CONFRONTI to da un incendio; Pekisch viene ucciso dalla musica che gli esplode in testa, mentre il suo giovane discepolo, il trovatello Pehnt, si sistema sposando la figlia del più ricco assicuratore della capitale (ed è anche quello un modo, forse il più triste, di morire). Come e più della Tentazione di Girolamo (e. diversamente dall'unitario dramma delpoeta-lupo di Recanati) Castelli di rabbia pullula di storie. Alcune vengono narrate per esteso; altre riassunte, a volte in poche righe; altre ancora sbozzate appena e lasciate nell'ombra, quasi a documentare l'insondabilità del destino o l'infinità del narrabile (si veda la vicenda di Jun Rail, bella d'una sensualità struggente e soavissima che tuttavià non basta a evitarle l'oltraggio del tradimento, nè un fatale quanto misterioso esilio). Ciò che ne emerge è un'organica e complessa intuizione del mondo, oscillante tra pessimismo della ragione e ottimismo della fantasia: uno stato d'animo nel quale si dibattono es' intrecciano un euforico slancio costruttivo, un palpitante desiderio di felicità, un innato bisogno di sicurezza, un amaro senso di sconfitta, un rifiuto tenace a rassegnarvisi. Il sogno di libertà di Baricco risulta più inquietante dell'incubo carcerario di Cavazzoni, perché un valore negato o una bellezza ferita colpiscono meno di un disvalore conclamato o d'una lussureggiante bruttura. Ma naturalmente è sul piano del linguaggio che l'invenzione è chiamata a inverarsi. E qui occorre rilevare, nella ricca partitura stilistica di Castelli di rabbia, la grande varietà di procedimenti attivati da quello che è il suo etimo psicologico, il suo paradigma d'esperienza. Un certo uso dei traslati, ad esempio, specie nella raffigurazione di stati mentali: "La bocca di Jun Rail non ti lasciava in pace. Ti trapanava la fantasia, semplicemente. Ti impiastricciava i pensieri"; o certe anafore fortemente conative, che invitano il lettore a cogliere la singolarità di un'intonazione o di un ge_sto"Lo disse con dolcezza. Poteva dirlo con malvagità infinita e invece lo disse con dolcezza. Bisognava immaginarselo detto con dolcezza"; o certo periodare spezzato, nervoso, quasi trepidante, in procinto di dilagare in rapite, fluviali effusioni: donde talvolta scaturiscono delle specie di volute sintattiche, descriventi slanci interrotti verso idee di inattingibile o insopportabile infinità. Così ad esempio il brano che ricollega al filo principale del racconto la digressione sullo shock collettivo provocato dall'invenzione del treno: "Tutto questo successe, un giorno. È non fu una cosa da nulla ma una cosa immensa - immensa - tanto che è difficile pensarla tutta insieme, in una volta, con tutto quello che aveva dentro, tutta la ridda di conseguenze che le crepitavano dentro, un universo di minuzie gigantesche, difficile, certo, eppure se solo si fosse capaci a pensarla, quella cosa immensa, a sentire il suono che fece esplodendo nella mente di quellà gente, in quel momento, se solo si fosse capaci a immaginarla per un istante allora forsè si potrebbe arrivare a capire com'è che quella sera, quando il campanile di Quinnipak si mise a suonare la mezzanotte e Jun si chinò sul volto del signor Rail e gli chiese 'Allora, cos'hai comprato questa volta, matto di un signor Rail?', il signor Rail la strinse forte e pensando che mai avrebbe smesso di desiderarla, le sussurrò: 'Una locomotiva"'. Alcune pagine di Castelli di rabbia sono degli autentici pezzi di bravura. L'inizio, ad esempio, spumeggiante e luminoso quant'altri mai, che introduce col solo dialogo otto personaggi diversi: omaggio forse dell'autore musicologo a un suo melodrammatico nume, Rossini, Mozart. O la sorridente, dolente litania che passa in rassegna i ventiquattro suonatori di Quinnipak anticipandone la fine (e così facendone altrettanti emblemi di una fragilità creaturale che esalta ad un tempo l'imperscrutabilità del destino): ."... e Gasse, che suona una specie di xilofono, e morirà per regio decreto, con una divisa addosso e una lettera in tasca, e Loth, che suona una specie di violino, e morirà in silenzio; senza sapere perché, e Karman, che suona una specie di tromba, e morirà per un pugno troppo forte di 'Bill, 1 bestia di Chicago', trecento dollari a chi rimarrà in piedi per tre riprese, e Waxell, che suona una specie di cornamusa, e morirà stupefatto con negli occhi l'immagine di suo figlio che abbassa la canna fumante del fucile, senza fare una piega, e Mudd, che suona una specie di tam-tam, e morirà felice, senza più paure né desideri, e Cook, che suona una specie di clarino, e morirà nello stesso giorno del !{e, ma s'enza finire sui giornali", e così via. Avolte, è vero, Baricco cede al demone del virtuosismo, spingendo la sua verve funamobolica ai limiti della leziosaggine. Ma nell'insieme il suo libro è una limpida dimostrazione di talento, che lascia alla memoria del lettore l'immagine di personaggi, situazioni, sentimenti, nomi (Quinnipak: uno squillo e uno schiocco, un tinnìo_ ed uno tonfo). E, più di tutto, un'atmosfera: un misto di brio e di sgomento, di precarietà e di gioia di vivere, variamente intonato (a seconda dei casi) in chiave comica, giocosa, patetica o elegiaca. Un accapigliarsi di rabbia e di grazia, di spensieratezza e di ribellione, che mantiene sempre ben viva la polarità fra iriunaginazione e senso del reale. ' È oltremodo istruttiva, a questo proposito, la diversa maniera nella quale i tre libri di cui abbiamo parlato parlano di libri. /o venia pien d'angoscia a rimirarti è già dal titolo tutto incluso entro un orizzonte librario, anzi (ahimè) libresco, che costringe artatamente un'ispirazione _originale entro i limiti del pastiche. Nella Tentazione di Girolamo, metafora del mondo come biblioteca, il libro nasce come obiettivo (il desiderio di leggere del protagonista) per poi subire una sorta di degenerazione corporale (il libro come agglomerato di materiali, ricettacolo di parassiti, sostanza in decomposizione); ma al di là di ovvie remin,escenze letterarie (Calvino, Eco, Borges), anche qui il rapporto fra mondo delle cose e mondo delle parole tende a una perversa mescolanza, sia pur consapevole e satireggiata. In Castelli di rabbia - romanzo prevalentemente en plein air, dove anche gli interni s'indovinano per lo più con le finestre aperte, o almeno con Ie tende tirate - le sporadiche apparizioni di libri (come, per altro verso, le svariate epifanie del vetro) si collegano tutte in qualche maniera alr esigenza di proteggersi, di evadere con l'immaginazione da un invivibile presente. In primo luogo vi sono i libri che si leggono in treno, per sfuggire alla vertiginosa, rapinosa fuga d'immagini del mondo reale di là dal finestrino: intimidito rituale apotropaico, piccola ipocrisia borghese. Poi c'è il Manuale del perfetto assicuratore di Pehnt (reincarnazione precocemente canuta di un infantile manualetto di massime) che lo sdegnato Pekisch rinvia intonso al mittente: economicistica codificazione dell'imprevisto, sfruttamento ascopo di lucro del!' ansietà propria ed altrui. Infine c'è il volume che Jun Rail legge a un'anziana signora cieca, chissà dove, oltre il mare, ricordando Quinnipak: nel quale Quinnipak si trasfigura in un'interiore sorgente di refrigerio fantastico che serve a non soccombere alla tristezza o alla viltà delle cose. "Me l'ha insegnata Tool questa cosa. Andare a Quinnipak, dormire a Quinnipak, fuggire à Quinnipak. Ogni tanto gli chiedevo 'Dove sei stato, che tutti ti cercavano?' E lui diceva 'Ho fatto un salto a Quinnipak'. È una specie di gioco. Serve quando hai lo schifo addosso, che proprio non c'è verso di togliertelo. Allora ti rannicchi da qualche parte, chiudi gli occhi, e inizi a inventarti delle storie. Quel che ti viene. Ma lo devi fare bene. · Con tutti i particolari. E quello che la gente dice, e i colori, e i suoni. Tutto. E lo schifo a poco a poco se ne va. Poi torna, ovvio, ma intanto, per un po', l'hai fregato". È anche con·queste diverse e alternative strategie di letturacon questi distinti modi di difendersi dal]' esistente mobilitando le facoltà (mistificatrici, compensatrici, elusive, terapeutiche) dell'immaginario - che i lettori sono.chiamati a misurarsi.
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