Linea d'ombra - anno X - n. 68 - febbraio 1992

INCONTRI/SANCHEZ FERLOSIO con la sua asimmetria tra paesi industrializzati e paesi fornitori di materie prime, ha come orizzonte necessario, anche se magari mille volte aggirabile; la guerra. Nessuno che viva beatamente immerso nella società dei consumi e nella sua cultura dell'ostentazione, fondate sul predetto sistema economico, può pertanto ritenersi non coinvolto. La benzina poi è una sorta di ·supremo simbolo della· cultura consumistica e il petrolio un autentico veleno mondiale, non solo sul piano corporeo (poiché intossica aria e acqua), ma anche su quello spirituale, poiché trasforma l'automobilista in una bestia e la pubblica via in un campo di battaglia di tutti contro tutti, rendendo invivibili le città e stregando come un poderoso filtro afrodisiaco l'anima del consumatore, tanto che la sua lussuria si rivolge all'automobile come massimo oggetto del desiderio. Di fatto,. qualunque variazione nel costo del petrolio o nel settore automobilistico tocca fatalmente ogni strato sociale, anche le classi meno favorite, che la crescente insufficienza dei trasporti pubblici e la sistematica riduzione delle reti ferroviarie condannano al veicolo privato. Certi oppositori blandi e occasionali dell'invio di truppe durante la guerra in Iraq esprimevano soltanto il privatismo e la miseria di ogni coscienza pubblica incoato e voluto dal liberalismo economico, l'economia di mercato e la società dei consumi. O uno si ribella contro la mortifera motocicletta e la cultura del petrolio, l'economia di mercato e la società dei consumi o non ha il diritto di dire come un miserabile idiota: "E io che c'entro? Che ci rimetto io in Iraq?" Imbecille! Ci rimetti il 10% di quello stesso liquido che versi quotidianamente nella motocicletta per fare il bullo o lo stronzo in giro, oltre ad ammazzare persone, e fracassare un giorno o l'altro la tua propria testa. Quanti stimano bello e buono lo stile di vita in cui si "autorealizzano" e di cui si compiacciono, non possono non ritenere sacro~anta la causa che propone di andare a difendere la beniina contro un infame tiranno babilonese. Allo stesso modo, no'nvedo perché quelli che accettano, sulla base del tristemente noto slogan del "tributo che bisogna pagare per il-progresso", le infinite migliaia di morti annualmente causate dal traffico, dovrebbero rifiutarsi di inserire in tale contabilità anche le vite messe in pericolo per far rombare i motori. Tu conduci da qualche anno una campagna personale contro le celebrazioni del V Centenario della scoperta dell'America. Vuoi esporcene in sintesi i contenuti? A mio avviso, la Disneyland sivigliana del 1992 nasce dall'invidia storica degli spagnoli, che si sentono defraudati perché non gli viene riconosciuto un Impero come a Roma o alla Gran Bretagna. Ma inglesi e romani si scelsero bene il pubblico, cosicché le incommensurabili infamie che furono i loro imperi continuano ad essere applaudite come spettacoli grandiosi. Gli spagnoli invece, che pure si sforzarono di uccidere e tormentare quanto e più degli altri, non hanno avuto simili onori. Persino in casa loro la rappresentazione fu sonoramente fischiata. L'inedita realtà del nuovo mondo li colse del tutto sprovveduti intellettualmente e soprattutto moralmente. Agli indios fu riservato lo stesso trattamento sperimentato dai Re Cattolici con ebrei e moriscos, cacciati proprio all'epoca della scoperta, che coincise, com'è noto, con l'unificazione della Spagna sotto lo scettro castigliano. E l'unica fonte di umanità e di coscienza capace di fronteggiare la novità con un minimo di responsabilità e rispetto fu, paradossalmente, non già lo strombazzato spirito rinascimentale, bensì la tradizione medievale della tarda scolastica, che si rifaceva alla dottrina di S. Tommaso d'Aquino sul diritto naturale. Uomini come Francisco de Vitoria o Melchor Cano seppero percepire la diversità degli indios e compresero che l'incontro tra distanti, senza un previo, lento e disponibile avvicinamento, ha sempre la brutalità dello scontro, che trasforma la diversità in cieca e impenetrabile alterità. Ma una simile alterità è fondamento d'antagonismo e propone automaticamente una gerarchia, in cui domina chi vince con le armi. Le Leggi ·diBurgos del 1512, più che leggi sembrano denunce d'uno stato di cose molto esplicit0, per esempio quando proibiscono letteralmente di chiamare "cani" gli indios e prenderli a bastonate. Varrebbe dunque semmai la pena di recuperare la nobile eredità della leyenda negra, incluso il poco simpatico Las Casas. Invece allo stesso Santo Padre Giovanni Paolo II venne da dire che conquista e colonizzazione sono s'tati un trionfo del cristianesimo, e lo disse proprio nelle Antille, i cui originari abitanti tainos erano totalmente estinti già cinquant'anni dopo la scoperta, uccisi dalle spade dei conquistadores, dai germi delle malattie che questi avevano portato con sé o dallo sradicamen_to e dalla schiavitù. La cristianizzazione delle Antille si ridusse a metter croci sulle fosse comuni di un intero popolo, scomparso a causa deWavvento dei cristiani. Ma l'anniversario nonpuò essere un 'occasione per riflettere anche su questi temi? Ogni commemorazione è per sua natura apologetica e non può essere neutrale né tanto meno critica. Una volta accettata l'opzione estetica dellag randezza, si spalancano le porte alle giustificazioni menendezpidaliane e alla peggior letteratura orteghiano-falangista. E infine, questa sorta di rendimento di grazie alla Storia Uni versale per l'imperiale regaJo del Nuovo Mondo mi sembra una beffa oscena e offensiva nei confronti di coloro che non hanno motivo di esserle grati: i popoli dell'America Latina nella cui terribile realtà quotidiana ancora agiscono i veleni messi in circolo dai · colonizzatori. Sarebbe dignitoso smettere almeno di celebrare i compleanni di una storia tanto tragica. Hai appena indirizzato una frecciata alla posizione di ]osé Ortega y Gasset- unfilosofo che da noi gode di una inspiegabile stima anche in ambienti non certo conservatori - e alla sua posizione difronte alla conquista del Nuovo Mondo... Ma Ortega y Gasset è un esaltatore dell'Impero Spagnolo! Non si pone nemmeno il problema di giustificarne, come tentano di fare altri apologeti_,gli orrori indescrivibili. La sua concezione estetica della storia come impulso di dominazione vede nell'impero l'alto destino della nazione e l'esuberante manifestarsi della sua vitalità. Diciamo chiaramente che da un punto di vista ideologico Ortega è un preconizzatore della falange, la sua filosofia della ragione vitale si risolve in ammirazione della potenza storica, della ''potenza di nazionalizzazione" (così la chiama) con cui la Castiglia ottiene all'epoca di Fernando e Isabella l'unità della Spagna, un'unità tesa a sua volta a "lanciare l'energia spagnola ai

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