Linea d'ombra - anno X - n. 68 - febbraio 1992

CONFRONTI rimetterveli dentro. Uno di questi personaggi interpretava un "doppio" di Kantor stesso (vestito come lui, imitava i suoi movimenti), come se il pittore fosse alle prese con il suo autoritratto. Ora, nella versione che si è vista, Kantor era naturalmente scomparso, rimpiazzato da una sedia vuota. E così si era snaturata l'essenza stessa della scena; spariva il gioco tra realtà e illusione, ii dialogo diventava un monologo e il "doppio" invece di confrontarsi con il suo creatore gli si sostituiva. - La tonalità stessa della scena veniva modificata: l'insieme iniziale, almeno da quello che ne avevano potuto giudicare gli spettatori presenti alle ultime prove dirette da Kantor, aveva un tono apertamente comico; in questa versione postuma, I' l;lssenza di Kantor (rimpiazzato, nelle prime rappresentazioni, dalla sua voce registrata, poi, dopo qualche settimana, definitivamente cancellato, anche sotto questa forma) dava inevitabilmente a queste scene un rilievo tragico, straziante, del tutto opposto alle intenzioni iniziali. - Certe scene sono state sostanzialmente modificate dopo la morte di Kantor: ad esempio, l'episodio in cui era presente il personaggio di Meyerhold è stato interamente rivisto e corretto dal critico Denis Bablet, che ha pensato bene di attribuirgli una tonalità "eroica" e di trasformare Meyerhold in una specie di "eroe positivo" - agli antipodi, chiaramente, di tutta l'estetica di Kantor, dove "l'eroismo" non aveva mai avuto diritto di cittadinanza, e che implicava un'ambiguità dichiarata verso ogni personaggio e ogni situazione (niente che non fosse contemporaneamente "tragico" e "grottesco"). 2 -Mentre esisteva, in ogni spettacolo realizzato quando Kantor era vivo, un certo coefficiente d'indecenza, di oscenità, ecco che queste caratteristiche sono sparite dallo spettacolo postumo, anche se molte scene (specialmente quelle in cui apre l'Infanta di Velasquez) lo permettevano certo. -Più grave ancora: è accaduto che certi ruoli attribuiti inizialmente da Kantor siano stati cambiati (e così Maria Kantor si è permessa di "interpretare il ruolo" di Maria Krasicka, che, fisicamente, le assomiglia come un cespuglio di biancospino ricorda un ferro da stiro) come se non si trattasse, in definitiva, che di un dettaglio trascurabile. -Per finire, l'utilizzo del tempo, in questa versione postuma, sembra sottoposto a un totale arbitrio, sia per la sua durata (certe sequenze cambiano lunghezza a secondo delle rappresentazioni) sia per il suo ritmo (un'alternanza di momenti accelerati e di pause che non ricorda per niente la scansione così caratteristica degli spettacoli anteriori). Niente di tutto questo, comunque, sarebbe stato uno scandalo se si avesse avuto l'onestà di presentare Oggi è il mio compleanno come "uno spettacolo degli attori del Teatro Cricot realizzato a partire da materiali incompiuti lasciati da Kantor". Ma dal momento che questo spettacolo viene chiamato "l'ultimo testo di Kantor" tutto ciò diventa, bisogna dirlo, una vera falsificazione. Fermate il massacro Per quanto riguarda gli altri testi di Kantor (La classe morta, Wielopole Wielopole) che il Teatro Cricot ha pensato bene di presentare anche dopo la sua morte, possiamo parlare, ahinoi, dello stesso tipo di tradimento e di stravolgimento che si ripete. - Gli attori, senza il controllo rigoroso di Kantor, hanno finito, poco a poco, per gigioneggiare, per "espandersi", finendo per distruggere il ritmo e la coesione dell'insieme e così dilatare vergognosamente la durata dello spettacolo (La classe morta nelle sue ultime rappresentazioni pubbliche durava tranquillamentè un quarto d'ora in più di quando Kantorera vivo)-come se questo non avesse la sua importanza. -La cosa forse più disturbante: è scomparso l'attore Kantor, ed è stato sostituito dall'attore che avrebbe dovuto interpretare il suo doppio in Oggi è il mio compleanno, e che si sforza bene o male di scimmiottarlo - come se fosse la stessa cosa. E noi non sappiamo deciderci tra l'indignazione (perché c'è qualcosa di letteralmente indecente nell'immaginare che un 'travestito' possa sostituirsi a Kantor, soprattutto in scene così "sacrali" come quelle con cui si conclude Wielopole Wielopole) o il riso (davanti alla scemenza di una tale idea). Insomma, ogni nuova rappresentazione di un "testo" di Kantor (o presunto tale) si allontana sempre di più da quello che era il valore della sua arte quando era lui stesso che la controllava; e tutto questo testimonia soprattutto la totale incomprensione degli aspetti essenziali della sua estetica, come li ho esposti all'inizio dell'articolo. Ho aspettato a lungo prima di intervenire su questo argomento. Perché capisco bene quali siano i motivi (umani, troppo umani) che hanno spinto gli attori di Kantor a non volersi rassegnare al fatto che il suo teatro potesse morire insieme a lui. Se l'ho fatto, nonostante tutto, è perché ho pensato a quei giovani spettatori che non hanno mai visto gli spettacoli di Kantor quando lui era vivo, e che possono essere fuorviati da questa falsificazione, così da non saper più distinguere la copia contraffatta dall' originale. Tutti troverebbero scandaloso che si definisse "un autentico Picasso" un quadro modificato dai suoi eredi. Perché non si · dovrebbe ragionare allo stesso modo anche per il teatro? Perché la questione di fondo sollevata da questo articolo, al di là del caso specifico che ho trattato, è proprio quello dello statuto della messa in scena in quanto arte. Sappiamo che Ernest Hemingway faceva una distinzione radicale tra le arti che, come quella del torero, spariscono con l'artista, e quelle, come la pittura o la letteratura, che sopravvivono ali' artista. La regia, secondo questa divisione, appartiene alla prima categoria (almeno in Occidente, dove non esiste, a differenza del Giappone, un codice codificato di "trasmissione")- e a maggior ragione nel caso di Kantor, così profondamente "soggettivo'?, da implicare un dominio senza limiti del "creatore" sulle sue "creature". Certo, tutto il paradosso di questa arte consiste nell'attribuire alla regia teatrale (questa pratica precaria, effimera, che non si conserva se non nella .memoria) una vigilanza così rigorosa, come se si trattasse di un'arte senza tempo, pronta per l'eternità. Ma è proprio perché questa vigilanza era eccezionale, e perché lì si rivelava.il genio di Kantor, che nessuno ha il diritto, moralmente, di esercitarla al suo ·posto - e ancor meno di svenderla. Altrimenti detto: non può esistere un "teatro di Kantor" senza Kantor - e ogni pretesa di sosÌenere l'inverso assomiglia a una pura e semplice menzogna. \ NoteI) Di questa intervista restano due tracce: una cassetta video intitolata Una conversazione e archiviata alla Cricoteca di Cracovia; e una scelta di dichiarazioni nel numero "spécial théatre" della rivista Art press (autunno 1989) 2) Basta pensare, ad esempio, al modo, abbastanza burlesco, con cui Kantor ha messo in scena la figura di suo padre, che pure era morto in un campo di concentramento, riello spettacolo Wielopole Wielopole: niente di più lontano dall'arte di Kantor che l'idea del "tragico puro" o del "patetico puro", o la nozione di "personaggio positivo".

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