Linea d'ombra - anno X - n. 68 - febbraio 1992

STORIE/VllQUEZ MONTALBAN Uscì Betriu, sènza parrucca-, né giacca né cravatta, le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti. Si avvicinò a una delle scansie colme di bottiglie, e ne accarezzò i culi impolverati. rinnovabile. Le luci frammentavano i corpi. Travestivano le pelli da stoffe e le stoffe da pelli. Distruggevano la simmetria dei volti · e trasformavano la natura umana in un qùadro dipinto da un Gris o da un Braque completamente ubriachi. E tuttavia, quelle strane creature erano contente del loro destino e riuscivano persino a parlare in gara con il suono, riuscivano a riconoscersi e ad amarsi non solo negli angoli, ma anche in piedi, le lingue imprigionate dalle bocche: altrui come fossero appigli che ne impedissero la caduta al suolo e garantissero la scomposta verticalità dei danzatori. Verticale, con una rigidità da mummia, Betriu aveva già un bicchiere in una mano e seguiva con l'altra un ritmo che non riusciva a sentire, come un animale nervoso. Di tanto in tanto la luce lo descriveva sotto il parrucchino grigio, impeccabile, da manager che si fa servire da un barbiere rinomato. Cravatta. Fermacravatta. Una rigidità dei polsini della camicia ottenibile soltanto con il concorso di gemelli arricchiti di oro e forse di qualche brillante. O acqueniarine? Era talmente rapito dallo spettacolo, che abbandonammo la prudenza iniziale per avvicinarci. Ci ·collocammo alle sue spalle, io con un gin tonic nel bicchiere, Sitjar con un San Francisco analcolico. Betriu braccava con lo sguardo ì giovani corpi. Irsuo capo assecondava i movimènti altrui. D'improvviso si bloccava. Aveva scovato qu<!lcheragazza solitaria cui si avvicinava senza dir nulla per insinuarle la sua presenza: impotente, il suo linguaggio, dinanzi alla potenza del linguaggio elettronico. Sembrava accontentarsi dèlla vicinanza di corpi femminili. Si faceva avanti con pretesti mirati che non venivano raccolti, che venivano accettati con ironia. - Chi è quello? Urlai a un cameriere per vincere ·1amusica. - E io che ne so? Con tutta la gente che c'è. · - Viene spesso? - Qualche volta. Come tutti. Betriu avevq appoggiato i gomiti al bancone accanto a una donna camuffata da ragazza matura, i seni a punta, vittime di un qualche magico intervento. Betriu le proponeva un bicchiere e lei diceva di no. Chinarono entrambi la testa sino a sfiorarsi le fronti. Cercavano di udirsi a vicenda. Le~l'allontanò per ridere e lui acquistò il coraggio necessario per protendere il corpo e praticamente appiccicarlo alla finta bionda. Lei indietreggiò di un passo e indicò qualcuno tra la folla. Betriu seguì il suo braccio come cercando di mettere a fuoco l'obiettivo. Adesso lei sembrava indignata, ma Betriu continuava a sorridere. Le fece cenno di uscire con il capo e lei gli diede le spalle per andarsene senza esitazione. Betriu rimase come nudo, e sospettando che il èameriere avesse assistito alla scena, alzò le spalle, sprezzante, supplicando con sorriso complice la complicità del cameriere, ordinandogli un altro bicchiere perché fosse ancora più complice. Poi cercò la vicinanza di due adolescenti insufficientemente accompagnate e si ripeté la stessa solfa di sguardi, parole, risate, sorrisi, seccature e fughe. La notte aumentava dentro e fuor:idal locale. Vi furono i primi e i secondi abbandoni. Si arrivò alla sproporzione fra l'immensità del suono e il piccolo numero dei danzatori. Sitjar si pigiava le tempie e mi faceva segno di andarcene. - Lo aspettiamo fuori. - Ancora un momento. Betriu sembrava stanco. Andava in cerca di corpi con il proprio, ora meno teso, o meglio fiaccato, e infine uscì per collocarsi nella traiettoria obbligata di coloro che abbandonavano il locale. Indi-' rizzò proposte a ragazze non accompagnate, e le ripeté ancora dall'auto, sporgendosi con metà del corpo fuori dal finestrino, offrendosi come accompagnatore di donne che avevano già chi le accompagnasse. Mise in marcia quando era ormai evidente che quella ncinera la sua serata, e prese la strada del ritorno con una lentezza da insonnia finché, arrivato a casa, infilò la via secondaria per parcheggiare l'auto vicino al muro di cinta del convento. Aprì la porta dello scantinato e vi si infilò senza chiuderla. - E se ci scova?. - Fai lo sbronzo e gli dici che passavamo di qui. - È un razionalista e non se la berrà. Non gli diedi tempo di esitare. Spinsi la porta con cautela. La lampadina era accesa, la cantina deserta, ma dal ripostigliocamerino usciva un fascio di luce. Sitjar e io ci nascondemmo dietro la scansia dalle bottiglie inclinate che sembravano puntare tutte verso il centro della stanza, verso il cerchio di luce che illuminava lo scenario costituito da poltrona, tavolino, bicchiere e posacenere, in attesa dell'attore principale. Uscì Betriu, senza parrucca, né giacca né cravatta, le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti. Si avvicinò a una delle scansie colme di bottiglie e ne accarezzò i culi impolverati. - Eccovi qui, piccole, salvate dal rogo di Alessandria. Piene di verità che non fanno male a nessuno. Prese una bottiglia di vino à caso e la stappò ricorrendo a un cavatappi inchiodato .alloscaffale. Versò del vino nel bicchiere, ve lo fece girare e lo buttò via. Annusò il bicchiere. Lo riempì fino all'orlo e bevve d'un sorso. Aprì il libro che stava sul tavolino, Historia de la Teoria Politica di Georgé Sabine (pubblicato dal Fondo de Cultura Economica, México, Madrid, Buenos Aires, 1974). Inclinò lentamente la bottiglia sul libro. Dovetti frenare la reazione istintiva di Sitjar che voleva impedire la caduta del vino sul libro aperto, fino a inzupparlo e tramutarlo in uno sbronzo di carta. · -Bevi, coglione, bevi. Bevi e vivi, dicevaBetriu ad alta voce. Posò la bottiglia sul tavolo, prese il libro, cominciò strappare le pagine con flemma, prima, poi freneticamente, ansimando, insultandolo. - Vivi, coglione, vivi! Quando la distruzione fu completata prese a calci i resti che stavano in terra. Si lasciò cadere nella poltrona con tutto il peso del suo culo e l'ira del suo vino, al punto che la poltrona alzò i piedini anteriori e stette per ribaltarlo. Rimase lì pensieroso, mormorando cose che soltanto lui udiva. Poi si alzò con una ·goffaggine pachidermica, salì le scale con ginocchia cedevoli, facendo forza col braccio destro sul mancorrente. Io ne avevo abbastanza, ma Sitjar lo seguì senza che io cercassi di trattenerlo. Uscii in strada a fumare una sigatetta e a riconciliarmi con la logica dell'alba mirando )'ocra corroso del mµro conventuale. Non c'era più la luna e il sole spingeva la nottè da una lontananza ancora eccessiva. Sitjar uscì con la faccia divisa fra la stanchezza e un'intima alterazione. · -Dorme? - No. Si sta masturbando nel cesso. Copyright Manuel Vasquez Montalban 1980, 1992. 39

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