminuiti. Eppure, su questo versante, una t 1;r • società auto-compiaciuta ha accolto il collasso dell'altro trionfalmente, evitando nel contempo di guardare attentamente se stessa. Essendo estraneo ad entrambi i sistemi, non hopotuto fare a meno di cogliere la doppia ironia. Nei miei primi anni d'esilio, nella complicatafasè di transizione da una sponda ali' altra, sono sorti molti problemi. Adattarsi a un nuovo mondo è un po' come gettarsi nel vuoto. Non c'è solo lo shock della lingua. Non sarà difficile immaginare come mai ci sia di solito una pausa prima che l'esule riprenda a scrivere, e perchè durante l'esilio il lavoro di scrittura proceda a singhiozza. Finora sono stato in grado di affrontare solo alcuni degli argomenti che mi_hanno preoccupato. In tutti i miei saggi - nel meglio e nel peggio soggetti a una dialettica di tipo giornalistico, retorico - c'è l'ossessione della relazione che intercorre tra lo scrittore e l'ideologia e la società totalitarie in un paese la cui tradizione politica non è mai stata ammirevole e in cui la dittatura degli ultimi decenni è stata una pittoresca mistura di brutalità efarsa, opportu,nismo e demagogia. Si può capire come il senso di colpa di coloro che permisero a se stessi di essere ingannati dalle utopie totalitarie, di destra o di sinistra, non fosse una felix culpa come pensava Mircea Eliade, e perchè le maschere allegre di quelli premiati per la loro quotidiana complicità con il Potere non abbiano provocato solo risate. Ma per molti, la vita in cattività ha significato resistenza, solidarietà, e tutta la sofferenza e la speranza che ne derivano. Le ferite tuttavia sono durature. Esse non hanno lasciato a questo convalescente che un moderato ottimismo, quale che sia il meridiano sul quale il suo futuro metterà nuove radici. Forse è per questo che il brio della vittoria e la gioia della liberazione non abbondano in queste pagine. Nel I945, allora un bambino di ritorno dal campo di concentramento, mi fu dato un libro di favole. Ricordo ancora questo primo dono, la sua spessa copertina verde; la magia di quell'incontro: la parola come miracolo. Solo più tardi, forse inevitabilmente, fui costretto a scoprire che la parola è anche un'arma contro o in difesa dell'umanità.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==