CONFRONTI I Nemmeno La tentazione di Girolamo di Ermanno Cavazzoni (Bollati Boringhieri 1991) è un romanzo, ma nel campo della letteratura entra a pieno diritto. Questa, per sommi capi, la storia. Il protagonista-narratore, che soffre d'insonnia e di mal di denti, viene colto dall'incubo di dover ripetere l'esame di mat1:1ritàil giorno successivo. Angosciato, si reca, o meglio si ritrova io una biblioteca sotterranea, aperta solo di notte. Ma più che un luogo di studi, la biblioteca si rivela una lercia catacomba, popolata di figure grottesche, ridicole o patetiche, che due sadici commessi s'ingegnano in ogni modo di tormentare. Mancando un intreccio vero e proprio, il racconto procede segmentandosì su piani distinti: il vano affannarsi del protagonista alla ricerca di un peraltro mal identificato libro, stralci dei volumi che gli capitano via via per le mani, storie raccontate dai vari personaggi che incontra aggirandosi per quel losco ipogeo. Ovunque circola un'atmosfera di bizzarria allucinata, che non di rado conosce momenti di pura ilarità (fra i più gustosi una satira del pensiero debole, in cui trapelano i professionali interessi filosofici dell'autore). A prevalere è però un'impressione di inarrestabile e ripugnante sfacefo, emblematica- ·mente figurato dal disordine della biblioteca e dal degrado materiale dei libri. Il fenomeno viene spiegato in vari modi: come il risultato di una sorta di assedio della carta stampata ad opera delle secrezioni organiche dei lettori (saliva, muco, peli, capelli, catarro, cerume, forfora); come il frutto di un boicottaggio architettato da un dipendente ribelle, che ·cancella le collocazioni, scambia le copertine, incolla le pagine, le cosparge di polverine pruriginose e gelatine puzzolenti, e per di più dissemina ovunque i resti di pasti pantagruelici; come la conseguenza di uno squilibrio ecologico risalente alle tre galline d'un vecchio custode cieco, le quali, trovando abbondante pastura ìn un innocuo insetto uso ad annidarsi fra le pagine, avevano con i loro escrementi spianato la via a scarafaggi, blatte, topi, scolopendre (che invano si era cercato poi di combattere introducendo predatori d'ogni specie). La cifra stilistica del libro viene colta con insolita precisione dall'illustrazione di copertina, un Arcimboldo (La Terra) che assembla in un profilo satiresco un torvo ammasso di mammiferi. A tutti i livelli di strutturazione del testo dominano infatti i procedimenti di accµmulazione: si tratti di elenchi di vocaboli, di costrutti coordinativi, di personaggi costruiti per semplice somma di caratteri, di stanze o storie allineate una dopo l'altra, di particolari che si affastellano e si moltiplicano all'infinito. La rappresentazione di un universo chiuso, ossessivo, opprimente, giocata su ricorrenti effetti di crescendo visionario, finisce così per diventare un meccanismo fine a se stesso. Al progressivo esplicarsi di una realtà degenerata e indecifrabile subentra il gusto di uria sbrigliata, indiavolata fantasticheria: perfino le invadenti immagini di sporcizia appaiono scaturire da una forma di estetismo barocco, che non scuote l'immaginazione, bensì la solletica e la blandisce. Se insomma non c'è limite alla disgregazione del reale è perché l'autore non sperimenta altra realtà che quella del linguaggio, oniricamente· vorticoso e prolifico. E infatti i capitoli sono numerati con le lettere dell'alfabeto: quando si arriva al capitolo Z il protagonista si sveglia, l'incubo si dissolve. Se il libro di Cavazzoni evoca immagini tetre, materiche, labirintiche, sommosse ma non riscattate da un'inventività cupamente farsesca, Castelli di rabbia di Alessandro Baricco (Rizzoli 1991) punta jnvece decisamente su un dinamismo spigliato e arioso, talvolta incline a una grazia compiaciuta e vagamente rococò. La storia è ricca: di movimento e di azioni; 26 tuttavia i fatti contano meno della dispo§izione d'animo dei personaggi, e, in generale, dell'atmosfera che ·sirespira nel teatro delle varie vicende narrate; un paese d'un'imprecisata Europa ottocentesca chiamato Quinnipak. Due i geni del luogo. Il primo è il signor Rail, innamorato dello spazio e della velocità, titolare delle Vetrerie Rail, che producono le diecimila lastre del Crystal Palace (ingegnosa creazione dell'architetto Hector Horeau); l'altro è lo strambo e saggio Pekisch, musicista, compositore, direttore della banda locale, studioso di fenomeni acustici, infaticabile inventore di strumenti musicali nonché ideatore dell'umanofono, una specie di organo in cui le canne sono sostituite da coristi che cantano ciascuno una e una sola nota. In questo caso, come si vede, i poli del realistico e del fantastico risultano invertiti. Invece di un protagonista ordinario, desideroso di solitudine e tranquillità (come San Girolamo nel deserto della Calcidia), relegato suo malgrado in una caricaturale bolgia e assediato da_una congrega di paranoici logorroici e maniaci, troviamo qui una serie di personaggi i quali oppongono a una normalità borghese fatta di consuetudini sonnacchiose e utilitarismi implacabili il libero scatto della fantasia, del sogno utopico, del desiderio. Di qui il senso di melodiosa levità che pervade il racconto: quasi un alito vitale insufflato nell'opacità delle cose da una voglia di esistere istintiva, eppure in qualche modo straordinaria: da un primigenio, primaverile impulso a librarsi sopra la superfic.ie dell'esistenza. Ma il mondo della concretezza e della necessità non concede se non tregue temporanee. Inseguendo i suoi chimerici progetti il signor Rail va in rovina e si ritrova solo in una casa vuota; Horeau si rinchiude in manicomio, prima come assistente, poi come internato; il Crystal Palace va in frantumi, distrutDisegno di Giorgio Carpinteri Ida PinguinoStudios).
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